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Frisco disciples di
Fabio Cerbone (01/12/2016)
Un
luogo, una sorte. I Cool Ghouls sono eccentrici e fuori tempo anche nella
scelta del nome e di una copertina un po' bizzarra, ma soprattutto nell'idea che
essere una giovane rock'n'roll della Bay Area non possa voler dire che fare i
conti con la storia locale. E dunque via con un sfavillare di chitarre jingle
jangle, echi di psichedelia e Byrds rivisitati a più non posso, brevi inserti
di country lisergico e sfuriate garage rock come se gli anni Sessanta non fossero
mai finiti sotto il tappeto. Nostalgici? Può darsi, ma la freschezza e la circolarità
delle melodie rende Animal Races, terzo lavoro del gruppo di San
Francisco, una delle scampagnate di rock chitarristico più adorabili degli ultimi
mesi, con buona pace di chi cerca ostinatamente un'originalità salvifica.
Procedendo
con ordine dovremmo sottolineare come il percorso del quartetto - trascinato da
Pat McDonald e Ryan Wong e completato da Pat Thomas al basso e Alex Fleshma alla
batteria - si sia affinato strada facendo, fino ad includere oggi la pedal steel
dell'ospite Tom Heyman e una produzione, quella di Kelley Stoltz, che accentua
in egual misura passaggi agresti e momenti di frenetica psichedelia, risultando
la classica opera della maturità. Non che la band non si fosse già fatta notare
attraverso l'omonimo esordio o l'interessante A Swirling Fire Burning Through
the Rye, ma qui ogni cosa appare più misurata, coerente, nonostante qualcuno possa
imputare ai ragazzi di non portare a casa brani memorabili. Quello che colpisce
è il sound nel suo complesso e un trittico iniziale che da solo tiene fede alle
promesse: gli intrecci vocali (cantano in tre) e le spirali folk rock immerse
nella cultura californiana tessono un filo rosso che tiene insieme i Byrds con
Rain Parade e Dream Syndicate, band che una trentina di anni fa iniettarono nuova
linfa nel genere, e si parlò di un famigerato movimento Paisley Underground.
I
Cool Ghouls - a proposito: nome rubato ad un eccentrico personaggio radiofonico
in chiave horror - sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda e in compagnia
di altre realtà odierne (saltano subito alla mente i Promised
Land Sound) si accodano alle mutazioni di questo vortice neo-psichedelico
con Sundial e nella irresistibile Time
Capsule, luccichio di chitarre Rickembacker a profusione. Da altre
parti, come sottolineato, il suono si dilata e si fa più pastorale, un country
rock degno di vecchie glorie come New Riders of the Purple Sage o dei Grateful
Dead in veste da cowboy: accade in Whene You Were Gone e (If I Can't
Be) the Man, come una gustosa caramella che porta indietro al tempo del buon
ritiro nelle comuni hippie. In Days entra
in scena un piano e una saltellante melodia pop, Just Like Me ne amplifica
gli aspetti più elettrici e fanciulleschi con l'utilizzo massicio dei cori, mentre
Brown Bag prova a lanciarsi a testa bassa
verso un rock'n'roll tutto fremiti e memorie sixties. Il finale di Spectator
è tutto per i giri concentrici delle chitarre di Pat McDonald e Ryan Wong e quelle
voci immerse in vagobate di riverberi. Per "passatisti", sosterrà
qualcuno, ma con un gusto fuori del comune.