Il deserto è brulicante
di vita: là dove non cresce l’erba, fiorisce la cultura e sbocciano i
semi della creatività. Se gente come Ali Farka Touré, Toumani Diabaté,
i Tinariwen
in tempi più recenti, hanno perpetrato il mito del Mali Blues o del Touareg
Blues, i Tamikrest sono il nuovo fronte, l’avanguardia di tale
musica, nata fra le dune maliane. Tamotait è il ritorno
- dopo qualche anno di assenza e di vagabondaggi per tour in mezzo mondo
- del gruppo africano, venuto alla ribalta dopo Chatma, album del
2013. In questo disco, rispetto ai precedenti, ci sono qualche fiammata
rock in più, qualche collaborazione fiorita spontaneamente su parchi internazionali
(come quella con Hindi Zahra) e qualche sconfinamento in territori musicali
più ampi di quelli ai quali sono abituati.
Tamotait è la “speranza per un cambiamento positivo” e questo è
il filo conduttore del disco, ovvero il desiderio di vedere rinascere
il proprio paese, martoriato da guerre, lotte e carestie. Questo è il
quinto lavoro del gruppo, ed è nato in viaggio, con brani composti in
Asia tanto quanto in Europa. Non in Mali però, dal quale il gruppo è stato
esiliato e non vi può tornare da ormai più di dieci anni. La maggior parte
del disco è stata registrata dal produttore David Odlum (Glen Hansard,
Gemma Hayes, Tinariwen), in uno studio nella campagna francese. Il brano
di apertura del disco, Awnafin, mischia
in modo molto efficace lo stile tradizionale con un piglio più rock, facendo
da apripista per gli altri brani del disco che riuniranno aspetti tipici
della musica del Mali (tempi, ritmi, armonizzazioni) a tratti caratteristici
della musica occidentale. Amzagh e As Sastnan Hidjansono i
due episodi che il gruppo considera centrali per capire il tema del disco,
che è l’esilio e la lontananza. La prima parla del presente e di quanto
le azioni di oggi influenzano il futuro, la seconda invece del futuro
e del lottare per non arrendersi all’oppressione, alla violenza o alla
censura.
Ma per quanto i testi siano pregni di significato, non possiamo che apprezzare
soprattutto le melodie e la musicalità di una lingua tanto remota e indecifrabile.
La musica ovviamente la fa da padrone e in Timtarin
la cantante marocchina Hindi Zahra presta la sua voce in una interpretazione
spiritata ed evocativa, mentre Anha Achal Wad
Namda è un vero pezzo rock tirato e carico di energia elettrostatica
pronta a scaricarsi. Chiude Tabsit, lunga cavalcata, quasi come
una jam psichedelica, posta in chiusura del disco.
É strano come il motivo per il quale il rock è nato, sovvertire e liberarsi,
sia ora incarnato nella forma più pura da musicisti che sono lontani anni
luce dal concetto di rockstar o dai luoghi dove tale musica ha preso forma.
Ma questo è quanto fa la musica. Diventa arma culturale e si fa portatrice
di verità, là dove la cultura deve essere soppressa e la verità taciuta.
I Tamikrest sono, idealmente, i Clash del ventunesimo secolo, i CCR del
deserto.