Caschetto di capelli immutabile, anche se ingrigito
dal tempo, occhi chiusi, rapito dal potere straniante della musica, Thurston
Moore prosegue il viaggio solista al di fuori dei Sonic Youth, che
in equilibrio tra sperimentazione e ritorno alla casa madre sembra essere
il più fedele alla storia passata della band. Non che non si possano riscontrare
elementi di continuità anche nei lavori degli ex Lee Ranaldo e Kim Gordon,
tanto era magnetico l’incontro/scontro di personalità all'interno del
gruppo, ma è pur vero che pochi secondi dentro By the Fire
e la miccia dei rimandi si accende, riportando a stagioni decisive per
la costruzione del cosiddetto alternative rock.
Moore non abdica al ruolo di icona, sebbene oggi quel discorso musicale
non sia più così centrale, tanto che potrebbe persino passare per “classico”:
l’effetto è un po’ questo ascoltando l’introduzione di Hashish,
lo scandire ritmico e l’ordito delle chitarrre, che nella successiva Cantaloupe
si fa persino più regolare, abbracciando accenti rock canonici e conducendo
dritti con la memoria agli anni in cui i Sonic Youth “tradivano” il passato
avanguardista newyorkese per approdare alla maturità di capolavori come
Goo e Dirty. Realizzato in contrasto con il maggiore sperimentalismo
del precedente Spirit Carousel e tornando in parte sulla strada
maestra di Rock
N Roll Consciousness, By the Fire si presenta come l’esempio
perfetto di sintesi, un’alternanza di estasi e tormento chitarristico
in grado di riassumere le diverse anime di Thurston Moore. Così finisce
per essere una delle opere più complete della sua produzione, certamente
una fra quelle che meglio ne definiscono il lungo percorso artistico.
Questo perché dietro l’angolo di una partenza “prevedibile” come quella
dei due brani citati, incombono episodi dove le trame si sfilacciano,
il rock pulsante si dilata avvicendandosi con dialoghi onirici insieme
alla band, come in Breath, prima di
esplodere in incalzanti sgroppate e cacofonie elettriche, arrivando ai
dodici minuti di Siren, nella quale,
per scovare la voce di Moore, bisogna attendere i primi nove in paziente
rapimento. Inciso con alcuni collaboratori ormai fidati, come Deb Googe
(My Bloody Valentine) al basso, James Sedwards alle chitarre, Jem Doulton
e persino il vecchio pard Steve Shelley alla batteria, e “sporcato” dagli
efficaci e poco invandenti tocchi di elettronica di Jon “Wobbly” Leidecker
(Negativland), By the Fire mostra la sua natura più avventurosa,
sebbene non inedita per il protagonista, proprio nei brani più estesi,
dove si generano quelle dissonanze e quello stupore tipici di una scuola
di pensiero rock destrutturato.
Ecco dunque i sedici minuti abbondandi di kraut-rock ai limiti del primitivo
di Locomitive, l’ostinato groove cubista
della strepitosa They Believe In Love (When They Look At You),
così come il finale rumorista e spaziale di Venus, che qui si alternano
al raccoglimento per voce e chitarra, fatto di una angelica ebbrezza,
quale quella di Calligraphy e Dreamers
Work, a stemperare l’atmosfera a volte davvero turbinosa di un album
che prolunga una storia importante, con tutto il temperamento che l’età
della saggezza ha concesso a Thurston Moore.