Il 2019 è stato senza dubbio l’anno dei Big Thief,
capaci di finire in tutte le classifiche annuali con ben due dischi realizzati
a pochi mesi di distanza (U.F.O.F.
e Two
Hands), due facce di una band che, pur non inventandosi nulla,
ha portato una ventata di freschezza in quel territorio a metà tra musica
delle radici e freak-music degli anni 2000 (che a chiamarla “indie” ormai
si diventa anche troppo generici). Il 23 febbraio 2020 ero uno dei tanti
nuovi fans che attendevano di vederli sul palco a Milano, anche per testare
il loro vero spessore, ma quello fu proprio il primissimo concerto a dover
essere annullato per la scoperta dei primi malati di Covid19 a Codogno,
per cui dovremo attendere perlomeno il prossimo anno per riprovarci.
Per loro il 2020 doveva essere un anno di concerti e pause di riflessione,
ma vista la forzata inattività, la cantante Adrianne Lenker ha
trovato tempo per registrare un doppio album. Innanzitutto va ricordato
che la carriera solista della Lenker esiste fin dal 2005, e che quando
ha dato vita ai Big Thief nel 2015 aveva già dieci anni di vita da musicista
professionista sulle spalle, con all’attivo due album autoprodotti, e
un vero e proprio esordio (Hours Were the Birds del 2014) uscito
per la Saddle Creek, la stessa etichetta che ha poi pubblicato nel 2018
Abysskiss, album che era rimasto nel cassetto proprio per gli impegni
con i Big Thief. Songs/Instrumentals è composto da due dischi
teoricamente indipendenti, nati in un volontario isolamento in una casetta
in Massachusetts, con la Lenker che suona e canta in solitaria e con una
produzione decisamente lo-fi. Le undici canzoni che formano il primo disco
sono quanto di più aderente alla tradizione delle folksinger di fine anni
60/primi 70, e penso sia a quelle più classiche come Anne Briggs che alle
più coraggiose come Judee Sill. Addirittura, il singolo Zombie
Girl ha una melodia da vera folks-song da Greenwich Village
(e ricorda vagamente Mr Tambourine Man).
Volutamente vintage è anche il modo di registrare la voce, con quella
lontananza tipica delle registrazioni di un tempo, in verità risultato
di una registrazione fatta con un walkman e un missaggio gestito in casa
con un registratore a otto piste. Di suo Adrianne ci mette una scrittura
con testi molto personali, piccoli flussi di coscienza di una donna chiusa
in ritiro con il partner, che ricordano non poco la poetica della prima
Joni Mitchell. Decisamente più ostico, ma a suo modo molto affascinante,
il disco di strumentali, che sono solo due lunghi brani (Music for
Indigo e Mostly Chimes) nati per trovare un perfetto connubio
tra la musica prodotta nel voluto esilio e la natura che circondava la
casa, che si fa sentire tra fruscii e uccellini nel mezzo di lunghe improvvisazioni
chitarristiche. Ovvio che il risultato è qualcosa che necessita una vostra
predisposizione mentale alla riflessione e a una musica da ascoltare a
occhi chiusi con le cuffie per non perdersi nulla di un mondo lontano.
Mancano qui le strutture complesse create con i Bg Thief, ma per quelle
attendiamo volentieri, ora forse è il caso di fare tutti un po’ silenzio,
e questo disco è proprio quello che ci vuole per zittirci tutti in questo
mare di parole inutili che questo anno disgraziato ci ha portato.