“Where are You? You said You’d here by now”. Forse
sono queste le parole più adatte, prese dalla penna dello stesso Matt
Berninger (Take Me Out of Town),
per descrivere Serpentine Prison, esordio solista del noto
cantautore e voce dei National: il precario senso d’abbandono infatti
è il tema più evidente che emerge dai testi, che Matt aveva già iniziato
a mettere giù a partire dall’ultimo disco del gruppo di Cincinnati, I’m
Easy to Find, e ora resi più intensi grazie all’aiuto di importanti
collaboratori, tra cui il produttore Booker T. Jones (un’autorità nel
mondo musicale americano, le sue collaborazioni sono tante e blasonate),
ma anche la storica bassista di Bowie, Gail Ann Dorsey, qui in qualità
di seconda voce (come si può apprezzare in One More Second).
La definizione migliore che si può dare dell’album è quella che mi è capitata
di leggere pochi giorni addietro: “autunnale”. L’impressione che si ha
alla fine dell’ascolto è di una forte instabilità, Berninger non ha paura
di mostrarsi debole, e mette in mostra la propria fragilità in brani d’amore
dove l’angoscia di essere abbandonati o la desolazione nell’essere soli
è oggetto continuo d’indagine (“Give me one more life to win you back”).
Ed elemento notevole è il fatto che l’autore è ormai più che maturo e,
secondo leggi non scritte, e forse stereotipate, dovrebbe essere a questo
punto abbastanza consapevole da superare quelle insicurezze che il mondo
attribuisce alla sola adolescenza. Ma per fortuna non è così: con delicatezza
e profonda umanità Berninger dà voce ad ansie e preoccupazioni che possono
riguardare tutti coloro che sono giunti alla piena maturità, senza fornire
soluzioni o morali ma solo uno spettro pieno di sensazioni, in cui ci
si può incontrare: “One of these days the sky’s gonna rain, so why are
You crying?”
All for Nothing e la sontuosa Silver Springs
hanno rimandi più esistenziali, dove la voce poetica si interroga sulla
vita, senza avere risposte (“Everyone’s a passenger in this place”), lasciando
soltanto un piacevole, non amaro, senso di mistero. Quando un artista
si allontana dal suo gruppo per tentare la carriera solista il risultato
non è mai scontato, anche se già da tempo ha dimostrato il suo valore.
Ma le scelte fatte in Serpentine Prison sono perfette: la musica,
molto classica, tra un suono prevalentemente acustico, armoniche a bocca,
violini e ottoni, non è mai banale e lascia in primo piano la voce; e
forse proprio qui si manifesta la differenza coi National, dove invece,
giustamente, la scena viene condivisa con gli altri membri del gruppo.
A mio parere, una delle migliori uscite dell’anno.