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ashes of brit-folk
di Fabio Cerbone (20/03/2019)
Messo da parte il progetto
più sperimentale all’interno del trio Yorkston/Thorne/Khan,
che aveva impegnato le ultime due uscite discografiche del songwriter
scozzese, James Yorkston torna ufficialmente a dedicarsi alla carriera
solista, che non batteva un colpo dal lontano 2014. Inevitabile leggere
in The Route to the Harmonium una sorta di compendio dei
traguardi raggiunti in precedenza: da un lato la sensazione di recuperare
il percorso più tradizionale legato al linguaggio folk della sua terra,
lo stesso che aveva svelato il nome di Yorkston una ventina di anni fa
in casa Domino, dall’altro tutto un bagaglio di esperienze e di avanguardia
sonora acquisiti negli anni, motivo per cui anche le ambientazioni acustiche,
brumose e sussurrate di queste canzoni non possono fare a meno di lasciarsi
guidare da arrangiamenti eterei, combattutti fra spazi bucolici e trame
più intricate.
Delicato nella concezione, avvenuta nel piccolo villaggio di Cellardyke
dove Yorkston ha convertito una vecchia officina per la riparazione delle
reti da pesca in un vero e proprio studio di registrazione, The Route
to the Harmonium è un abbraccio fra strumentazione dal suono agreste (dulcitones,
autoharp e la curiosa nyckelharpa, strumento a corda di fattura svedese)
e suoni che non si isolano dalle fascinazioni di un moderno indie folk.
Le ombre dei giganti su cui poggia la scrittura di Yorkston sono ancora
tutte riconoscibili nella fragile bellezza folkie di Like
Bees to Foxglove, The Blue of the Thistle e Solitary
Islands All, o nell’annuncio stesso di un album dal clima intimo e
nudo con l’iniziale Your Beauty Could
Not Save You: il bisbiglio di voce e chitarre è ancora figlio
di Nick Drake, la memoria della tradizione riverbera una figura come quella
di Christy Moore, ma Yorkston ha una sua personalità da mettere al servizio
di questa ispirazione.
Ecco dunque un suono che in apparenza lavora per sottrazione, ma svela
sfumature ad ogni strofa: un tenero soffio di tromba, il pianoforte languido
e il resto nelle parole di placida gioia e consolazione che animano le
canzoni. Il tema sono gli affetti, la famiglia, chi è entrato nella vita
dell’autore ma anche chi ne è uscito, come un amico scomparso. La lettura
è semplice in controluce, ma l’insieme musicale richiede una soglia di
attenzione alta, come è sempre accaduto con le opere di Yorkston: emergono
così i tumultuosi rintocchi di My Mount Ain’t
No Bible, un talkin’ straniante che si accompagna ad una colonna
sonora da folk apocalittico, e così la gemella Yorkston Athletic,
dove tutto il senso avanguardistico dell’aproccio alla tradizione musicale
di casa si rende esplicito. Ci sono però a fare da contrappeso il pizzicore
di Oh Me, Oh My, una pianistica The
Villages I Have Known My Entire Life e ancora A Footnote to an
Epitaph.
Non è sorprendente ribadire le qualità dell'autore e la
sensibilità del musicista scozzese, tuttavia è impossibile
nascondere la sua capacità di rilanciare un linguaggio e una formula
sonora che in teoria avrebbero già detto tutto quello che c'era
da dire.