Vi racconteranno che Sturgill
Simpson ha inciso un nuovo disco di puro rock, “trasadanto e fumoso”
(parola dell’artista), soltanto lui e il fidato trio di musicisti, Chuck
Bartels, Bobby Emmett e Miles Miller, da qualche parte nel Michigan. E
che lo ha intitolato Sound & Fury: suono e furore, per l’appunto,
le canzoni magari un’altra volta. Aggiungeranno anche che il vero colpo
di genio è stato ripensare l’intero album come la colonna sonora di un
film di animazione, commissionando al regista giapponese Jumpei Mizusaki
e al connazionale disegnatore Takashi Okazaki una sequenza di video legati
ad ogni singola canzone. Il risultato finale sarà una storia tra realtà
distopica, immaginario da post-Apocalisse e tradizione samurai proiettata
nel futuro, da consegnare in esclusiva alla piattaforma streaming di Netflix.
Vi diranno che Sturgill ha fatto tutto questo per liberarsi dai cliché
e dalle costrizioni del music business, che lo voleva imprigionato in
un genere, soprattutto dopo essersi guadagnato a sorpresa un Grammy come
'Best Country Album' per il precedente, clamoroso e bellissimo, A
Sailor’s Guide to Earth. Ve lo descriveranno come un musicista
ribelle, incapace di restare fermo sulle conquiste passate, sempre un
passo oltre, uno scarto di lato, pronto a scompaginare le carte come un
moderno fiorilegge. Per far saltare il banco vi descriveranno i nuovi
brani come una audace, esagerata, roboante cavalcata tra rock cibernetico
al testosterone (l’annuncio con il primo estratto, Sing Along,
il resto con gli interessi in Best Clockmaker on Mars e Last
Man Standing), declinazione di un wall of sound fatto di spirali psichedeliche
(l’apertura strumentale con Ronin), pulsazioni artificiali (due
minuti di pennelate di synth e poi una chitarra effettata come un Billy
Idol in gran spolvero sugli schermi di Mtv), boggie futurista (A Good
Luck, che manco gli ZZ Top di Recycler…) e outlaw country rivisitato
ai tempi di Blade Runner (Remember to Breathe, Mercury in Retrograde).
Vi convinceranno poi che l’uomo e l’artista ha così dimostrato di fare
esattamente ciò che voleva, come se bastasse fare ciò che si vuole, senza
necessariamente offrire un contesto, per essere automaticamente assolti
da ogni critica. Come riprova della buona fede di Sturgill vi citeranno
i suoi eroi, in primis Waylon Jennings (di cui continua ad echeggiare
la voce, tonante come un tornado dal Texas, anche se Simpson arriva dal
Kentucky), ma per pareggiare i conti tireranno in ballo anche i Black
Sabbath, un non meglio precisato riferimento all’hip hop, e naturalmente
i Cars del compianto Rick Ocasek (ma soltanto quelli dopo Shake It
Up, mi raccomando).
Vi faranno credere infine che se non capite tutto questo, compresi i sette
minuti di plateali riffacci cyber blues e stridori a ripetizione di
Fastest Horse in Town, semplicemente non avete una mente aperta, e
peggio per voi. Perché, sapete, oggi non si butta via proprio niente,
né il bimbo né tanto meno l’acqua sporca. Vi diranno tutto questo e altro
ancora. Ma voi non credetegli.