File Under:70's
rock revival di
Fabio Cerbone (04/10/2012)
Una
nota all'interno del disco avverte che quest'ultimo è dedicato a Levon Helm, mentre
sospetto che il brillante aroma rock californiano di Love
is Free, incentrato sulla perdita di alcuni "eroi", abbia anch'esso
a che fare con la scomparsa del grande musicista della Band. Avendo infine gli
stessi Whispering Pines rubacchiato il nome dal repertorio dei magnifici
canadesi, pare proprio che il cerchio si stringa intorno a questi cinque ragazzi
di Los Angeles, un anacronistico frutto della attuale fiammata retro rock che
attraversa la West Coast, affiancandoli a piccole e grandi realtà contemporanee
come Dawes, Old Californio, Jonathan Wilson, nomi che dovreste avere imparato
frequentando queste pagine.
Nel caso dei Whispering Pines sussistono anche
caratteristiche più peculiari, che non li rendono per forza una propaggine dei
colleghi appena citati: il piccante sapore sudista e rock'n'roll delle loro composizioni
sposta il baricentro della band verso altre fonti di ispirazione, magari dalle
parti di Georgia e Alabama, muovendosi fra gli accenti agresti, tipicamente country
rock di una Come & Play, la brezza soft rock
di One More Second Chance e l'epica hard blues
di Purest Dreams, che più anni Settanta di
così si muore. L'inizio è persino declinato sui toni garage di una Move
On che grazie all'armonica di David Burden abbranca al volo il primo
treno per l'Inghilterra e la stagione dei giovani teppisti chiamati Animals. Si
sarà capito che qui ogni brano ha un richiamo, una suggestione e se non sopportate
l'idea che il rock'n'roll possa anche essere un unico lungo omaggio allora fareste
meglio a cambiare subito aria. Perché nell'omonimo secondo album David Baine,
Joe Bourdet, David Burden, Brian Filosa e Joe Zabelski non fanno nulla per nascondere
le loro smodate passioni, a cominciare da una scaletta che lo stesso booklet del
cd divide rigorosamente in due facciate, tanto per chiarire che il vinile è tornato
di moda e che concettualmente i Whispering Pines non sentono proprio l'esigenza
di uscire dal loro personale american dream.
Messa da parte ogni recriminazione
di originalità, rispetto al precedente Family
Tree, oggi pare che il gruppo abbia dato pieno sfogo alle possibilità
del songwriting, con cinque autori in seno alla band e ben quattro voci ad alternarsi.
Capita allora che l'A side si chiuda sulle note sornione e rurali di Ga
Highway per riprendere sul lato B con gli orizzonti a perdita d'occhio
di Wolfmoon, da qualche parte fra rock confederato
e dilatato rock blues alla Steve Miller Band, impattando quindi in pieno il panorama
californiano nella eloquente Sunrise to Sunset (e
aggiungiamoci i Byrds, per non farci mancare proprio nulla), tornando alla schiettezza
del rock'n'roll con il battito stradaiolo di Fine Time
e il suo intreccio di armonica, slide guitar e organo. Quando il tramonto arriva
inesorabile alla fine del viaggio, spuntano le chitarre acustiche, il country
elegiaco dei primi Eagles e il richiamo della campagna in Broken
Spoke.