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psychedelic downhome blues di
Fabio Cerbone (02/04/2013)
Quando
l'aria comincia farsi stantia, Stiv Cantarelli compie una nuova mossa e
spiazza tutti: non è passato molto tempo dal suo esordio solista, Innerstate,
peraltro nobilitato dalla collaborazione con i Richmond Fontaine e dalla stessa
pubblicazione sull'etichetta personale della band di Willy Vlautin, che è già
tempo di fare i bagagli, questa volta per Londra. È infatti la piccola label Stovepony
che pubblica per il mercato Uk questo breve, acido excursus nelle terre di un
folk blues elettrico e a tinte scure intitolato Black Music/ White Music,
sintesi perfetta dell'alchimia creata da Cantarelli con i ribattezzati Silent
Strangers. "Nemo propheta in patria" come sempre, la sua produzione
discografica un po' nomade e scombinata (Satellite Inn, Goldrust e mille altre
creazioni nel lungo curriculum) approda in Inghilterra e continua a reclamare
giustamente quelle attenzioni che l'Italia sembra non volergli offrire. Un po'
ci mette lo zampino lo stesso Stiv, che sicuramente non si tira indietro quando
c'è da spiazzare, ma tirate le somme siamo dalla sua parte, perchè accetta la
sfida di misurarsi, lui che canta in inglese e si esprime in un linguaggio in
tutto e per tutto rock'n'roll, con il palcoscenico internazionale.
Curioso
però che Black Music/ White Music sia in qualche modo un ritorno a casa, registrato
infatti sugli appennini romagnoli con alcuni vecchi compagni di viaggio (nei Satellite
Inn, una delle prime realtà alt-country italiane) come Antonio Perugini (batteria)
e Fabrizio Gramellini (basso), cercando una nuova alchimia sonora. Si può azzardare
la conclusione che Stiv Cantarelli ci sia riuscito, trasformando i toni dark e
prevalentemente elettro-acustici del precedente album in qualcosa di più torbido,
lì dove l'amore improvviso per il blues ancestrale di Son House e Robert Johnson
ha preso una strada originale in queste nove tracce di livido rock dalle aspre
trame post punk, al quale contribuisce enormemente la presenza di Petrushka
Morsink (Willard Grant Conspiracy, Transmissionary Six) e delle sue spaziali
chitarre, aggiunte nel personale studio olandese dove è solita comporre.
Gli
esiti di questo incontro echeggiano subito dopo il breve schizzo acustico di The
Boy's Draw on the Steamed Window, quasi una sorta di viaggio di apertura:
Captain Blues è già altra cosa e si immagina
esattamente quello spiazzante stile a cavallo tra swamp e psichedelia, esprimendo
le liriche dure e dense del disco, che ritorneranno anche in Mahogany
Jones e Hundred Thousand Stones, sullo sfondo fotografie della
crisi sociale, ma descritte con una sensibilità sempre molto intima. Che si tratti
di un lavoro più "scontroso" è confermato dal crudo assalto di Deconstruction,
blues in trame hardcore punk, e ancora dalla ossessiva Cornerstone
Blues, rivisitazione personale di luoghi topici delle dodici battute,
ma anche da ballate come Annie e Under the Red Star, che in parte
recuperano un po' dell'anima "no depression" che Cantarelli ha coltivato
nel suo percorso dai Satellite Inn ai Richmond Fontaine. Un disco rabbuiato e
crudo, blues più per concetto che per linguaggio.