Associato a più riprese alla nuova onda country
d’autore proveniente dal Texas, Jason Eady è in realtà un figlio
adottivo di quella terra, essendo nato e cresciuto a Jackson, Mississippi.
La presa di coscienza delle sue origini, anche da un punto di vista musicale,
ha impresso la svolta che ha portato all’incisione di Mississippi,
fin dal titolo un vero e proprio omaggio alle radici del songwriter, che
qui mette un po’ da parte, per sua stessa ammissione, la centralità dei
testi, dedicandosi innanzi tutto al suono. Così sono nate le nuove canzoni,
afferma Eady, che ha invertito il suo solito processo di composizione,
partendo dal groove e dalle atmosfere tipiche di certa southern music,
per arrivare soltanto in un secondo momento ad adattare le liriche al
contesto sonoro.
Un successo, che conferma le qualità di questo autore dopo i già importanti
traguardi di album quali Daylight/Dark o il più recente To
the Passage of Time: lavorando ancora al fianco dell’amico Gordy Quist
(The Band of Heathens) e con un gruppo ristretto di ottimi strumentisti
(risaltano le chitarre di Dave Jimenez e le tastiere di Trevor Nealon),
Eady pare che abbia lavorato di sottrazione e in maniera efficace, dando
respito e ritmo alle sue canzoni. I colori sono quelli sanguigni del country
blues, del gospel che abbraccia l’Americana, di acustico ed elettrico
che si incontrano su una vecchia strada sterrata del profondo sud, laggiù
in Mississippi, come annuncia il battito di Way
Down in Mississippi, esaltata anche dalle presenze vocali di
Courtney Patton e Kelley Mickwee. Queste ultime tornano ad affiancare
la voce del protagonista anche nella più bluesata Burn It Down,
a mezza via tra il Texas e il Deep South, o ancora nella pigra e sensuale
New Tradition, tipico esempio di quel suono “laid back” che soltanto
certa musica sudista ha saputo offrire come marchio stilistico.
Eady sembra raggiungere un perfetto compromesso fra mostri sacri come
Tony Joe White e Willie Nelson, mai abbandonando del tutto la sua impronta
roots&country (la vicenda operaia che ci racconta Mile Over 45,
il dolce finale di Misty, con una liquorosa slide guitar) ma al
tempo stesso imprimento più respiro ritmico alla sua musica. Mississippi
rappresenterà forse un unicum nella sua produzione, ma è tremendamente
efficace: è sufficiente lasciarsi trascinare dal groove e dalle
storie che ci restituiscono Once Upon a Time
in New Orleans, con la presenza della tromba di Branden Lewis,
Whistle, traccia che possiede proprio quel “soffio” alla JJ Cale,
o ancora la funkeggiante Getting Even.
Buona vecchia southern music, non tradisce mai: il viaggio di ritorno
in Mississippi di Jason Eady è stato un toccasana.