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alt-country storyteller di
Davide Albini (14/09/2016)
Da
una decina d'anni circa alla guida degli American Aquarium, uno dei nomi di punta
dell'ultima generazione alternative country, B.J. Barham ha sempre messo
in mostra un'anima solitaria, se è vero che spesso i dischi insieme al gruppo
del North Carolina erano un compromesso fra il lavoro di un'autentica rock'n'roll
band e quello più intimo di un songwriter, tanta era la forza delle storie e la
profondità dei testi. Rockingham toglie questo velo e per la prima volta presenta
Barham in veste solista: questo non è l'annuncio di uno scioglimento degli American
Aquarium, sia chiaro, anche perché l'ultimo Wolves
si è rivelato forse l'album più fortunato della loro tortuosa carriera.
Si
tratta semplicemente di otto canzoni troppo personali perché possano trovare un
posto nel solco principale della band, nate nell'autunno del 2015 dopo i terribili
fatti degli attentati di Parigi, mentre B.J. Barham era in Belgio per un lungo
tour europeo. Le decine di messaggi e telefonate giunti dagli Stati Uniti, da
amici e parenti, per assicurarsi sulle condizioni sue e dei compagni del gruppo
hanno fatto scattare una molla nostalgica: ricordi di casa, gente conosciuta durante
l'adolescenza, volti e paesaggi familiari della sua Reidsville, contea di Rockingham,
in North Carolina, a cui è dedicato espressamente un brano del disco. Registrato
in soli due giorni insieme al polistrimentista Phil Cook, al batterista Kyle Keegan,
e con un paio di membri degli stessi American Aquarium, Ryan Johnson e Whit Wright,
in libera uscita, Rockingham potrebbe essere definito un lavoro
di fiction musicale, una raccolta di racconti e cartoline dalle small town americane,
che mi ha ricordato da vicino la desolazione country di Ben Nichols dei Lucero
o lo Steve Earle più legato al suono delle radici.
La voce di B.J. Barham
d'altronde appartiene a quella scuola di "duri e puri" del folk americano,
caratteristica che emerge con prepotenza nelle prime note di American
Tobacco Company e nella classica e rurale title track, storie "blue
collar" potremmo definirle, con personaggi immaginari eppure molto reali nei loro
sentimenti, che evocano i luoghi in cui l'autore è cresciuto. Il sound segue di
pari passo questa impostazione: asciutto, malinconico, essenziale eppure non incompiuto,
con una preponderanza di strumenti acustici, anche banjo e dobro a esaltare il
lato più country, e piccoli abbellimenti di organo e piano. Madeline,
la più autobiografica, è esplicitamente legata alla figlia nascitura di Barham,
ballata dal docile cullare alt-country, mentre O' Lover e Road
to Nowhere si concentrano su quell'America da dura etica del lavoro
e speranze spezzate, che spesso emerge in questo tipo di songwriting, accentuando
i toni intimi ed espressivi del disco… Fino alla chiusura drammatica di Water
in the Well, piano e banjo e una voce cruda che parla di vite vere
e vissute.
Un altro capitolo del grande romanzo americano degli sconfitti.