Massimo
Valli Altri
tempi
[Heart Real Music Productionse 2011]
Un suonatore di chitarra che cerca di mettere insieme parole e note, come
nella migliore tradizione dei songwriter americani: questa è la storia di altri
tempi di Massimo Valli, il cui esordio discografico propriamente inteso
arriva alla non più tenera età di quarantacinque anni. Da Mestre, la sua città
di sempre, Massimo ha spostato il suo orizzonte musicale al di là dell'oceano,
innamorandosi del country e delle sue più nobili declinazioni in chiave cantautorale,
quella che poi è giunta riveduta e corretta presso i nostri lidi, talvolta in
modo sapiente e originale, basti pensare a De André oppure a De Gregori, il più
dylaniano tra i cantori di un'Italia forse troppo piccola, secondo le parole dello
stesso Valli, per questo tipo di musica. La sei corde (e non solo) è sempre stata
la sua fedele compagna nel viaggio della vita, finché un giorno non decide di
smettere di suonare, per poi ricominciare grazie al sacro fuoco della passione.
Altri tempi nasce dall'interesse del bravissimo chitarrista
Simone Chivilò, già collaboratore, tra gli altri, di Elliott Murphy ed
Eric Andersen, due personaggi che di songwriting se ne intendono, fino a Massimo
Bubola, per restare entro i confini di casa nostra. Una produzione notevole che
in effetti si fa notare sin dall'inizio, complice un suono pulito accarezzato
dai vari strumenti a corda (chitarre, mandolino e banjo), dalla fisarmonica e
dall'ottima sezione ritmica (batteria e contrabbasso), senza sbavature, professionalmente
ineccepibile. Country, folk e tradizione si uniscono a meraviglia, con vari sussulti
e una decisa vena poetica che pervade le dieci tracce di un album ben strutturato
e vario, che si muove tra ballate acustiche (l'iniziale Piccole
canzoni, una sorta di omaggio alla musica e a un modo di interpretarla
sempre più raro al giorno d'oggi), scorribande di matrice irlandese (Le
colline dei segreti, con una bella fisarmonica a cadenzare la tristezza
che si cela tra le difficoltà del tempo presente, ove sembra impossibile trovare
risposte non più soffiate dal vento), e brani più elettrici (Venditori
di mimose), perfetta sintesi dei maestri che lo hanno ispirato, da
Townes Van Zandt a Steve Earle, da Neil Young a Dylan, ovviamente. Le liriche,
come accennato, poggiano su una solita matrice poetica che interpreta la quotidianità
nella sua accezione più vera, che si traduce nella consapevolezza della sua indeterminatezza,
della sua incapacità a ispirare nuovi sogni, nuove meraviglie da esplorare (anche
con l'immaginazione), nuovi giorni luminosi da vivere e condividere. Ma non c'è
propriamente rassegnazione, quanto la necessità di vivere al meglio il presente,
nelle sue piccole cose, in ciò che dà e toglie, sempre, a chiunque.
Si
fa pressante la ricerca di una via d'uscita, che potrebbe trovarsi
Al di là del mare, un folk blues che dipinge un luogo immaginario ("Arriveremo
al di là del mare, dove tutto è più chiaro che qui"), lontano dai sogni infranti
della triste Avrei voluto ("I tempi sono quel
che sono, tempi duri senza verità"), dunque desideri da riporre in altre dimensioni,
in "altri tempi", dove probabilmente si può vivere un presente diverso. Due
quadrifogli (da notare la simbologia associata alla foglia, propiziatrice
di sogni positivi e fortuna) si fa notare per l'ottimo dialogo tra dobro e fisarmonica
che sa di border, polvere e sudore, Le parole di Giovanni
Battista si apre con un'armonica e costruisce un ponte tra due tradizioni,
quella americana e quella nostrana (ci sono echi della Sally di De André), la
title track richiama De Gregori e si snoda su una melodia incalzante, mentre il
disco si chiude con il country azzeccato di Verso casa
e il folk di Apri la tua porta. Un album senza
cadute di tono che sembra provenire effettivamente da un'altra epoca, altri tempi
appunto, quando la canzone d'autore in Italia poteva ancora definirsi tale. (David Nieri)