Per fare un disco felicemente boscaiolo non servono
le cataste di legna che Gene Parsons piazzava sulla copertina di Kindling,
né il capanno di Townes su Flyin’ Shoes. Tanto per cominciare
SirBone (all’anagrafe Stefano Raggi) boscaiolo lo è per davvero
e questo è già un buon punto di partenza. Va poi detto che in questo
disco di esordio, Wicked Games, gli elementi naturali
hanno inviato una delegazione nutrita poichè basta ascoltare il brano
Postcard from the Northern Woods per fare esperienza, oltre che
di foreste nordiche, anche di vento, pioggia, nevicate ed altro ancora.
Se poi ai fattori atmosferici aggiungiamo l’elemento animale (SirBone
in sardo sta per cinghiale e il nome della sua precedente band, i Wild
Boars, sempre cinghiali voleva dire) capiremo quanto il contesto naturale
sia caro al nostro autore. E a noi che frequentiamo da sempre certe
sonorità, l’umidore della macchia piace un sacco, tanto da averci costruito
sopra una mitologia.
Questo esordio nasce nell’alto Piemonte, giacchè Stefano è un transfugo
della metropoli e ha optato, novello Walden, per la vita nei boschi.
Ma mica le canta in piemontèis le sue ballate, al contrario le
internazionalizza con la scelta anglofona, potenziando l’effetto canadian
con truciolature di dobro. E perbacco, che bel disco ne è uscito. Ci
ho pure provato, mentre lo ascoltavo, ad annotarmi le tracce migliori,
ma mi sono resa conto che le stavo cerchiando tutte: dieci canzoni di
ottimo livello, nessun contenitore vuoto. E se il compito di aprire
la selezione è assegnato a A Tangle of Thornes,
com’è giusto che sia trattandosi del singolo apripista, i brani successivi
incalzano ansiosi di rubarsi la scena e arrivano dritti dritti alle
corde dell’ascoltatore. Se di Postcard from the Northern Woods
ho già detto, The Naive Song, dalla
trama timidamente bluesata, propone un suggestivo refrain in cui l’autore
– dice – si sente come se stesse tornando a casa. Ed è un bel concetto,
qualunque sia la destinazione.
In questa raccolta si aggira un altro potenziale hit ed è Confession
of a Bastard, dove si sente, è vero, del mestiere nell’arrangiamento,
così come nell’uso sapiente delle backing vocals di Floriana Nuzzo,
ma è tutto al servizio di un risultato gradevolissimo. E così, man mano
che le canzoni si svelano, ci si rende conto che il disco esige una
duplice lettura, dato che propone un suono estremamente attuale ma nello
stesso tempo non immemore del passato. Perchè d’accordo le suggestioni
del profondo nord, ma SirBone deve aver masticato anche tanto west coast
sound. Prendete Shadow Man e ditemi se la pedal-steel guitar
di Andrea Dusty Ferazzi non ricorda quella di Rusty Young nei solchi
dei Poco, oppure quella di Al Perkins che accompagnava Rick Roberts
in quella perfezione di album che è Windmills.
In questa opera prima di SirBone e dei suoi ossimorici marinai di montagna
assistiamo poi ad alcuni cambi di passo, utili a tenere alta la soglia
di emozione. Uno di questi è la murder story di Joe
and Valerie-Jane, una tonalità minore adatta alla narrazione
di un omicidio, con i fiati di Diego Coletti (tromba) e Luca Lucky Garino
(trombone) che fanno tanto Calexico. C’è poi l’oscura What You Say
che evoca i wicked games del tema centrale, anch’essa magistralmente
contrappuntata dagli ottoni. Di diversa pasta rispetto alle altre tracce
è Your Lullaby, gentile fin dal titolo e più vicina a modalità
compositive nostrane, con quell’arpeggio di chitarra acustica che sembra
uscito da una canzone di Paolo Capodacqua. E’ apprezzabile infine che
l’epilogo del disco sia affidato a una coppia di brani dal testo introspettivo,
quasi un bilancio esistenziale (per quanto provvisorio, perché aspettiamo
altri dischi eh…) che l’autore fa con se stesso. E se in Old
Bus Station (bel titolo, contiene un’idea di America) lo
fa col vigore della rhythm Telecaster di Roberto Bob Zisa – quasi un
terzo polo ritmico a fianco di basso e batteria – nella closing track
Fading preferisce un tono più accorato, consono al testo gravido
di rimpianti per le cose non dette e per i sentimenti inespressi, che
il dobro commosso di SirBone sembra voler confermare.
E così, in ossequio al titolo del pezzo di chiusura, svanisce dolcemente
questo disco che, diciamolo, essendo sbucato in punta di piedi dai boschi,
non ci aspettavamo di tale eccellenza. Complimenti quindi a Stefano
SirBone Raggi e ai suoi Mountain Sailors e un plauso al
produttore Fabio Ferraboschi e ad Antonio Boschi di AZ Blues che lo
hanno reso possibile, oltre a sfoggiare cognomi perfettamente a tema.