Non so in quale direzione stia correndo oggi il
cosiddetto "rock italiano", qualsiasi forma abbia assunto
o significato possa ancora avere di fronte a un mercato discografico
polverizzato, letteralmente esploso in mille direzioni e altrettante
contaminazioni. So però quale sia stato uno dei suoi momenti più fecondi,
un passaggio verso la piena consapevolezza dei propri mezzi espressivi
che ha coinciso, nella prima metà degli anni Novanta, in un incontro
fra la tradizione d’autore di casa nostra e gli stimoli elettrici che
al tempo si propagavano da New York a Seattle, da Minneapolis a Los
Angeles.
Di tutto quel rinascimento di band, di vere o presunte scene, ma soprattutto
di dischi importanti, un posto andrebbe riservato anche ai Settore
Out, formazione melegnanese con una storia lunga dieci anni e un
pugno di canzoni che avrebbero meritato attenzioni almeno pari a quelle
di altri protagonisti di quella stagione. Non è un caso che nel loro
secondo album, il decisivo Il rumore delle idee, uscito su Black
Out nel 1993, avessero ripreso un brano del livornese Piero Ciampi,
Andare
camminare lavorare, in una frenetica interpretazione da rock
industriale. Le loro radici musicali, a partire dall’esordio di Un’altra
volta (1990), erano legate a doppio filo con l’esperienza dei cantautori,
una sensibilità che sempre più si sarebbe svelata nella successiva carriera
solista di Evasio Muraro, voce principale dei Settore Out, ma
dall’altra parte emergeva prepotente anche tutta quella tensione e quella
sfrontata predilezione per rock e melodia che prendeva spunto dall’America
“alternativa” del prima e dopo l’esplosione di Seattle. Fa rabbia pensare
che l’equilibrio perfetto fra queste due pulsioni sia stato raggiunto
dalla band in fANTASMI (mi raccomando, scritto proprio
così) album inedito inciso nell’autunno del 1996 e che ha duvuto attendere
la bellezza di un quarto di secolo per trovare una sua edizione definitiva,
nella confezione a libretto con testi e foto (quella della band scattata
da Guido Harari) che qui ci viene proposta.
Un recupero necessario, perché fANTASMI
non è solo il disco migliore dei Settore Out, il più maturo e fedele
alla loro visione musicale, ma anche una testimonianza di quella vivacità
a cui accennavo in apertura. La lingua rock in italiano può dunque essere
immediata e cogliere comunque una sorta di tensione latente, che in
queste canzoni emerge traccia dopo traccia, una lotta che esprime desideri,
speranze, una ricerca di senso, personale e sociale, che risale prepotente
nelle ballate elettriche del gruppo, come Soli e Ritorna,
che sembrano anticipare in qualche modo quanto Muraro avrebbe raggiunto
in anni recenti con dischi come O tutto o l’amore, oppure nelle
frustate rock di Tutto il mondo brucia
e Non dormire, nella spontaneità di Cosa
resta e Vado dove voglio, sulla scia di Soul Asylum
e Buffalo Tom, e ancora nell’immediatezza quasi pop di Un
po’ malato (Italia di 1000 Lourdes), che grazie al giocoso
nonsense del testo potrebbe essere considerato un piccolo classico dimenticato
di quel periodo.
Assestati nella forma del quartetto, con le chitarre di Daniele Denti,
il basso di Davide Boerchio e la batteria di Fabio Stucchi, musicisti
che avrebbero poi continuato negli anni con altre esperienze e progetti,
anche di produzione, i Settore Out mettono a frutto un sound livido
e rock che non mostra segni di usura del tempo, molto fedele alla loro
attitudine stradaiola, e questo rende fANTASMI più di un semplice
ricordo, ma un album con una sua dignità artistica ancora attuale. Lo
confermano una serie di partecipazioni che ampliano gli arrangiamenti
e danno soprattutto la dimensione di una band che allora aveva intessuto
una rete di scambi artistici, che avrebbero forse potuto dare ulteriori
frutti, chissà. Ci sono naturalmente un sacco di chitarre, comprese
quelle del vecchio compagno di viaggio Moreno Zaghi (in formazione nei
due precedenti lavori) che compaiono in Vado dove voglio e nei
toni da ballad urbana di Scrivo ancora una canzone (anche qui
ispirata a versi di Ciampi), i cori di Omar Pedrini (Timoria), che aveva
lavorato con i Settore Out alla pre-produzione del disco, ma soprattutto
il violino di Tommaso Leddi (Stormy Six). Quest’ultimo accentua
con il suo strumento l’irrequietezza di Se,
il punto più alto dell’intero fANTASMI, una ballata in tonalità
minore che scalcia e freme salendo di intensità, liriche attraversate
da un acuto tono esistenzialista e liberamente ispirate da uno scritto
di Edda (Ritmo Tribale).
Che si tratti di un “lost album”, o di un’occasione mancata, identifica
fino a un certo punto la curiosità e il valore di fANTASMI: si
tratta soprattutto di una manciata di canzoni, qui ed ora, ancora vive.
Per informazioni su come reperire il disco: fragiledischi.blogspot.com/2020/06/settore-out-fantasmi.html