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inserito
23/07/2010
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Non sarebbe nostra intenzione svelarne alcuno, degli altarini sottesi
ai nomignoli della Jug band di Doctor Sunflower, lui in primis
a capo di questa carovana di affabulatori, ammaliatori, cantastorie e
cacciaballe interpreti della più sincera delle cose spacciate insieme
all'olio di crotalo, panacea di tutti i mali: la musica. Gli attori recitano
bene la loro parte e ne vien fuori l'iconografia fumettistica di copertina,
la sola traccia (e invero qualche altra soffiata) nei disegni firmati
da Guy(do) Migliaro a ricondurci all'entourage dei Blue Stuff, che ci
rimanda all'italianità del progetto e ne contestualizza la provenienza
blues d'area campana (ma anche internazionale, visto che alla fine Napoli
non è solo Italia). E costoro si muovono (come da copertina) nel quadro
di un non quantomeno precisato Sud degli USA, quando poi ogni sud è Sud
del mondo e tanto valga per la musica: il blues è blues e non c'è provenienza
che ne certifichi la qualità, quanto piuttosto, la integra a veicolarne
il contesto. Dato che il blues qui proposto allora è roba degli anni Venti
(e Trenta), diventa pur difficile, se non confermarne la provenienza spaziale,
accertarne il vissuto temporale: i protagonisti di quegli anni si diradano
via via col tempo e a chi proponga tali classici non resta altro che coglierne
le atmosfere giuste, mediarle e riproporle a loro volta ai posteri, come
fanno qui gli allegri compagnoni dell'olio di crotalo. Col Dottore, in
questo "medicine show" imbastito per l'occasione, ritroviamo a tratteggiare
i frequenti ragtimes, barrelhouses e delta blues, la chitarra e il mandolino
di Mojo Killer e la resofonica di un certo Wolframio, definite
e presenti, quanto ben equilibrate e mai invadenti. Inutile dire che accorgimenti
artigianali e ritmico - rumoristici riempiono non poco il contorno dei
brani, tra jug, kazoo o washboard del capo banda, cui si aggiungono una
fantastica fisarmonica di Red Buzzard e un'orchestra da barbecue che pare
a festa nel suono dal vivo di Lindberg Hop (Will Shade), apripista dall'International
Blues Fest di Capo d'Orlando in Blues 2007. Il resto sono pezzi in studio
che ripescano per l'occasione in remoti canzonieri popolari americani,
passando dai più noti Jimmie Rodgers (Mississippi
Delta Blues; Train Whistle Blues)
o Robert Johnson (From Four Till Late)
fino alla bella Border of The Quarter
di Owen Davis evocante vaudeville years in New Orleans, Broke
Man's Blues di Thom Dorsey o il trascinante gospel
Night Train To Memphis. Non potevano essere altro che due
tracce encore live a chiuderne le danze (da S.
Potito Sannitico Blues Got The World e In
a Town This Size) per un revival di certa musica oggi forse
un po' abusato, ma in un disco che, seppur di genere, è certamente ben
fatto. (
7.5)
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