inserito 19/6/2009


Petrina
 In Doma  [Debora Petrina 2009] 8
Luca Milani  Scars And Tattoos  [Recorded Recordings 2009] 7
The One's  The Debut of Lady June  [Forears  2009] 6.5
The Lonely Rat The Lonely Rat [Ghost records 2009] 5

Ci sono dischi che nonostante svariati ascolti restano incatalogabili, non sempre è un bene non sempre è un male. Nel caso di In Doma di Debora Petrina l'incatalogabilità, oltre ad essere un piacere per l'udito, è la consapevolezza di trovarsi davanti ad un diamante luminoso, ad una cantautrice originalissima e raffinata. Già vincitrice del premio Tenco nel 2007, la pianista padovana, dopo le performance avanguardiste nelle quali si è fatta apprezzare confeziona dodici canzoni il cui risultato, arrivati alla fine dell'ascolto, è quello di ricominciare dalla prima traccia per intraprendere di nuovo un viaggio attraverso i più svariati generi. Si passa così da una filastrocca come l'iniziale Babel Bee al Jazz-pop maiuscolo di A Se Soir. She Shoe nasce da una performance teatrale di pura avanguardia, mentre la bellissima Fuori Stagione con il suo incedere ai confini con il prog si avvale della collaborazione al testo di Patrizia Laquidara e riprende un discorso che le due artiste avevano già iniziato con le loro esibizioni per solo piano e voce. C'e spazio anche per il divertimento con Sms dove vengono messi in musica reali messaggi che si possono trovare sulla stampa. Con Pool Story si entra in territorio infuocato, laddove si sovrappongono i più svariati generi il cui risultato è un melting pot di rara bellezza ed efficacia, che accompagna alla notturna ed intimista GhostTrack. La ritmata Asteroid 482 è un viaggio su un ottovolanre con i suoi sali scendi di assoluta perizia e piacere. Sound Like chiude l'album che si avvale oltre ai fissi Alessandro Fedrigo al basso e Gianni Bertoncini alla batteria, della partecipazione di Elliot Sharp, Ascanio Celestini, Amy Cohn, Emir Bjukic. Conclusione: in un momento in cui la musica italiana esprime talenti come Samuel Katarro o Le luci della centrale elettrica, In Doma è senza dubbio alcuno una delle più belle novità di questo 2009, la sua freschezza la sua energia e la sua accattivante incatalogabilità non possono passare inosservati, sarebbe davvero un delitto.
(Ruggero Marinello)

www.myspace.com/deborapetrina

La storia delle "ferite" e dei "tatuaggi" di Luca Milani comincia qualche anno fa quando, nascondendosi dietro la sigla File, ha esordito per la Zomba Records, uno dei marchi nell'alveo delle major. Produzione enorme, tour organizzato, ampio dispiego di risorse per un paio di dischi finiti poi in quel frullatore senza senso che è il music business attuale. Finita quell'esperienza e assorbite "le ferite" a Luca Milani è rimasto, indelebile, il "tatuaggio" della musica, passione dirompente e spietata che l'ha portato a rileggere la propria natura e a concentrarsi su una diversa idea da songwriter, limando le parole e le canzoni, fino all'essenza di questo Scars And Tattoos, curioso caso di disco inciso in Italia e pubblicato negli States. Qualcosa in più di un nuovo inizio perché i cinque brani che lo compongono rivelano, come non era successo prima, un songwriter molto acuto nel trattare la materia prima di words & music e anche molto coraggioso nel proporsi, nella sua nudità, con il semplice ausilio della chitarra e della sua (bella) voce. Ballate sospese tra un incipit folk (Scars And Tattoos) e scarni accordi che ricordano, ovviamente fatte le dovute differenze, le "ferite" di Hurt Me di Johnny Thunders, un nome che non sfuggirà a Luca Milani insieme a quelli di Johnny Cash o di Hank Williams che tra una nota e l'altra, radici che sono destinate a emergere e a fiorire, prima o poi. Da tenere d'occhio.
(Marco Denti)

www.myspace.com/lmilani

La cura dei dettagli non è indifferente nella riuscita di questo esordio dei napoletani The One's: innanzi tutto la produzione cristallina di Daniele Landi di Forears (lodevole etichetta fiorentina che si spende per un certo rock indipedente in Italia), quindi la grafica affascinante e la bella confezione cartonata che riflette colori desertici e decisamente "roots" nella scelta delle immagini, ultima ma non ultima la stessa musica dai pacati toni folk rock e di chiara matrice tradizionalista americana. Un quintetto che tradisce una giovane età, eppure un'ispirazione tutt'altro che attaccata al presente: i loro affetti musicali si perdono lungo le strade che mille volte percorriamo su queste pagine, con la capacità di cogliere un suono, delle atmosfere, un'attitudine spesso ignorata a queste latitudini. Un plauso dunque alla qualità media delle ballate che infarciscono The Debut of Lady June, pur con tutte le incertezze della voce sussurrata di Damiano Davide: c'è uniformità di parole e immagini, nonostante si senta a tratti la mancanza di una fermezza elettrica più marcata. The One's hanno preferito muoversi a questo turno sulle coordinate di un rock delle radici levigato e in prevalenza acustico, tra un'armonica pastorale in Dream, i ricordi del "raccolto" di Neil Young in Brown-Haired Girl (e nel titolo ci hanno infilato anche un omaggio a Van Morrison, chiudendo il cerchio), svoltando dolcemente verso la rilettura della folk music in chiave pop e sbarazzina dei Wilco (I'll Disappear, Little Fun). Molti riferimenti, come è logico che sia, ma non per snaturare le capacità e il songwriting del gruppo: due ballate pianistiche che imbarcano pioggia e malinconia da crepuscolo (Kathy & Me, Shine in the Wind) sono qui a dimostrare che The One's hanno spazi di manovra per il futuro, con un tratto cantautorale non indifferente, mentre Roads in chiusura scombina i piani dilantando pianoforte, chitarre (Valerio Menicocci) e persino fiati (una tromba gettata ad effetto nella mischia) sulle cadenze di un desert rock da orizzonte rosso fuoco. Cresceranno.
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/theonesitaly

www.forears.net

Qualcuno sarebbe invece pronto a giurare che la nuova frontiera del folk e il giusto approccio alla tradizione sia quello di The Lonely Rat, assai meno asservito alle regole in apparenza: l'approccio a bassa fedeltà, il minimalismo sonoro per voce e chitarre e qualche ammenicolo "rumoroso" di sottofondo cominciano ad essere in realtà essi stessi un canone un po' abusato. Allora mentre i precedenti The One's passano per discepoli coscienziosi di un folk rock rotondo e melodico, l'omonimo esordio The Lonely Rat dovrebbe rappresentare uno sguardo un po' sghembo e stralunato alla forma acustica. Così non è attraverso tredici bozzetti che hanno il fiato corto, una costruzione troppo simile e ripetitiva, che sfrutta le poche leggi non scritte del genere e si infila in una sequenza raramente incisiva. Il lavoro alla chitarre di Matteo Graziotti in arte The Lonely Rat - già animatore dei milanesi Merci Miss Monroe e qui in gita solista con un progetto parallelo - è apprezzabile nella sua "claudicante" poesia lo-fi (All Heart and Bones), ma tende ad accartorciarsi in piccole verità quotidiane (So Did Your Dad), storie intime e sussurrate che la collaborazione di Mr Henry (autore varesino, apprezzata rivelazione del mondo indie rock italiano) colora in fase di produzione con qualche espediente sonoro (Gave up Growing Up, Bad Wrong Fun). Insufficenti tuttavia per non arrivare in fondo a Diamonds and Club con la sensazione di avere assistito alla stessa canzone rivoltata più volte, raramente scossi da qualche intemperanza (Doing Good Doing Good e l'urlata title track).
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/thelonelyrat

www.ghostrecords.it


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