Cosa resta se non suonare? Ritrovare quel gesto
di condivisione artistica, di scambio emozionale, soprattutto in una
musica che nasce spesso dalla spontaneità della jam, dall’intreccio
di strumenti acustici ed elettrici. Sembrano chiederselo in tanti di
questi tempi, in modo speciale quei musicisti indipendenti che non vivono
sotto i riflettori di un “like” o di un mercato che prevede più il contorno
del marketing e assai meno la sostanza delle canzoni. Ruben Minuto,
chitarrista, autore, session man che abbiamo già conosciuto con il recente
Think of Paradise, fa parte di questo
mondo, passione blues e rock, ballate roots, american music assimilata
sullo strumento e nell’immaginario del songwriting. Nel tempo della
lunga attesa che ha costretto all’angolo lui e molti altri colleghi,
impossibilitato a far viaggiare sui palchi, il luogo più ideale, le
canzoni del citato Think of Paradise, non c’è stata altra soluzione
se non quella di tornare in studio, riunire gli amici, ripercorrere
un vasto repertorio (tre dischi solisti e molti di più in altre band
e progetti) e aggiungere tre curiose cover.
Raccolto di due sessioni dal vivo tenutesi tra ottobre e novembre scorsi
presso i RecLab Studios di Larsen Premoli, The Larsen’s Session
è un disco dotato di una coerenza sonora e una spontaneità musicale
che superano l’idea, magari abusata, di rivedere il proprio repertorio:
adattando le canzoni ai due diverse formule di band - una elettrica,
che alla sezione ritmica aggiunge le tastiere e l’organo di Riccardo
Maccabruni, una acustica nella formula del trio o del duo a seconda
delle esigenze – Minuto coglie le differenti sfumature del suo stile,
che parte dall’originale lettura di un tradizionale bluegrass come Molly
& Tenbrooks, soffusa, rallentata e notturna nell’esecuzione,
e approda al classico di Jimmie Rodgers, Why Should I Be So Lonely,
dal timbro sfacciatamente country&western. Ad accompagnare Ruben Minuto
in tutti i brani lo sparring partner Luca Andrea Crippa, con chitarra
e lap steel, assecondando gli umori di un disco che fa della naturalezza
e della complicità fra i musicisti il suo punto di forza.
Strada facendo si aggiungono anche le voci femminili di Jane Jeresa,
Sophie Elle e Lucia Lombardo, a dare manforte al tono più rude e di
impostazione country rock di Ruben Minuto. Mentre le ultime due sembrano
amalgamarsi meglio, complice anche la cornice acustica, in Who Cares,
Be Alive (piccola gemma dal dolce
sapore West Coast d’epoca) e In The Hands of Time, forse l’episodio
che si mostra meno malleabile è proprio la curiosa cover di You’re
the One that I Want, insieme a Jane Jeresa. Pop song dal gusto retro
che riconosciamo all’istante, per via del successo della colonna sonora
di Grease, dall’innocenza della coppia Travolta-Olivia Newton-John
passa qui ad un mood più languido e dilatato. Potrebbe essere solo il
frutto di un’idiosincrasia del vostro recensore, confesso, ma il tentativo
non convince del tutto, mentre il terreno elettrico intriso di humus
soul e blues di This Our of the Day e Jimmy Two Steps
o le sferzate funkeggianti di High Heel Shoes, episodi da full
band elettrica, appaiono assai più congeniali alla stessa interpretazione
di Ruben Minuto, aumentando il variegato piatto di questa spontanea
jam di studio.