Intervista a Michele Anelli
Chitarra e voce dei Groovers
L'intervista

Non si può fare a meno, secondo me, di notare un certo cambiamento, non radicale, ma significativo nel suono del gruppo: cosa ha spinto nella nuova direzione e quali, se ci sono stati, i punti di riferimento nel panorama musicale odierno?

Vedi come Groovers, verso la fine del 1998 ci siamo presi una pausa, nel frattempo ho suonato con l’ex-Settore Out Evasio Muraro. Insieme abbiamo formato i Flamingo un trio con il cantato in italiano. Durante questo periodo ho avuto modo di staccare la spina dai Groovers che ininterrottamente dal 1989 erano in giro tra concerti, dischi, cambiamenti di formazione ed altre cose ancora. Questa pausa è stata molto utile perché mi ha permesso di pensare al roots rock ed al blue collar con altre prospettive sempre all’interno dei confini ma esplorando un approccio diverso alla composizione e all’arrangiamento. Ascoltando band come Eels e Wilco mi sono reso conto di come gli stessi accordi arrangiati in altro modo potessero cambiare ‘faccia’ ad una canzone. Così è cominciata una ricerca musicale prestando maggior attenzione agli arrangiamenti essenziali senza appesantire le canzoni. Come Groovers ci si era abituati ad arrangiare i brani in modo standard pescando a piene mani nella nostra discoteca che comprende tutto il breviario del rock’n’roll. Quando l’anno scorso abbiamo cominciato a pensare al disco l’approccio è stato quello di differenziare innanzitutto il lavoro in studio da quello live. Così facendo, tra l’altro, ci siamo divertiti due volte. La prima registrando il disco. La seconda trovando un nuovo arrangiamento per i concerti. In studio il concetto era quello di tagliare tutte le parti che risultavano da riempitivo. Concentrandoci maggiormente sulla voce e il contorno che meglio si adattava. Il risultato è stato That’s All Folks!!

That's all Folks è costituito soprattutto da ballate elettro-acustiche: personalmente trovo che uno degli appunti che si possono muovere al disco è proprio quello di essere un po' monotono o se vuoi troppo sbilanciato su certe atmosfere. Mancano quelle sferzate rock'n'roll che rendevano davvero stimolante un lavoro quale September Rain: è stata una scelta precisa, in base al cambio di formazione, o solo un caso?

Se prendi come confronto solo September Rain probabilmente c’è questa differenza. Non devi però dimenticare che questo per noi è il quarto disco. Dunque mi sembra normale che in una discografia che comincia ad essere corposa (tra 45 girim tapes, compilations e cd) ci sia un disco più slow rispetto ad altri. D’altronde Neil Young pubblica Silver & Gold e qualcuno voleva forse un altro Weld? I Green On Red hanno alternato dischi sporchi di rock’n’roll ad altri più folkie. Non sono poi tanto d’accordo nel definire That’s All Folks!! un disco monotono. I brani hanno arrangiamenti diversi tra di loro. Forse l’intero disco non è immediato. Ha bisogno di più ascolti. Pensa che per assurdo questo disco da coloro che ci seguono da tempo è stato più apprezzato di September Rain nonostante quest’ultimo fosse stato scelto da alcuni giornalisti anche come miglior disco italiano dell’anno.In generale That’s All Folks!! è stato accolto bene dalla critica e ancora di più dal pubblico. Il disco ha un sound per certi versi innovativo nel nostro panorama musicale per chi si dedica a questo tipo di musica Le stesse vendite stanno andando sui ritmi di Soul Street il nostro secondo disco che avuto la maggior vendita di copie. I cambi di formazione nei Groovers ce ne sono stati molti. Ma sono ormai cinque anni che siamo rimasti solo io e Paolo a tirare avanti. Non penso dunque che abbia inciso più di tanto questo trovarci in due. Anche le prove per i concerti nella nuova formazione a quattro colgono in pieno lo spirito del disco arrangiando anche i vecchi pezzi sulla stessa linea.

Come accennavi tu, i Groovers sono rimasti sostanzialmente in due: come siete arrivati a questa situazione e come vi siete trovati a lavorare con gli altri musicisti in studio?

In due ci siamo trovati nel 1996 quando il nucleo storico dei primi due dischi si è sciolto. Idee diverse, altri stimoli, le distanze chilometriche che ci separavano non erano poco, dunque anche le prove e gli spostamenti negli anni diventavano difficoltosi. Sarebbe lungo spiegare i vari motivi per cui per September Rain sono stati presi dei musicisti ma poi persi tutti per strada nel giro di due anni. Diciamo che siamo arrivati alla conclusione che non si poteva più mettere insieme una band stabile e pertanto ci siamo rivolti a delle persone che oltre essere ottimi musicisti sono anche nostri amici. L’idea che abbiamo proposto li ha stimolati ed hanno accettato di buon grado di suonare nel disco e di farci compagnia dal vivo. Il risultato è da sentire ma all’esordio di giovedì 14 settembre mi sono divertito come non mi divertivo da tempo. E’ stato grande. Mi sono divertito un casino come gli altri. Meglio di così!

Mi hanno colpito in particolare i testi, credo molto più maturi rispetto al passato. Da dove nasce la coraggiosa idea, una volta si sarebbe detto il concept, di dedicare questo disco ai lavoratori, in particolare a chi per il lavoro ha perso la vita?

La dedica ci sembrava importante a fronte dei 1300 morti del 1999 e di quelli che quotidianamente perdono la vita per il pane quotidiano. Ma la dedica non rende l’album un concept. E’ una dedica forte che volevamo marchiasse in maniera indelebile questo periodo, Non a caso i concerti li facciamo sotto il nome di "Workin’ Class Tour 2000". L’aspetto del lavoro con tutte le sue sfaccettature occupazione/disoccupazione, fabbriche, officine, uomini/donne ecc. mi ha sempre interessato. Leggendo anche i testi degli altri album la questione sociale viene sempre fuori. Oggi forse meglio di altre volte sono riuscito a focalizzare le immagini e le storie che volevo raccontare.

C'è un motivo particolare che vi ha portato a scegliere le covers di Springsteen che interpretate nel disco? Le idee che stanno dietro a dischi come Nebraska o Tom Joad sono state un punto di riferimento?

La prima cover registrata è stata Stolen Car. Il nome Stolen Cars era anche il nome della mia prima band. Allora suonavo il basso erano gli anni ’80 e il genere era il classico garage-punk di matrice sixties. Era un doppio omaggio hai miei esordi e all’autore che più di ogni altro mi ha scaldato il cuore. Ma dopo aver registrato Workin’ Man in una nuova versione rispetto a quella apparsa nel 1993 sul primo disco Songs For The Dreamers sentivo che avevo bisogno di affiancarle un altro brano significativo. E così ho scelto Factory. Alla fine non sapendo quale scegliere visto che ci piacevano tutt’e due le abbiamo lasciate entrambe. D’altronde per anni ci siamo portati dietro il marchio affibbiatoci di Springsteeniani. Così facendo ho accontentato anche la critica più cattiva. Quella che non perdona nulla. Con o senza Springsteen qualcosa avrebbero tirato fuori così gli abbiamo agevolato il lavoro! Il rischio di due brani di Springsteen era elevato ma dopo tutti questi anni ci siamo detti "We still keep doing what we believe in….". Springsteen è stato un punto di riferimento. Lo è ancora oggi e penso lo sarà sempre. Nessuno meglio di lui. Nessuno.

Come ci si sente a proporre un certo tipo di rock in Italia, che, diciamo la verità, non è mai andato per la maggiore? Vi sentite in qualche modo parte di una piccola ma significativa realtà, che può comprendere gruppi come voi, i Cheap Wine o i Bluebonnets?

Dal 1989 ad oggi abbiamo visto nascere e morire un sacco di band legate a questo filone musicale. Non so se questa è una realtà che andrà a consolidarsi.In Italia la diffidenza e l’invidia tra bands non ha mai permesso un reale scambio di intenti e di energie. Molte volte ho cercato di coinvolgere in alcuni progetti altri autori e musicisti ma non si è mai fatto nulla. Nonostante di natura sia ottimista non vedo molti sbocchi ad una probabile scena italiana di questo genere. Molte sono le riviste che si occupano di questo genere ma principalmente guardano solo dall’altra parte dell’oceano. Spero in futuro di essere smentito. Negli States le collaborazioni sono infinite qui ognuno ha il suo spazio e difficilmente si cerca di costruire qualcosa insieme ad altri. Se fai blues, punk, garage ecc. hai un circuito dove proporti al di là della nazione da cui provieni. Il roots rock italiano soffre sempre di poca credibilità. Questo è un peccato perché quando abbiamo avuto di suonare insieme agli americani e abbiamo fatto ascoltare loro i nostri dischi i commenti erano veramente buoni. Comunque it’s only Rock’n’roll but we like it!!