Con questo Down the Line la band di Maurizio "Gnola" Glielmo, storico
pilastro della scena blues italiana, ha messo un bel punto esclamativo alla sua
già importante carriera. Con una formazione in parte rinnovata (al tastierista
Roger Mugnaini, si aggiungono infatti Paolo Legramandi al basso ed alle voci ed
il batterista e polistrumentista Cesare Nolli) e nobilitata in due brani del disco,
Ventilator Blues (unica cover, estratta da
Exile on Main St. degli Stones) e Room Enogh, dalla presenza del pianista
Chuck Leavell, la Gnola Blues Band ci consegna un lavoro straordinario,
un viaggio a cento miglia orarie, senza alcun obbligo di fermata, nella più vivida
cultura musicale degli States. Si parte da Chicago, si attraversa il Midwest e
si arriva nel profondo sud, finestrini spalancati e una scia di note da lasciare
sull'asfalto delle interstate highways o da mischiare alla polvere delle freeways
meno battute.
Il blues, nelle sue varie declinazioni, è il punto di origine
ma il rock e la tradizione roots dei "visi pallidi" d'America si impasta a dovere
nel lessico musicale della band di Maurizio "Gnola" Glielmo e il risultato è un
sound potente, pieno, caldo, suggestivo a cui è impossibile non associare paesaggi
e profumi d'oltreoceano, in una sorta di immaginifico road-movie domestico. A
cesellare i vibranti racconti sonori affidati alla voce dalla timbrica ruvida
e matura di Maurizio, ci sono soprattutto le chitarre che solo raramente cedono
la scena ai più discreti disegni melodici del piano (eccezion fatta per i due
brani con Chuck Leavell), in mezzo si insedia prepotentemente una sezione ritmica
massiccia, precisa ed instancabile. Down the Line finisce così per essere una
sorta di magnifico compendio del suono d'America e, perché no, dell'intero percorso
musicale di questi intransigenti cavalieri metropolitani, battezzati idealmente
nelle acque del Mississippi e spiritualmente in perenne trasmigrazione lungo la
Route 66. Muddy Waters, Buddy Guy, Bo Didley, John Lee Hooker ma anche gli Allman
Bros, gli ZZ Top, Steve Earle e John Hiatt e persino Jimi Hendrix e i Rolling
Stones, i riferimenti alle icone della musica nera, del southern rock, del boogie
stradiaolo e corrosivo e delle ballad country-rock, si sprecano.
La Gnola
Band viaggia su livelli d'eccellenza e non soffre certo di alcun complesso di
inferiorità nei confronti degli "originali" anzi, è bene essere chiari, Maurizio
Glielmo e soci di taroccato non hanno proprio nulla, sono made in U.S.A. alla
stregua di un Mcintosh o di un Levi's anni 70. Difficile fare una selezione mirata
dei brani, il disco non soffre di cali di tensione e, giusto per dare qualche
coordinata in più, ci piace segnalare Four Burning Flames
(coinvolgente roots song), una rovente Ventilator Blues, la biografica The
Ghost of King Street (scritta in collaborazione con Edward Abbiati
dei Lowlands), l'Hendrixiana Fallen Angels e i due pezzi finali, I've
Been There Before e Dangerous Woman Blues (più southern la prima,
una sorta di power electric blues la seconda). Complimenti quindi a Maurizio Glielmo
ed alla Gnola Blues Band e se è vero che, come dice il bravo recensore, non hanno
inventato nulla, è anche certo che dodici battute e "dintorni" possono bastare,
per chi sa davvero maneggiarle, a raccontare storie di musica che bruciano di
passione e vivono di un energico contatto col cuore ed i muscoli di chi ama farsi
scuotere dalle emozioni.