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Leandro Diana
Bring It On
[Leandro Diana 2023]


File Under: heartland roots rock

leandrodiana.bandcamp.com

di Fabio Cerbone

Sceglie una ballata dal tono intimo e crepuscolare, il primo singolo Drive, per presentare il suo nuovo album: è un cambio di registro significativo per Leandro Diana, autore e chitarrista di origini siciliane ma attivo sulla scena milanese, dalla quale arrivano anche i i numerosi contributi al qui presente Bring It On, le cui tracce base sono state incise presso l’Appartamento Sonoro di Ruben Minuto. Terzo disco solista, se abbiamo fatto bene i conti, che segue il più elettrico e stradaiolo Dirty Hands and Gravel Roads, l’album segna il passaggio dall’impostazione rock settantesca del precedente verso un cocktail di suggestioni che oggi definiremmo Americana, lì dove le diverse passioni sonore di Diana si incontrano e trovano una sintesi tra il country d’autore di A Good Place to Start (tra le migliori, anche nell’interpretazione vocale), l’heartland rock della stessa Bring It On, le rurali vibrazioni gospel di Dirty Faces e quelle punteggiate dal southern soul in I Was There. Ci guadagna in generale lo spessore delle composizioni, rifinite con passione e piena padronanza della materia da un manipolo di collaboratori tra i quali spiccano i contributi di Luca Andrea Crippa alle chitarre e lap steel, Andrea Palumbo all’armonica e Enrico "Ed The Blues Baker" Damiani all’organo e pianoforte. Sette i brani originali, nati tutti in un preciso periodo di tempo e per questo coerenti nel seguire un filo roots&blues, ai quali si aggiungono due cover perfettamente rivelatrici dell’educazione musicale del protagonista: Crazy ‘bout an Automobile, piccante blues che attinge alle sollecitazioni sudiste della versione che ne diede Ry Cooder, e Train to Birmingham, languida ballata rootsy firmata da John Hiatt. Ennesima conferma di un sottobosco di appassionati musicisti italiani che nelle ultime stagioni hanno sempre più acquisito confidenza con il linguaggio dell’american music, restituendolo con personalità.


 


Pulin & The Little Mice
Friends of Mice
[Pulin & The Little Mice 2023]


File Under: irish heartbeat

facebook.com/pulinandthelittlemice

di Nicola Gervasini

Partiamo da alcuni dati: i Pulin & The Little Mice sono in cinque, ma, se ho contato bene, la schiera di ospiti che hanno contribuito alle quattordici tracce di questo album conta 29 nomi, quasi una mega jam session in stile West Coast 1967 più che una semplice seduta di registrazione. “We Believe in old time music“ dichiarano dal loro sito, e lo dimostra anche questo loro secondo album che sempre più sposta il focus dal blues e dalla musica Americana tradizionale verso le origini delle terre irlandesi. Quasi tutti i brani sono infatti dei medley di traditionals, che uniscono standard sia americani che d’oltremanica con un effetto del tutto unitario. Pensate ad un tour dei Chieftains a Nashville (ascoltate Viola Lee Blues per esempio) e centrerete il messaggio. L’impasto di voci creato dai cinque sa di Planxty vecchia maniera d’altronde, così come piace l’alternarsi di molti strumenti tradizionali. Tra gli invitati alla festa organizzata da Antonio Capelli, Marco Crea, Giorgio Profetto, Matteo Profetto e Marcello Scotto, non potevano mancare anche Max De Bernardi e Veronica Sbergia che portano voci, chitarre e washboard nel medley Love Will Ye Marry Me/The Cuckoo’s Nest/Viper Mad e Hammer Ring/John of Badenyon/The Gravel Walks, e tra gli altri va citato il contributo di Luca Bartolini, pare non solo come chitarrista, ma anche in sede di “scelte incontestabili e definitive ad eccezione quelle con cui non eravamo d’accordo”. Ne è uscito un divertente bigino di tradizionali ormai fuori dal tempo ma incredibilmente sempre richiesti ed attuali, sia per ballare vecchie gighe (Plains of the Boyle/Good Ole Rebel/Kitty’s Wedding) che per farsi venire la malinconia (Hanapepe Waltz/After The Ball/Vales des Iles de la Madeleine o anche Ghost Woman Blues), fino al quasi inevitabile finale affidato a Rocky Road to Dublin. Da servire rigorosamente con pinta di Guinness.


     


Marco Crea
Tales for You
[Marco Crea 2023]


File Under: acoustic roots

facebook.com/creamarco

di Fabio Cerbone

Chitarrista ligure, attivo da anni nel progetto folk dei Pulin and the Little Mice, Marco Crea si ritaglia uno spazio solista con questa breve raccolta di dieci brani acustici, mezz’ora scarsa di musica, che si ispirano a un suono bucolico e tradizionale fin nelle ossa, ballate che ruotano attorno al mondo delle roots americane e non solo, intrecciando sapori country folk agresti, digressioni blues, coloriture irish, la stessa materia che da sempre fa parte della sua ricerca musicale. Tales for You è una dedica al figlio Davide e le canzoni stesse raccolgono impressioni di vita quotidiana, riferimenti alla natura e agli animali, con un linguaggio piano, confidenziale, che si fonda sul binomio semplice tra chitarra acustica e voce, per poi aggiungere piccoli dettagli strumentali a cura soprattutto di Massimo Costamagna (dobro, weissenborn e lap steel). Aperto e chiuso dallo strumentale C Dance, ballad dalle tonalità western in minore, Tales for You vive di suggestioni riflesse e di un innegabile amore per certe sonorità: la melodia di Carmelita è accompagnata dal violino di Antonio Capelli ed è curiosamente dedicata a un’asina, animale che sembra ricordare a Marco Crea il giusto ritmo (perduto) del mondo; Alfo Ragtime Blues dice già tutto nel titolo e fa emergere l’apporto musicale del dobro, protagonista anche nell’accompagnamento di Redwood Street e dell’ecologista In This Land, dove emerge un cantato che ricorda certi giovani Dylan degli anni Settanta (in particolare il dimenticato David Blue). Ecco, quello che manca ancora per rendere del tutto personali queste canzoni, sul cui affetto per le roots americane non vi è dubbio alcuno (la cadenzata Margotita, dedica alla gatta domestica, ha il passo di una vecchia folk song di Woody Guthrie) è proprio una maggiore convinzione dell’interprete Marco Crea, che non sempre appare capace di scrollarsi di dosso una certa devozione per i modelli di riferimento, o di portare la voce in una direzione che sia in grado di soprendere.


 


Slidin' Charlie & Boo Shake
Slidin' Charlie & Boo Shake
[Ember records 2023]


File Under: delta blues

facebook.com/slidincharliebooshake

di Fabio Cerbone

Incentrato esclusivamente sulle dinamiche essenziali di chitarra e batteria, l’omonimo esordio di Slidin’ Charlie & Boo Shake presenta il duo blues palermitano alle prese con un repertorio in gran parte originale (e questo è senza dubbio l’elemento più positivo), nove brani firmati dalla coppia e una sola cover, la conclusiva Bourgeois Blues di Leadbelly. Carlo Pipitone (voce e chitarra) e Giuseppe Buscemi (batteria) uniscono la passione per la materia a metà degli anni Duemila e fanno il loro esordio ufficiale sui palchi nel 2011, portando avanti anche una serie di partecipazioni a festival e rassegne blues sul territorio italiano. Il tempo è dunque maturo per un disco che riprende le intuizioni dei primi Black Keys e North Mississippi Allstars, fondendo la tradizione del “blues delle colline” di personaggi come RL Burnside e Junior Kimbrough con l’irruenza del rock elettrico, senza dimenticare antesignani di una certa “sporcizia” boogie come Hound Dog Taylor. Il suono è collaudato, la formula conosciuta, tanto è vero che dalle prime svisate della slide guitar in Try Me siamo proiettati in atmosfere famigliari a chiunque abbia apprezzato il genere in questi anni. La riprova giunge con l’andatura decisamente più garage di Between You and Me e una Driving che mischia la radice blues con un incedere rock alla Neil Young. L’intesa fra Pipitone e Buscemi c’è tutta e dimostra il rodaggio dal vivo, anche se resta l’impressione di una materia abbondantemente indagata e che per la natura stessa dell’incisione, grezza e senza sovrastrutture, nostra un po’ la corda sulla distanza. È un confine che Slidin’ Charlie & Boo Shake sono probabilmente consapevoli di non varcare: ogni cosa è rimessa al groove e all’energia di episodi quali A Long Time Ago e Once I Had a Girl, sebbene i passaggi più coinvolgenti arrivino dalle trame rallentate e ipnotiche di When You Got a Good Girl e Bad Thoughts, a metà strada fra il Delta del Misssissippi e i club di Chicago.

 


<Credits>