Il fiume Mella non è esattamente il Rio Bravo, né tanto meno la bresciana Val
Trompia può essere accostata ai paesaggi desertici del South West americano, ma
nel gioco dei confronti e nell'intreccio delle culture, linguistiche e musicali,
si fonda l'operazione tentata da Charlie Cinelli, con la complicità di
un manipolo di musicisti e la produzione di Andrea Parodi. Rio Mella
è una sorta di melting pot cucinato in casa dove l'America immaginata e assorbita
da ascolti e passioni si trasforma in una chiave di lettura della propria terra.
Nel caso di Cinelli è appunto quella delle valli bresciane e di un dialetto espressivo
che colora buona parte degli episodi, alternati però da qualche traccia in italiano
e da un finale in inglese (Sweet Pony, nella traduzione a cura del fotografo
e documentarista Frank Lisciandro).
Questo a conferma della trama variopinta
dell'album, che ha il suo manifesto nell'apertura con Gal
del Ciél, vivace trasposizione in dialetto della famosa Gallo del Cielo
di Tom Russell (e resa ancor più leggendaria nella versione di Joe Ely).
Così il border messicano e le sue cittadine cedono il passo a Lodrino e Lumezzane,
nuovo teatro della vicenda, mentre la colonna sonora conserva i tratti accesi
del tex mex, grazie anche al coinvolgimento di chi quella canzone ha contribuito
a scriverla. È proprio la chitarra spanish di Andrew Hardin, per anni al
fianco del citato Russell, a farsi protagonista, insieme all'accordion di Joel
Guzman. Sono alcuni degli strumentisti americani che Andrea Parodi - a
sua volta autore innamorato di questo angolo di american music - ha trascinato
nelle sessioni, servendosi di una rete di amicizie artistiche coltivate negli
anni, che oggi offrono il loro contributo a un suono elettro-acustico colorito
e tradizionalista.
Così Rio Mella si veste di tonalità ai confini tra
country rock, folk e fragranze messicane, le trascina verso la canzone d'autore
italiana (nella bella e inaspettata versione di Pablo
- De Gregori, Dalla - qui "sporcata" dall'organo di Augie Meyers manco
fossimo in un disco del Sir Douglas Quintet) e trova un buon compromesso nell'utilizzo
di una lingua duttile e pittoresca come la parlata bresciana di Cinelli. Sono
proprio questi ultimi gli episodi più efficaci della raccolta: la stessa Rio
Mella, ballata da polvere e confine che sembra aggiornare la Tequila
Sunrise degli Eagles, il cristallino country elettrico di Primaéra e una
più riflessiva e nostalgica Mèza Cica che
flirta con gli orizzonti della West Coast, tra il Neil Young di Harvest e gli
America. L'esperienza di Cinelli in tale commistione è fondamentale, tanto che
i passaggi in italiano de Il Ponte e Via della Scala (cover di un
brano di Stefano Rosso) appaiono meno convincenti o soltanto più impostati (discorso
che in parte si estenda anche alla citata Sweet Pony, con le partecipazioni
di Bocephus King e Carrie Rodriguez). Non si è persa del tutto quella vena umoristica,
che qui fa capolino nei campanacci blues e nei rumori "waitsiani" di Fatura,
tra i momenti più rustici e saporiti del disco, ma Rio Mella predilige un'inflessione
più elegiaca, nelle memorie e nelle storie che racconta (il ricordo degli zii
immigrati in Argentina con Viento de amor), siano queste legate all'esperienza
stessa di Cinelli o a scorci storici di un tempo italiano perduto (la vicenda
di contrabbando narrata in Tresenda 43, a
firma Parodi).
Non è affatto un terreno inedito quello del dialetto per
il chitarrista e autore di Sarezzo, per anni diviso fra la carriera solista e
il fortunato trio di Charlie & The Cats, dalla ricca discografia, anche se oggi
l'approccio sembra più profondo, stemperando l'ironia di un tempo in canzoni più
mature e personali.