Negli anni settanta il doppio album live era una cosa seria, un appuntamento
cruciale per tutti, grandi e piccoli artisti. Era la piena realizzazione di un'idea
(Allman Brothers Band), il canto del cigno (Led Zeppelin, Lynyrd Skynyrd, Little
Feat), per alcuni lo zenith di un periodo creativo inimitabile (Van Morrison,
The Band), per altri invece l'occasione per farsi notare dopo tanti album di poco
successo (Bob Seger). Il doppio album live era generalmente inteso come il greatest
hits definitivo di un artista, e di fatto per molti poteva tranquillamente sostituire
tutta la discografia in studio (si pensi agli Outlaws o alla J Geils Band). Oggi
ormai, dopo l'era delle jam-band, degli instant-live e del bootleg come prodotto
discografico riconosciuto, il live stesso è diventato un semplice documento e
non più uno strumento marketing da studiare a fondo e con attenzione. Eppure esiste
qualcuno che ancora ha pensato un doppio album come il punto di arrivo di un viaggio,
il prodotto che potrebbe anche annullare tutti i precedenti. E ci fa piacere che
a pensare ancora in vecchio stile siano proprio i marchigiani Cheap Wine,
band che abbiamo seguito fin dalla nascita di questo sito (il nostro archivio
segnala ben 12 articoli su di loro in 10 anni, tra recensioni, resoconti live
e interviste), e la cui continua maturazione artistica è culminata con l'ultimo
Spirits.
Stay Alive! è un doppio cd pensato come i vecchi doppi vinili di
una volta, ha una divisione in 4 facciate ben riconoscibile, e soprattutto è pensato
come IL live dei Cheap Wine, e non UN semplice live della band.
I brani
da richiedergli nei concerti ci sono tutti, il "lato A" è quasi tutto dedicato
a ribadire la bontà del repertorio recente, quanto ad esaltare la bravura alla
chitarra acustica di Michele Diamantini. Considerato che la voce del fratello
Marco sembra non poter dare di più se non essere comunque profonda e molto credibile
per interpretazione, è proprio la esponenziale crescita della sua chitarra che
finisce a farla da padrone, soprattutto quando - come succedeva sempre nei doppi
live che si rispettino - nella terza e quarta facciata i tempi si dilatano e arrivano
le lunghe cavalcate (la sequenza Snakes -
Loom And Vanish abbatte ogni frontiera tra
lui e un vero guitar-hero), ci si lascia andare al blues (Leave
Me A Drain) e al rock barricadero (Move Along).
Ma alla fine quello che rende Stay Alive! il loro disco definitivo è il fatto
che spazia in tutta la loro discografia, recuperando perfino Among
The Stones dal primo album A Better Place del 1998, ma ricordandosi
di quanto era devastante Reckless (era su
Crime Stories del 2002) o esaltando la vena cantautoriale di Freak Show dando
via libera al piano di Alessio Raffaelli in Nothing Left
To Say. In ogni caso 19 brani su 21 vengono dal loro repertorio, e
davvero non si nota nessuna differenza qualitativa tra vecchi e nuovi, a testimonianza
di un corpus di canzoni che si è mantenuto sempre di primissimo livello, indipendentemente
dalla loro crescita di musicisti (anche la sezione ritmica di Alan Giannini e
Alessandro Grazioli ormai può dirsi tra le più affidabili del nostro paese). Le
cover sono dunque solo due, Bruce Springsteen (Youngstown)
e Neil Young (Rockin' In The Free World) e
servono solo a ribadire la propria appartenenza di campo, ma se si fossero staccati
dal seno di mamma evitandole, non ci avrebbero tolto nulla.
Bene, bravi
e….no, niente bis stavolta. Stay Alive! è un live di quelli seri,
per cui chiude, cementa e definisce la fine di un'era, e non necessita di repliche.
Di solito a questo punto negli anni 70 succedeva che le band o si scioglievano
in mille progetti solisti, o provavano svolte artistiche tra l'astruso e l'azzardato,
o semplicemente intraprendevano un nuovo emozionante percorso. Se sarà così, noi
saremo sempre lì dove andranno i Cheap Wine, ma prima lasciateci riprendere da
questa festa. (Nicola Gervasini)