Ci sono vent'anni alle spalle e una bella storia di resistenza sulla linea di
un rock'n'roll senza compromessi per i Cheap Wine: non è un dato trascurabile
per chi ha scelto, come la band pesarese, di stare dalla parte delle proprie passioni,
fedele a un'idea che certo non gli ha portato guadagni facili e prime pagine.
Per questo ed altri motivi li abbiamo sempre seguiti con attenzione nel loro percorso.
Dreams è in fondo un'altra delle possibili declinazioni dei Cheap
Wine, che in una dozzina di album, in studio e dal vivo, hanno saputo tenere il
punto eppure evolversi, provare strade elettriche e acustiche, spostare leggermente
il proprio sound senza mai snaturarne l'essenza. In questo senso l'ultimo arrivato
è al tempo stesso una sorpresa e una conferma per chi li aveva osservati nel passaggio
da Based on Lies a Beggar Town, fino al singolare live Mary
and the Fairy.
Non a caso Dreams giunge al culmine di una
trilogia, come afferma lo stesso gruppo nel presentare il disco: dai luogi oscuri
e dalla crisi alla ricerca di una nuova prospettiva fino al desiderio di rinascita
e futuro che contengono i testi di queste dieci canzoni, riflesse anche nei colori
accesi e psichedelici della copertina. Nato dal basso, con una campagna di crowfunding
da parte di molti estimatori della band, Dreams sorprende per il suono più languido
e orientato alla ballata, per l'assenza di quella tipica asprezza lanciata in
fughe chitarristiche, per la presenza più visibile delle tastiere di Alessio Raffaelli
dentro la struttura degli arrangiamenti, ma ribadisce anche che c'è un filo rosso
che lega questo lavoro ai suoi predecessori. Certamente è un album che richiede
tempo per entrare nel suo mood più dilatato, e non tragga in inganno la partenza
carica di pulsioni rock stradaiole di Full of Glow.
L'organo dai contorni psichedelici di Naked
e l'intreccio con le chitarre dal passo Crazy Horse portano già in un'altra direzione,
quella più ostentata nell'intero Dreams: in un certo senso è quasi un ritorno
alle radici di partenza, al Paisley Underground e alla neo-psichedelia dei Green
on Red a cui i Cheap Wine hanno "rubato" il nome, ma nel tentativo di leggere
la trama musicale potremmo anche scomodare le timbriche dei Doors in The
Wise Man's Finger, persino alcune tentazioni progressive nelle melodie
e negli arpeggi "pinkfloydiani" di Reflections,
una delle ballate più personali che i Cheap Wine abbiano mai scritto. In realtà
la formazione di Marco e Michele Diamantini non ha bisogno di questi richiami
per esprimere la sua personalità, matura e riconoscibile dopo tutto questo tempo
on the road.
Ciò nonostante colpisce che il viaggio di Dreams non si accontenti
di ripetere forme collaudate, ma cerchi di mettere alla prova il suono dei Cheap
Wine stessi alla luce delle liriche di Marco Diamantini, sempre piene zeppe
di metafore, immagini vivide, sogni per l'appunto. Questo anche a costo di compiere
a volte qualche giro a vuoto: Cradling My Mind appare un po' irrisolta
nella sua semplice trama acustica, e così I Wish I Were the Rainbow sembra
non sollevarsi, cullando un dolce arpeggio che svanisce piano piano all'orizzonte.
A bilanciare sull'altro piatto ci sono tuttavia le sferzate livide di una trascinante
Bad Crumbs and Pats on the Back, il risveglio
dopo la confusione e i "giorni stravaganti" raccontati dai Cheap Wine, rock a
tinte noir che si affianca alla scura For the Brave, ode per i coraggiosi
che vogliono andare incontro alla libertà dopo la tempesta, persino riconoscersi
negli affetti familiari più semplici, fulcro tematico di questo disco che
giustamente si conclude con la title track, una Dreams
che in sette minuti distende il talkin' profondo e riservato della voce di Marco
Diamantini affiancata dalla mite delicatezza di un semplice riff di tastiere.