Giunto al traguardo del quarto disco in sei anni (un Ep e tre albums), il cantautore
di Cecina amplia ulteriormente il suo orizzonte musicale con un progetto, nuovamente
finanziato con successo su Musicraiser, che esprime la maturazione del compositore
e dell'interprete. Cesare Carugi è un vero appassionato di musica, come
autore e come organizzatore di concerti con il Roots Music Club (tra i colpi di
quest'anno ricordiamo Jesse Malin e il tour della prossima estate di The White
Buffalo) ed è riuscito a ritagliarsi uno spazio significativo nel panorama del
roots rock italiano, genere in continua progressione, pur restando inevitabilmente
racchiuso in una nicchia che è difficile ampliare, nonostante i meriti degli artisti.
Il titolo Crooner Freak vuole evidenziare i due volti della
musica di Carugi: il lato elegante del crooner e il lato minaccioso e stravagante
del freak. Effettivamente è il disco più vario della sua produzione, alternando
tracce di ispirazione roots americana a momenti più rock e a contaminazioni pop
e West Coast, con un uso della voce a tratti sorprendente. Registrato come sempre
a Cecina, con collaboratori di lunga data come il prezioso chitarrista Leonardo
Ceccanti, il bassista Matteo Barsacchi e il batterista Matteo D'Ignazi, con i
testi in inglese confrontati insieme alla cantatutrice Vanessa Peters, Crooner
Freak ha una partenza sparata con il rock tagliente di The
Long Black Wall. Ma non lasciatevi ingannare, l'atmosfera si
rilassa subito con Waterfall, ballata melodica molto curata anche nelle
parti vocali, cambiando un'altra volta con la traccia che mi ha colpito maggiormente,
John Butler Train, incisiva ballata di ispirazione
western nella quale spiccano il mandolino di Tim Easton, la fisarmonica di Riccardo
Maccabruni e il contrabbasso di Joe Barreca (Mandolin' Brothers). E tanto per
proseguire con i cambi di ritmo Face In The Crowd ha un passo cadenzato
tra Clash e Willie Nile, mentre Beautiful When You Cry
è una pregevole ballata intimista arricchita dalla pedal steel di Paolo Ercoli.
La parte centrale del disco privilegia i toni melodici con Farewell
San Francisco Bay, che ci trasporta ai confini della Bay Area non solo per
il titolo, ma per la melodia e le parti vocali di ispirazione californiana (controbilanciate
da un testo duro e amaro), la sconsolata love song Violet e For
Many Days To Follow, che si avvicina alle melodie tra pop e prog dei
Procol Harum, con una pregevole coda strumentale. Le chitarre tornano a ruggire
nella rabbiosa The Underworld, ma si acquietano in The Crowded House,
che nel finale ricorda gli impasti vocali dei migliori Genesis. In chiusura Certain
Saturday Nights, con un testo sul terremoto emiliano e Like A Long Goodbye,
duetto con Eugene Ruffolo, ricalcano toni sobri e morbidi, confermando l'impressione
di un disco maturo e meditato, nel quale il Crooner prevale (e non di poco) sul
Freak.