John Trudell
Stickman: rock'n'roll poetry 
  

"Johnny Lobo knew the rules and grew into a warrior// Fighting for his people and his soul"
(Kris Kristofferson - "Johnny Lobo")

Il ritratto

a cura di Marco Denti

John Trudell lo chiamava Rant And Roll, proprio come la canzone che apriva "Johnny Damas And Me". Un modo di intendere l’uso della parola, della poesia e della musica che le riassume in un solo corpo con uno spirito combattivo distinto da “umiltà e gratitudine”. Per essere quello che è stato, libero, coraggioso, sincero, per dire quello che ha detto, ha pagato un prezzo inimmaginabile, inseguito e perseguitato come ogni ribelle, ammirato e difeso da tutti gli outsider, una nuova tribù in cui si è riconosciuto e che l’ha adottato. Kris Kristofferson lo definiva “un pazzo lupo solitario, un predicatore, un guerriero pieno di paura e divertimento e risate e amore. E’ reale. La giustizia è un fuoco che brucia dentro di lui. Il suo spirito urla per quello e lo rende pericoloso”.

La sua poetica è sempre stata limpida e lineare: nelle canzoni, nei versi, nei discorsi. L’uomo e la donna (la donna, soprattutto) erano sempre il cuore dell’universo delle sue riflessioni, insieme alla terra, con l’imperativo di “trovare un modo per comunicare i nostri pensieri, la nostra resistenza e la nostra coscienza”, per difendersi dalle menzogne, dall’avidità, dallo sfruttamento economico, dalla disinformazione, dalla decadenza e da tutto ciò che alimenta la Rich Man’s War. Non c’era niente di esotico o di mistico nel suo salmodiare, cantava con una semplicità profetica che il Grafitti Man riassumeva così: “Sono solo un essere umano che prova a esserlo in un mondo che sta perdendo molto rapidamente la comprensione degli esseri umani. E’ quello di cui abbiamo assolutamente bisogno: esprimere i nostri sentimenti e capirci, conoscerci, ritrovarsi. Dobbiamo farlo, non c’è alternativa, non c’è possibilità di nascondersi. Essere quello che diciamo e dire quello che siamo: questa è la via”.

All’orizzonte non c’era sconfitta o vittoria, né premio o condanna, per John Trudell esporsi, esprimersi non era nemmeno la cosa giusta, era l’unica: “E’ sempre sembrato che il meglio che potessimo fare non era mai abbastanza, in qualche modo non si arrivava mai nei posti che stavamo cercando, domani il vicino davanti a noi, il nostro passato nel tempo, con le risate di ieri che riecheggiano nelle ombre di promesse dimenticate, lottiamo per andare avanti prendendo ogni giorno, uno alla volta, riparando e spezzando, creando modelli per la nostra vita”. John Trudell si ostinava a non lasciarsi incastrare in un’identità, in una forma, a inseguire una disperata essenzialità: “Siamo una generazione che non ha poeti. Gli unici poeti con cui possiamo confrontarci sono morti e non ne abbiamo altri perché i poeti che sono diventati rock’n’roll star non vengono riconosciuti come poeti, ma come songwriter, ma comunque c’è un posto dove poter recitare le nostre parole nella nostra realtà. E infatti qualcuno mi chiama poeta. Qualcun altro dice che sono un militante. C’è anche chi sostiene che la mia poesia e la mia musica siano politiche. Altri dicono che parlano dello spirito del mio popolo. Non mi ritrovo in tutte queste etichette. Probabilmente c’è un po’ di tutto ciò, ma sento di essere qualcosa in più di ogni singolo aspetto. E’ quello che tutti noi siamo. E’ ciò che ci rende umani”.

La voce dei Blue Indians non è stata soltanto una Tribal Voice, aveva una dimensione universale, un canto che è stato primordiale e rock’n’roll, in questo incontrollabile, come ammetteva lo stesso John Trudell: “Ovviamente sapete che sono impazzito. Sono impazzito molto tempo fa. Fidatevi, è il posto più sicuro”.

Buon viaggio, Crazy Horse


tratto da: bookshighway.blogspot.it/2015/12/john-trudell.html

 
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Aka Grafitti Man
[Rykodisc 1992]

di Fabio Cerbone

Sciamano del rock'n'roll, pittura e taglio di capelli che evocano le sue fiere origini Sioux e un giubbotto di pelle che invece sentenzia l'appartenenza alla tribù elettrica, John Trudell si rivela al grande pubblico nel 1992 grazie ad AKA Grafitti Man (mi raccomando, l'errore nel titolo è voluto). Anche in Italia l'eco del suo affilato rock di protesta si apre un varco, portando in dono la vicenda umana di un poeta (anche se lui si schernisce di fronte alla definizione, e dichiara di avere imparato di più dai dischi di Elvis e Bob Dylan) e attivista politico che ha pagato a duro prezzo la sua battaglia contro il potere del governo federale americano. Resteranno infatti un mistero insoluto e una macchia indelebile le morti della moglie e dei tre figli in un incendio nella casa dei suoceri all'interno della riserva indiana del Nevada. Ufficialmente una disgrazia accidentale, dietro la maschera molti dubbi e una certezza: Trudell è da anni la voce pubblica dell'American Indian Movement, un cittadino scomodo e una spina nel fianco dell'estabilishment, da sempre risoluto nel rivendicare i diritti negati al suo popolo. Gli anni successivi al dramma familiare lo spingono dalla politica attiva verso la musica e la testimonianza dei versi: è del 1983 il suo debutto ufficiale, primo tentativo di formare i Bad Dog, la rock'n'roll band che lo accompagnerà nel suo viaggio di testimonianza.

Non è folk di protesta, non c'è nostalgia nella musica di Trudell, tanto meno retorica con chitarra acustica a tracolla: il suono intreccia un ipnotico recitato (John non canta, eppure ha una musicalità potente, ancestrale nell'unirsi gli strumenti) e un rock blues dalle inflessioni urbane che fece dire a Mauro Zambellini dalle pagine del Mucchio Selvaggio come "Aka Grafitti Man possa essere confuso con delle outtakes, rintracciate in una riserva indiana, di New York". Il riferimento è al capolavoro contemporaneo o quasi di Lou Reed: somiglianze ineccepibili nella voce e in quel talkin' crudo che si adatta come velluto allo scandire secco delle chitarre. Il nucleo originale di queste incisioni risale in verità al decennio precedente, quando Trudell le pubblica soltanto su cassetta e comincia farle circolare nei circuiti indipendenti delle riserve indiane. La sua voce diventa una delle più autentiche e spietate cronache dall'altra America: canzoni politiche certo, nel significato più denso del termine, ma anche descrizioni umane di una nazione in perenne conflitto, atti d'accusa contro le pratiche delle grandi corporazioni, gli ingranaggi dell'economia capitalista e del suo materialismo, l'incessante macchina di produzione della guerra. Sono gli anni, non dimentichiamolo, che segnano il passaggio dal liberismo obnubilante di Ronald Reagan alla crisi del Golfo sotto la direzione di George Bush e Rich Man's War o Bombs Over Baghdad ne fotografano l'inganno.

Allo stesso tempo nei brani di Trudell si affacciano le sue radici: la ciclicità della Madre Terra, il rispetto dell'ambiente, la sua condizione di nativo americano ma anche di figlio della rivoluzione rock (evocata nella strepitosa Baby Boom Ché), della contestazione e controcultura dei sixties (la sua figura fu al centro della famosa occupazione dell'isola di Alcatraz da parte del movimento Indians of All Tribes a partire dal 1969). Da qui nascono Grafitti Man, Restless Situation, Somebody's Kid, alternando sensazioni su un ispido tappeto di chitarre e organi in Wildflowers, il passaggio più soul della raccolta, a stentoree ballate che inglobano senza falsa enfasi i canti della tradizione con le slide guitar del blues. È la figura di Jackson Browne in particolar modo, amico di Trudell fin dal decennio precedente, a sovvenzionare l'esordio internazionale, diventando di fatto il produttore esecutivo dell'album. Le scarne canzoni concepite insieme allo scomparso chitarrista (anch'egli nativo americano) Jesse Ed Davis (session man di culto del rock anni settanta e membro della band di Taj Mahal ) e al canto tribale di Quiltman vengono quindi remixate e arricchite dalle presenze di nomi importanti dell'entourage rock californiano e non solo, dalla batteria di Chad Cromwell al basso di Bob Glaub al piano di Bill Payne (Little Feat), oltre alle presenze dello stesso Browne e di Kris Kristofferson alle voci (quest'ultimo dedicherà alla tragica storia familiare di Trudell la splendida Johnny Lobo).

L'ossuto suono originale di Aka Graffiti Man si arricchisce così delle dinamiche di una rock'n'roll band dal taglio cinicamente blues e stradaiolo (Rockin' the Res, Never Never Blues), sfruttando anche le coloriture di armonica e piano, ma sempre sullo sfondo rispetto alla centralità dei versi di Trudell: i quali non hanno nulla di declamatorio e men che meno predicano da una cattedra, semmai si sporcano le mani con il fango delle strade di un'America (e di un mondo) che tradisce e affama la propria umanità.

 

 
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Intervista integrale alla pagina: www.rootshighway.it/speciali/trudell.htm

a cura di Massimo Baraldi

Hai sviluppato il concetto che tutti noi siamo "Blue Indians" (n.d.a.: blue è da lui usato in relazione all'espressione "blue collar" che indentifica gli operai, i "colletti blu"): cosa significa esattamente?

Bè, io mi guardo intorno e vedo che il mondo è diventato una "Riserva Industriale". Sai, c'è una classe dirigente industriale su questo pianeta ed ha trasformato tutte le nazioni e tutti i paesi in un'enorme Riserva. Così, tutti i popoli che sono cittadini di queste nazioni stanno affrontando ora ciò che gli Indiani hanno affrontato in passato: insicurezza economica, le loro vite sono… loro non sopravviveranno: qualcosa sta assumendo il controllo delle loro vite. Così, questo è ciò che intendo: ognuno è un Indiano, ora

Quale pensi sia la via per uscire da questa situazione? È uno scenario terribile quello al quale ci troviamo innanzi.

Penso che dobbiamo usare la nostra intelligenza. Chiaramente e coerentemente. Penso che dobbiamo pensare la nostra via attraverso tutto questo. Non lo stiamo facendo, ora. Non stiamo pensando la nostra via attraverso un bel niente. Tutti sono occupati a reagire emozionalmente alle paure e ai pericoli e alle insicurezze. Dentro le loro teste, fuori dalle loro teste: tutti reagiscono emozionalmente, nessuno si prende il tempo per pensare chiaramente e coerentemente. Questo è ciò che dobbiamo fare

C'è una cosa che mi ha molto sorpreso nel tuo lavoro: hai speso la tua vita lottando per i diritti dei Nativi Americani ed affrontando esperienze che avrebbero potuto spezzare lo spirito più forte, ma nella tua Arte non trovo alcun senso di commiserazione o di rancore personale: il tuo messaggio sembra essere più alto. Ti va di parlarne?

Bè, non lo so, perché non ho mai guardato a ciò che sto facendo come al tentativo di portare un messaggio, così non… non penso a me stesso come ad un messaggero con un messaggio, io sono io e mi comporto nel modo in cui mi comporto e faccio ciò che faccio perché sono io, e questo è ciò che faccio. Non direi che c'è qualcosa che va nella direzione del messaggio, o direi che, più che un messaggio, è come se nel mio modo personale cercassi di patrocinare un uso chiaro e coerente della nostra intelligenza… perché, qualunque siano i problemi, sono riconducibili ad un'unica soluzione: in qualità di esseri umani dobbiamo assumerci la responsabilità della nostra intelligenza e utilizzarla chiaramente e coerentemente. E questo… io non so se questo sia un messaggio, ma è quanto penso in questo momento della mia vita.

Vedo tutti i problemi che ci circondano e sai, non c'è una soluzione politica, non c'è una soluzione religiosa, non c'è una soluzione militare: tutte queste cose sono il problema (ride). Esse non sono la soluzione, quindi tu non troverai una soluzione all'interno del problema, devi guardare esternamente al problema e questa è la ragione per cui abbiamo semplicemente bisogno di usare la nostra intelligenza nel modo più chiaro e coerente che ci è consentito. Fin dalla nascita siamo stati programmati a credere ciò che la classe oppressiva vuole che noi crediamo. Non siamo mai stati educati a pensare. Siamo stati programmati con dati ed informazioni per fare funzionare il sistema, così come ci si sarebbe comportati con una macchina. Non siamo stati educati come esseri umani. Non siamo stati educati a ricercare e vedere la conoscenza. Siamo stati educati a memorizzare, a credere e a vomitare fuori il tutto a comando. E quindi… quindi la situazione è seria. Se vogliamo cambiare dobbiamo pensare in modo creativo: dobbiamo creare un uso coerente della nostra intelligenza.

Direi che tu sei un buon esempio in questo senso…

Oh, no! (ride) Non lo credo davvero! …ma io sono un esempio del fatto che non ha importanza chi siamo, cosa abbiamo attraversato o cosa abbiamo fatto: possiamo sempre essere coerenti ed intelligenti. Il portare qualunque coerenza è in sé valido, è importante. È l'incoerenza che noi portiamo che ci lascia esattamente dove ci troviamo, ed il reagire solo emozionalmente, bè, questo ci costringe in un cerchio di perpetua incoerenza. In molti dei casi in cui reagiamo emozionalmente, dopo aver avuto la reazione emozionale capiamo di non aver davvero espresso i nostri sentimenti, ma semplicemente sfogato la nostra frustrazione.

O qualcosa che stava solo in superficie.

Già. Ed è esattamente ciò su cui dovremmo meditare: dovremmo sentire con i nostri sentimenti e pensare con la nostra intelligenza. Non dovremmo reagire emozionalmente, emozioni e sentimenti sono due cose diverse. Voglio dire, sono simili, ma i sentimenti sono per gli esseri umani. Sentimenti: questo è il modo per essere in comunicazione con gli esseri umani, i sentimenti poi sono gestiti attraverso le emozioni. Quindi abbiamo bisogno di sentire e pensare come esseri umani. Pensare chiaramente. Voglio dire, siamo stati programmati e condizionati a reagire in ogni occasione, c'è ora una difficoltà a mutare il nostro modello comportamentale così, subito, perché ormai siamo stati programmati. Ma se solo pensiamo chiaramente e coerentemente a ciò che ha senso, allora saremo obbligati a credere. Creeremo la soluzione al problema. Lo faremo davvero.

Non comprendiamo il nostro potere in quanto esseri umani, semplicemente. Siamo stati programmati a credere che il potere sia nei soldi, nel governo, nella religione, nella gerarchia, nelle cose materiali, ma in realtà il potere per noi è in relazione all'uso chiaro e coerente della nostra intelligenza. Il potere non è nient'altro. Voglio dire, possiamo rappresentare quel potere immaginando quanto male puoi sentirti con le tue insicurezze, le tue paure ed i tuoi dubbi. Quanto male puoi sentirti: questo è il potere della nostra intelligenza. Noi siamo stati programmati affinché perdessimo il potere della nostra intelligenza in questo modo, non siamo stati educati ad utilizzare il potere della nostra intelligenza in un modo più creativo e sano. Ce ne andiamo in giro pensando di essere impotenti e cose del genere, ma non è così. Se ci picchiamo dritto dentro le teste nel modo in cui siamo stati programmati a fare, e ci riusciamo bene per davvero, allora non siamo impotenti! (ride) Questo è ciò che dobbiamo riconoscere e comprendere!

Guardando al passato, agli scontri degli anni '60, pensi che quanto è accaduto allora abbia portato dei cambiamenti per la nuova generazione? Che ne abbia migliorato la vita?

Bè, sì. Ha mantenuto una certa consapevolezza che qualcosa stava prendendo vita, fiorendo, ma ritengo che questo sia l'aspetto più significativo perché sai come va il sistema… nessuno ricorda. Sai, è come se in tre generazioni… la quarta generazione non ricorda ciò che la prima ha passato! Qualunque cosa noi abbiamo fatto negli anni '60 ha prodotto dei cambiamenti positivi per tanti versi, ma ovviamente quei cambiamenti positivi sono stati assorbiti dai cambiamenti negativi. È qua che ci troviamo ora. E perché esiste questa condizione? Questa condizione esiste perché ciò che facevamo era emozionalmente motivato. Non abbiamo usato la nostra intelligenza. Eravamo in gamba, abbiamo programmato nel modo giusto e tutto questo tipo di cose, ma non abbiamo usato la nostra intelligenza intelligentemente. Abbiamo usato la nostra intelligenza nel modo in cui eravamo programmati a fare. Non abbiamo utilizzato la nostra intelligenza per pensare a cosa ci trovavamo davanti. Abbiamo usato la nostra intelligenza per reagire alle nostre frustrazioni emozionali.

Se guardi alle cose, questo è accaduto per secoli, per migliaia di anni. La classe oppressiva, nel corso della storia, ha trovato un metodo per allontanarci dalla consapevolezza della nostra relazione col potere. Così abbiamo creduto che lo detenessero, ma non era così. E loro hanno utilizzato il potere che noi credevamo detenessero per far girare il loro sistema. Il punto ora è che abbiamo bisogno di pensare come esseri umani, nuovamente. Gli esseri umani non vivrebbero nel modo in cui noi viviamo, no davvero. Non pensiamo come esseri umani, e questo è tutto ciò che dovremmo fare. È una soluzione semplice che presenta le sue complessità, perché bisogna che la gente comprenda… se ci PENSIAMO per davvero, senza dubbio la gente ha davvero bisogno di diventare responsabile. Libertà… tutti inseguono la libertà, ma la libertà è una bugia.

La libertà è un'astrazione. La vita, prima di ogni altra cosa, è basata sulla responsabilità, la libertà non è nemmeno un cazzo di argomento. La libertà è un'illusione. Tutti se ne vanno in giro a cantare della propria libertà, ma se vai a guardare dentro la loro libertà, il loro CONCETTO di libertà, vedrai razzismo e sessismo e povertà e ricchezza estrema. Vedrai bordelli, gente malata, gente insicura… questa è libertà? Ed in qualunque di questi luoghi liberi tu metta piede, devi pagare le tasse, devi pagare per essere messo al mondo, devi pagare per essere sepolto… libertà?

Alla domanda: "In tema di musica non-di-Dylan, Bob Dylan che cassette o CD ascolta in questi giorni?" La risposta di Bob Dylan fu: "Mai sentito John Trudell? Recita le sue canzoni invece di cantarle ed ha una band veramente buona. C'è un sacco di tradizione in quello che fa" Non ci sono parole che possano descrivere il valore di Dylan come poeta e come musicista… come ti sei sentito la prima che hai avuto un contatto diretto con lui?

Come pensi che mi sia sentito? (scoppia a ridere)

Immagino tu abbia saltellato e strillato per giorni!

Eccome! Me ne stavo seduto a ripensarci (si dondola con aria gongolante). È stato grandioso! È stato ad Hollywood. Avevamo un concerto là. Mi son sentito davvero bene! Dal canto suo aveva dichiarato in una intervista a Rolling Stone che considerava l'album Aka Graffiti Man, fatto con Jessie, il migliore dell'anno… noi l'avevamo pubblicato l'anno precedente e fu in gennaio, penso fosse nel gennaio del 1987, che Dylan venne ad uno show. E poi venne ad un altro, e in un'altra occasione portò George Harrison e, chi altri… c'era Jackson Browne. Abbiamo aperto per Taj Mahal, credo, e anche John Fogerty era là. E così… ero felice! Si può leggere questa cosa a livelli diversi, ma uno è certamente quello che mi trovavo proprio all'inizio della mia carriera, e anche solo l'idea che Bob Dylan avesse compreso chi fossi era per me una grande gioia. Un'altra cosa è che avevo appena cominciato con la musica, ero al mio primo album e non avevo alcun mezzo per promuovermi, rendermi conosciuto o altro, quindi il mio mercato-audience era molto limitato. Così, quando Dylan ha fatto ciò che ha fatto, mi ha dato modo di essere riconosciuto tra gli altri artisti. Voglio dire che non poteva darmi una distribuzione, ma ho cominciato ad essere riconosciuto, mi ha donato un'identità.

Come poeta il tuo approccio ai versi è affascinante: sei riuscito a restituire alla poesia la dimensione che le è propria, in mezzo alla gente, lontana dagli uomini di lettere. Cosa pensi della poesia oggi, e c'è qualche poeta che ammiri?

Non penso alla poesia oggi, e non l'ho mai fatto davvero. Il mondo della poesia non mi è molto familiare, non presto alcuna attenzione ai poeti. Ma ci sono scrittori e parolieri che io riporto alla poesia. Come Kris Kristofferson e Calvin Russell. Quelle cose mi piacciono davvero. Ciò che quella gente dice e scrive ha davvero un senso e rappresenta qualcosa, e questo è ciò a cui presto attenzione davvero. Non penso che nel mondo della poesia ci sia l'entusiasmo giusto, quindi non ci metto piede.

Te lo chiedo perché tu hai cominciato come poeta…

Quando ho cominciato a scrivere ho semplicemente cominciato a scrivere. Non avevo alcuna connessione con la poesia. Quando ho cominciato a scrivere, non ho fatto altro che cominciare a scrivere. Credo sia parte della mia identità

 



<Credits>