"Ladies and gentlemen…the fabulous Dream Syndicate".
La voce di Steve Wynn introduce l'epitaffio dal vivo
che tutte le rock'n'roll band vorrebbero possedere nella loro
storia. Notte del 31 gennaio del 1988, un piccolo club di
carbonari dalle parti di Hollywood, California. Le mani che
applaudono al Raji's quella sera sono scarse, le potreste
contare una per una, le grida di affetto rendono però l'atmosfera
colma di passione, come fossimo dentro un'arena, per un gruppo
che ha raccolto meno di quello che meritava nel tempo che
ha percorso. Copione già visto mille volte, con i Dream
Syndicate che passano attraverso la macchina stritolatrice
del music business, cullano sogni di gloria passando per le
anticamere delle grandi major discografiche, si sfaldano lentamente
dopo un capolavoro (Medicine
Show), e vanno a leccarsi le ferite sulla strada,
macinando concerti e finendo inevitabilmente per sgretolarsi
pezzo dopo pezzo.
Quando Live at Raji's chiude in via ufficiale
la discografia della band, in verità i Dream Syndicate già
non esistono più: pubblicato nel 1989, assume immediatamente
il ruolo di cartolina d'addio e per giunta con l'erronea dicitura
della data di registrazione. Già, per anni il concerto
sarà "posticipato" sulle note di copertina al 31 gennaio dell'anno
successivo e qualcuno si domanderà per quale diavolo di motivo
neppure un brano originale dell'ultimo lavoro di studio -
Ghost Stories, della primavera del 1988 - faccia la
sua comparsa nella scaletta della serata. C'è giusto il tempo
per aprire il fuoco con la cover di Blind Lemon Jefferson,
See That My Grave Is Kept Clean, che effettivamente
troverà posto sul citato Ghost Stories, ma per molti anni
nessuno lo verrà a sapere: perché dopo quel "the fabulous
Dream Syndicate" il Live at Raji's avrà sempre e soltanto
l'entrata trionfale del riff di chitarra di Still
Holding On To You a caratterizzarne l'incipit.
Ci vorrà la ristampa ampliata a doppio album del 2004 per
ristabilire l'ordine sincero della set list di quella esibizione.
In fondo una forzatura, poiché tutti coloro che hanno assaporato
la virulenza rock di questo disco dal vivo, uno dei più oscuri
e amati di quella lunga stagione che arrivava dal post punk
e creava nuove frontiere per il rock'n'roll americano dei
bassifondi, hanno sempre associato la miccia che accendeva
il Raji's con il caracollare rock stradaiolo di Still Holding
On To You.
Che sia una
questione di abitudine o soltanto una nota da scrupolosi e
pedanti ammiratori della band, è il segnale che questo live
resta la quintessenza della parabola del cosiddetto "Paisley
Underground", la coda scintillante di una cometa, di
un genere non genere dove retaggi psichedelici, sferzate punk
e intrecci newyorkesi alla Television (amati, follemente amati
da Wynn e soci), rincorse all'età dell'oro del rock americano
dei sixties e narrazione noir hanno alimentato un pugno di
band califoniane, autoctone o di semplice adozione, coloro
che avrebbero scavato un suono come un fiume carsico.
Inciso su un due piste senza abbellimenti, compresi errori,
feedback non voluti e fischi nei microfoni, Live at
Raji's coglie una fase diversa dei Dream Syndicate,
quartetto che tiene insieme i soli fondatori Steve Wynn (voce
e chitarre) e Dennis Duck (batteria), ancorati al ricordo
della gioventù di The Days of Wine and Roses, il loro
esordio del 1982, e aggiunge il basso di Mark Walton, subentrato
in corsa a partire dalle registrazioni di Out of the Grey
nel 1986, e le chitarre di Paul B. Cutler, vecchia conoscenza
della band (lavorò alla produzione dell'ep di debutto dei
Dream Syndincate) che sposta, con il suo lirismo incandescente
e a tratti debordante sul crinale dell'hard rock, quello che
un tempo era l'animo psichedelico del gruppo, ai tempi del
primo indimenticato solista Karl Precoda.
Sia
pure un'istantanea differente della formazione califoniana, Live at Raji's non
perde un briciolo della sua importanza, non solo sentimentale, per la storia stessa
dei Dream Syndicate. È un canto del cigno, certo, ma di un'irruenza e necessità
tali che ciò che fa emergere dal magma sonoro sono le canzoni di Steve Wynn e
il loro songwriting dalla natura letteraria, autentico hard boiled alla Jim Thompson
e Raymond Chandler messo in musica, la potenza di un immaginario che si staglia,
insieme a quello del fratello di sangue Dan Stuart dei Green on Red, come uno
dei più classici di quel decennio travagliato e resistente che sono stati gli
anni Ottanta. A questo si aggiunge la tossicità rock dell'incisione, un disco
prodotto da Elliott Mazer (l'uomo dietro Time Fades Away di Nei Young.
E la splendida imprecisione è un dato stilistico che ritorna...) senza badare
a smussare un solo spigolo, tra le chitarre che duellano ai limiti della cacofonia,
inzuppate di strali noise in That's What You Always Say
e nella strepitosa, defintiva versione di John Coltrane
Stereo Blues, con l'ospite Peter Case letteralmente impegnato a sfregiare
la sua armonica.
Nella menzionata ristampa doppia del disco appariranno
finalmente le sacrosante testimonianze di Tell Me When It's Over e When
You Smile, brani appartenuti alla prima parte della vicenda del gruppo, grazie
ai quali è possibile osservare la scarto di potenza e riottosità dei musicisti.
Ma basterebbe farsi trascinare dalla tempesta di The
Days of Wine and Roses (compresa la citazione di Who Do You Love
di Bo Diddley nel mezzo), omonimo episodio che intitolava l'esordio epocale
della band, per comprendere il livido e trascinante clima del Live at Raji's,
fra i toni bluastri e dilatati delle ballate elettriche come Merittville,
con il suo crescendo da epica western, il frenetico galoppare elettrico di Forrest
for the Trees, brano "minore" da Out of the Grey che qui assume la sua forma
definitiva, o ancora la corsa nell'heartland americano di Burn e Boston,
due capisaldi che Wynn suonerà per tutta la vita, non abbandonandole mai neanche
negli anni da solista.
Una di quelle band che "potevano essere la
nostra vita", uno di quei dischi che lo sono stati.