TRACKLIST: 1.
I'm Not Scared // 2. May Your Heart Keep Beating// 3. Phantom Flame // 4. The
Higher Road // 5. Too Many Stars // 6. Nobody's Getting Out // 7. Cry for Mercy//
8. Adventure// 9. This Is the Place // 10. Under the Rainbow // 11. I Believe
// 12. Something Wouldn't Be the Same
File Under:
roots rock
di
Nicola Gervasini
"Troppe
stelle e non abbastanza cielo": The Raindogs Story
Raccontata
oggi la vicenda dei Raindogs fa solo rabbia. Perché nel 2013 probabilmente
la band di Mark Cutler sarebbe una delle tante che ci allietano le giornate con
dischi autoprodotti con mezzi sufficienti a renderli più che ascoltabili, garantendosi
così una lunga e ininterrotta discografia a uso e consumo di pochi appassionati.
Ma un disco come Lost Souls, produzione di serie A sia per livello
tecnico che di contenuti, oggi non lo avrebbero potuto fare, questo è certo. Ma
andiamo con ordine e partiamo dall'inizio. I Raindogs nascono nel 1989 su spinta
di una casa discografica, la Atco. Non un etichetta qualsiasi, ma la più importante
sottomarca della Atlantic, quella per cui pubblicarono gruppi come Cream, Who,
Bee Gees e Buffalo Springfield negli anni sessanta, e responsabile della scoperta
degli AC/DC negli anni settanta. Una label però moribonda a fine anni ottanta,
con evidenti difficoltà a ridefinire l'identità del proprio catalogo nell'era
del pop sintetizzato. E' in questo scenario di decadenza che arriva la decisione
a tavolino di creare una band che riassumesse tutti gli umori più vendibili del
nuovo roots-rock americano, risvegliato dalle ottime vendite di John Mellencamp
e Tom Petty. Non era un atto isolato in fondo: l'operazione di cercare di rendere
moderna e commerciabile una scena che per anni aveva raccolto complimenti ma vendite
irrisorie era già stata applicata ai Del Fuegos del radio-friendly Stand Up,
ai Rave-ups ripuliti e levigati di The Book of Your Regrets, ai Beat Farmers
di The Pursuit of Happiness, e forse, a ben guardare, anche ai Green On
Red di This Time Around. Così la Atco assoldò un vecchio produttore di
grido, Peter Henderson (il suo vertiginoso curriculum partiva dai King Crimson
del 1974 e arrivava fino al Paul McCartney di Flowers in The Dirt) e gli diede
il compito di far diventare una band di successo un'accolita di avanzi del rock
urbano degli anni ottanta.
Mark Cutler in verità non era poi così un parvenu:
i suoi Schemers erano stati la next big thing di Boston per lungo tempo (suonarono
come backing band per Sam & Dave e aprirono tour per Talking Heads e Throwing
Muses), ma il loro bottino dopo sei anni di attività ammontava ad un misero 45
giri. E Cutler era in fondo quello con il curriculum più povero (insieme al chitarrista
Emerson Torrey, anche lui proveniente dagli Schemers), perché il quintetto poteva
con un po' di buona volontà essere definito un "supergruppo". Il batterista Jim
Reilly aveva militato negli Stiff Little Fingers dal 1979 al 1981, e poi aveva
raggiunto il bassista Darren Hill nei mitici Red Rockers, band oggi forse dimenticata,
ma in verità tra le poche realtà Blasters-like ad avere venduto qualcosa con i
loro tre album pubblicati tra il 1981 e il 1984, ma la star della band era il
violinista Johnny Cunningham, coraggioso innesto proveniente dal brit-folk di
marca scozzese e musicista già titolare di una lunga discografia con i Silly Wizard
e da solista. Con questa formazione, denominata Raindogs in omaggio al capolavoro
di Tom Waits, Henderson si inventa un suono che riusciva a citare Dexys Midnight
Runners (soprattutto nell'utilizzo dei fiati e in un certo uso di toni soul),
Del Fuegos e il John Mellencamp rurale di The Lonesome Jubilee in un colpo solo.
In più il tocco celtico di Cunnigham e il cantato dylaniano e dilaniato di Cutler
creavano un insieme unico, sebbene assemblato con mattoni rubati ad altre case.
I
dodici brani confezionati per Lost Souls funzionavano alla grande,
unendo appeal melodico (Too Many Stars,
Over The Rainbow) e attitudine al rock stradaiolo (The
Higher Road, May Your Heart Keep Beating). Probabilmente il
tocco folk, che molti critici scambiarono per country-rock, giocò a loro sfavore:
Lost Souls quando uscì nel 1990 ottenne solo una serie di inascoltate critiche
positive sulle riviste specializzate, ma, complice anche la debolezza sul mercato
della Atco, finì presto a ingrossare i magazzini dei "forati", nonostante una
certa buona rotation su MTV del video di I'm Not Scared.
La storia dei Raindogs a questo punto si colora poi di toni grotteschi: per qualche
imperscrutabile via del pensiero marketing la Atco decise che sulla band si poteva
puntare ancora qualche soldo, ma con logiche produttive differenti. Un gesto disperato
e fuori tempo, e perpetrato con quel disastro (commerciale e artistico) che sarà
il secondo album Border Drive-in Theatre. A produrre viene chiamato
l'esperto e costoso Don Gehman, proprio il deus ex machina del John Mellencamp
"era Cougar" della prima metà degli anni ottanta, ma la sua scelta, volta verso
un suono FM e arena-rock, inutilmente sovraprodotto e malamente pompato, fornisce
esiti anche imbarazzanti. Nel disco viene coinvolto in un talking anche Iggy Pop,
ma se glielo chiedete oggi può darsi che neanche lui se ne ricordi. Anche perché,
esattamente pochi giorni dopo l'uscita del disco, la Atco viene fusa con la East-West
Records, inutile passaggio societario che non eviterà nel 1994 all'etichetta di
fallire definitivamente (il marchio sarà riesumato solo nel 2006). La fusione
eliminò però il management che aveva creduto nei Raindogs, e così i cinque si
ritrovarono senza staff organizzativo proprio nel momento di fare promozione e
tour per il disco. In altre parole, erano a piedi. E come tutti i gruppi nati
negli uffici di una casa discografica, si dissolsero in pochi giorni.
Negli
anni successivi i membri della band hanno lasciato poche tracce: Mark Cutler tentò
la via solista, ma i suoi album (tre ufficiali, ma pare molti di più a livello
amatoriale) sono passati inosservati. Negli anni duemila riformerà gli Schemers
e suonerà nei Dino Club, ma ormai senza più uscire allo scoperto. Darren Hill
invece è passato a fare il manager musicale per New York Dolls e Paul Westerberg
mentre il bravo Johnny Cunnigham tornò in Scozia e proseguì la sua ragguardevole
carriera nel mondo folk fino alla morte nel 2003. Una storia emblematica, fatta
di logiche oggi impensabili, e una delle tante vicende rock che lascia aperto
un dubbio: a lasciarli produrre liberamente i Raindogs sarebbero stati un grande
gruppo, oppure Lost Souls è solo un piccolo miracolo nato proprio grazie al sapiente
know-how di mestieranti del rock? Un quesito che vale per tantissime realtà rock
di un tempo, e che rimarrà probabilmente senza risposta. Intanto a noi resta ancora
oggi il piacere di riascoltare Lost Souls: lo trovate anche nei nostri cento dischi
da "strade blu" degli anni novanta, e non lo toglieremmo mai.