Ann Peebles
I Can't Stand the Rain, un ritratto
  

[a cura di Gianni Del Savio]

Nota ai più solo per I Can't Stand the Rain ('73), gioiello raffinato, dall'intrigante struttura ritmico-melodica: ne afferma classe e raffinatezza interpretativa, nonché attitudine e carattere (chi scrive l'ha conosciuta anni fa al festival soul di Porretta Terme). E' brano fortemente rappresentativo del suo apporto alla storia del soul, “stile” con radici gospel e blues, alimentato, in qualche caso dominato, dalle varie Stax, Atlantic, Chess, Goldwax, Hi; in termini più “allargati” anche da Motown e da altre. Fondata nel '57, in clima rockabilly e dintorni, la Hi si orienta verso la black music, decollando a fine anni '60, primi '70, e facendosi largo proprio grazie anche ai successi della Peebles e, soprattutto, di Al Green. Il sound è particolarmente solido e calibrato, con un team ritmico-fiatistico di primo livello: Teenie, Charles e Leroy Hodges, James Mitchell e Howard Grimes e l'apporto corale dell'impeccabile “white trio” Rhodes-Chalmers-Rhodes (Sandra, Charlie e Donna i rispettivi nomi). Quel brano – firmato insieme a Don Bryant, cantante di buon successo, nonché marito dal '74 -, vanta anche l'apprezzamento di John Lennon e le cover di Tina Turner, Lowell George e Cassandra Wilson. E non ha perso fascino col passare degli anni.

Ann nasce a St. Louis (Missouri) il 27 aprile 1947, settima di undici figli. Il padre, Perry, è direttore del coro di una chiesa e, da bambina, lei dà il suo contributo vocale. Sogna di diventare cantante professionista e intorno alla metà dei '60, si trasferisce a Memphis, esibendosi in vari locali, fino ad ottenere un'audizione con Willie Mitchell. Il trombettista e bandleader è approdato nel '61 alla Hi Record, dove otterrà alcuni hit con brani strumentali, tra cui Soul Serenade, irresistibile ballad firmata da King Curtis, e il r&b 30-60-90. Ann mostra il forte legame con la grande tradizione interpretativa, soprattutto dal vivo: bell'impatto scenico, miscela di raffinata e seducente femminilità, timidezza e risolutezza, giusto equilibrio tra urgenza ritmica e pause confidenziali; sorriso comunicativo (Bryant ne descrive alcuni caratteri essenziali componendo 99lbs, da lei inciso nel '72). Il tutto ben suggerito anche dalle foto di copertina dei vari LP. Le mancherà forse solo l' ”album-simbolo”, che altri hanno nel loro carnet, ma nel suo percorso ha disseminato non poche perle soul e r&b.

Nel '69, debutta con Walk Away, dando la misura della classe soul-blues e ottenendo un discreto riscontro commerciale. Nello stesso anno esce This Is Ann Peebles. A smuovere più intensamente le acque ci pensa la brillante cover di Part Time Love, hit di Little Johnny Taylor. L'omonimo LP ('70) si piazza discretamente nelle classifiche, ed è il primo di quattro che, da lì a metà decennio, si segnalano nelle liste black. Seguono Straight From the Heart, I Can't Stand the Rain e Tellin' it. Diverse le perle, tra cui (I Feel Like) Breaking Up Somebody's Home, I Still Love You, Beware. In qualche caso, come in I'm Gonna Tear Your Playhouse Down, si rilevano “ammorbidimenti orchestrali”, con tanto di coretto: arrangiamenti che, intorno alla metà dei '70, segnalano come il “soul sudista” stia ormai imboccando strade più vellutate, a volte annacquate. Intanto, anche col sinuoso country-soul (You Keep Me) Hanging On - non quello delle Supremes, ma lo splendido hit ('68) di Joe Simon -, e il pregnante I Needed Somebody, lei offre due dei migliori esempi della sua personalità artistica.

Intorno agli '80 si ritira per qualche anno per occuparsi della famiglia, mentre Mitchell ha fondato la Waylo, per la quale incidono vari artisti ex-Hi. Ci arriva pure lei, dapprima con Call Me ('89), poi in A Memphis Soul Night – Live in Europe ('90), dove canta anche in coppia, tra cui con Otis Clay. Proprio di quel periodo è da poco uscito un album registrato nel '92: Ann Peebles and the Hi Rhythm Section: Live in Memphis propone un pregevole ripasso del suo repertorio. Dello stesso anno è Full Time Love (Rounder/Bullseye), che comprende anche il brillante “autoritratto” St. Louis Woman (with a Memphis Melody), e altri passaggi degni di nota, tra cui l'ottimo Read Me My Rights (Delbert McClinton); meno rilevanti I Miss You degli Stones e I Can't Stand The Rain, gradevole, ma prevedibilmente inferiore all'originale. Nel '96 Fill This World with Love (Bullseye/Rounder) si avvale di un gran numero di musicisti di rango, tra cui i Memphis Horns. Comprende duetti con Don Bryant, col quale firma anche due brani tosti che condivide con la grande Mavis Staples: quello che dà il titolo all'album e l'altrettanto abrasivo Stand Up. Belle miscele, medley compreso, che riprende frammenti del suo repertorio.

Eccola Ann Peebles: un'artista dai particolari tratti stilistici nel panorama soul e dintorni.


    

 
Hi Records
L'eleganza del soul
 

[a cura di Roberto Giuli]

Le immagini dal video relativo alla partecipazione di Al Green a una puntata del programma “Soul!” su PBS, ci restituiscono un artista che interpreta la sua epica Let’s Stay Together, muovendosi e sussurrando il testo con agilità e grande raffinatezza. E’ il 1972, il futuro reverendo è all’apice e così l’etichetta a cui fa capo, la Hi, tra i punti di riferimento del soul soprattutto nei Settanta; potremmo citare altre decine di esempi. Tuttavia la vicenda della compagnia, “che in un certo senso, sebbene con modalità stilistiche diverse, raccoglie l’eredità della Stax (cit. Enciclopedia del Blues e della Musica Nera – Arcana)”, inizia molto tempo prima, nel 1957 a Memphis, quando Joe Cuoghi, proprietario del Poplar Tunes Record Store, decide di dar vita a un’etichetta discografica, supportato dal legale Nick Pesce; torneremo sulle “modalità stilistiche”. Sono della partita Ray Harris, musicista rockabilly con alle spalle alcune incisioni per la Sun tra il 1956 e il ’57, il songwriter, produttore e sessionman Quinton Claunch (poi tra i fondatori della Goldwax nel ’64) e Bill Cantrell, pure produttore.

Gli inizi non lasciano lontanamente presagire i fasti del soul di tre lustri più avanti e sfiorano poco anche l’allora imperante r&b. E’ piuttosto un rockabilly di qualità a segnare la prima produzione, con personaggi come il citato Harris o il pianista Carl McVoy, cui si deve il primo singolo per il marchio, You Are My Sunshine. Il riscontro è modesto, ma qualcosa si muove nel 1959, quando il Bill Black’s Combo permette di ottenere un primo successo con lo strumentale Smokie (part 1 & 2); lo stesso anno la compagnia si dota di propri studi di incisione. A partire dal nuovo decennio si ha un progressivo spostamento verso il r&b (personaggi come Ace Cannon, Gene Simmons etc) e quindi il soul; i singoli di Norm West (alcune tracce per la sussidiaria MOC del 1966) e James Fry (l’eccellente Tumbling Down del 1967), sono i primi in tal senso.

Un altro passo decisivo si compie con l’arrivo nel 1961 di Willie Mitchell, il quale si rivelerà fondamentale, soprattutto per il suo ruolo nella produzione. E’ un nuovo corso, a partire dal tramonto dei Sessanta, i frutti del quale maturano nel decennio successivo. Il catalogo, pur non esteso è di notevole qualità; forse non contiene nomi di richiamo paragonabile a quelli di Stax o Atlantic, ma comprende Ann Peebles e l’impareggiabile Al Green, certamente gli esponenti di punta (soprattutto Green); per giunta artisti come O.V Wright, Otis Clay, Syl Johnson, Don Bryant, scrivono pagine indimenticabili del genere, unitamente ad altri meno conosciuti quali Willie Walker, George Jackson o Phillip Mitchell; meteore in alcuni casi, comunque pregevoli. D’altra parte la Hi è una sorta di isola nell’oceano della musica afroamericana; le menzionate “modalità differenti”, descrivono una distanza dai toni per certi versi graffianti della Stax, dalla possanza dell’Atlantic, come dai contorni pop della Motown, o almeno, stando allo storico Peter Guralnick, indicano una “delocalizzazione tra questi poli stilistici”.

L’etichetta si caratterizza per i tratti più distesi, per la cura e l’eleganza (come dicevamo all’inizio) degli arrangiamenti; in questo senso perle come Let’s Stay Together di Al Green, I Can’t Stand The Rain di Ann Peebles, o ancora Back For The Taste Of Your Love di Syl Johnson, sono degli esempi calzanti. Vale la pena quindi di porre l’attenzione sugli strumentisti di cui si avvalgono gli studi, parliamo dei fratelli Hodges, Teenie (chitarra), Charles (organo) e Leroy (basso), formidabile sezione ritmica di casa, dei batteristi Howard Grimes e Al Jackson Jr. dei pianisti Archie Turner e James Hooker, del trombettista Wayne Jackson, già con MarKeys e in forza ai Memphis Horns, dei sassofonisti Ed Logan, Andrew Love e James Mitchell (tutti e tre passati per i Memphis Horns, Mitchell anche come baritonista); gente in grado di assicurare proprio quella dimensione qualitativa che darà lustro alla Hi fino all’inizio degli Ottanta, quando sarà la disco music a tenere le fila del successo e la distribuzione sarà affidata alla Cream Records, prima di Motown, EMI e Fat Possum; dettagli.

A noi resta oggi in mano la sostanza; restano, le performance live di chi c’è ancora, i dischi e le antologie, e qui potremmo suggerire Hi Records: The Soul Years del 2014, o l’ottimo Hi Records: The 45’s Collection del 1999, accoppiato, se si cerca un po’ di completezza con Hi Records; Early Years – Voll. 1&2 del 2007. Resta in primo luogo l’eleganza di una musica dal fascino senza tempo.


    

 

 


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