Songs:Ohia/ Jason Molina Magnolia Elctric Co. [Secretly
Canadian 2003]
TRACKLIST: 1.
Farewell Transmission // 2. I've Been Riding With the Ghost // 3. Just Be Simple
// 4. Almost Was Good Enough // 5. The Old Black Hen // 6. Peoria Lunch Box Blues
// 7. John Henry Split My Heart // 8. Hold on Magnolia
File Under:americana
spleen
di
Fabio Cerbone
Sospeso in un ideale limbo artistico, in verità
vero tunrning point della carriera di un autore sempre misterioso e ripiegato
su se stesso. Ufficialmente ultimo vagito dell'avventura folk dolorosa e intensa
del progetto Songs:Ohia e al tempo stesso primo effettivo esperimento sotto la
denominazione Magnolia Electric Co., l'omonimo album del 2003 segna per
Jason Molina la sua apertura verso il mondo: da una parte la collaborazione
vivida con i musicisti che già da tempo facevano parte della sua touring band
(per lo meno nel periodo intercorso fra Ghost Tropic e The Lioness, alcuni dei
frutti più drammatici del citato capitolo Songs:Ohia), dall'altra la stesura di
un suono più corposo ed elettrico, per alcuni la definitiva sbocciatura delle
tensioni rock pastorali che covavano sotto le ceneri del suo songwriting depresso.
Un tempo esponente dell'indie folk più incupito e intimo della generazione
anni '90, degno compare di Will Oldham, Vic Chenustt e Bill Callahan (Smog) nella
formazione di una figura di folksinger chiuso a riccio sulle proprie paure e timidezze,
avvinto dal male di vivere, Molina scorge una flebile luce fra le ballate elettriche
di questo splendido disco. Scarmigliato e imperfetto come il Neil Young più bluastro
dei tempi di On the Beach e Tonight's The Night, fragile e perduto quanto il Townes
Van Zandt più solitario, ma sospinto da una verve strumentale (sul resto si stagliano,
oltre a chitarre rugginose degne dei Crazy Horse, la lap steel di Mike Brenner
e l'organo e piano elettrico di Jim Grabowski) che a qualcuno fa scomodare persino
collegamenti di carattere tematico con lepopea del blue collar rock. Difficile
effettivamente intravedere stile e andatura simili nel crepuscolare incedere di
I've Been Riding with the Ghost, fra la struggente
dolcezza di Just Be Simple o della conclusiva
Hold on Magnolia, che tuttavia si cibano chiaramente
di un'intera stagione del rock americano, quella che nel decennio post '68 aveva
guardato alla pacificazione con la tradizione e le radici, complice soprattutto
la lezione di Gram Parsons e The Band.
Colpisce il fatto che Jason Molina
cerchi per la prima volta una fuga, un movimento oltre la sua anima: l'album è
segnato da liriche che anelano ad una crescita, al tentativo di portarsi su nuovi
sentieri, lasciandosi alle spalle i fantasmi. Echeggia oggi qualcosa di tremendamente
beffardo, amaro e ingiusto alla rilettura di queste canzoni, dopo la tragica deriva
che ha portato alla recente scomparsa di Molina, ma la potenza "minore", accogliente,
che guida i brani di Magnolia Electric Co. risiede tutta in questa
possibile, agognata soluzione ai propri mali. Registrato in presa diretta, conservando
un feeling volutamente arruffato, un po' zoppicante, sotto la guida di uno Steve
Albini (dai Nirvana agli Slint, figura cardine del linguaggio indie rock)
che sembra assecondare ogni sofferenza ed ogni scatto dell'anima di Molina, l'album
è un'opera più corale del previsto: le voci si Scoutt Niblett e Lawrence Peters,
infatti, strappano il comando allo stesso Jason Molina, interpretando rispettivamente
Peoria Lunch Box Blues e The Old Black Hen. La prima è una ballata
dagli orizzonti western che sembra introiettare la scuola country rock dei 70s,
giustificando ancora di più il nuovo corso musicale che la band abbraccerà nei
successivi lavori (su tutti What Comes After the Blues e Fading Trails); la seconda
invece una straziante litania folk, unico episodio un po' fuori posto nel contesto
del disco, non tanto per il sound quanto proprio per l'interpretazione della Peters,
troppo sopra le righe.
Sono tuttavia gli oltre sette minuti dell'iniziale
Farewell Transmission - apice dell'album
insieme alla inattesa ferocia di John Henry Split My Heart - a tracciare
una linea di demarcazione tra il prima e il dopo: per chi aveva pianto insieme
a Molina nel suo erratico viaggio a nome Songs:Ohia, si apre adesso una diversa
declinazione del suo songwriting, senza rinunciare ai silenzi di quello spleen
con il quale combatteva da sempre. Ci saranno altri dieci anni di oscurità
e fragilissime canzoni prima dello schianto: lo scorso 16 marzo Molina muore nella
sua casa di Indianapolis dopo un lungo calvario medico (molti amici cercheranno
di raccogliere i fondi necessari a coprire le spese dell'assicurazione), in una
lotta impari contro il suo abuso di alcol.