La fotografia scelta
per la copertina dell'edizione inglese di Unhalfbricking, terzo disco
dei Fairport Convention, trasmette all'osservatore un raro senso di
pace. Una coppia di anziani, il cui aspetto suscita quel misto di
tenerezza e rispetto dovuto alle persone che hanno già percorso buona
parte del proprio cammino, sosta in piedi davanti al cancello di un
giardino. All'interno del giardino, leggermente defilato, un gruppo
di giovani persone sembra intento a chiacchierare, ed in lontananza,
immerso in una nebbiolina lattescente, si staglia maestoso il profilo
di una chiesa. Ci troviamo a Wimbledon, periferia di Londra. Le due
amabili figure sono Neil e Edna, genitori di Sandy Denny, voce
femminile del gruppo, il giardino è quello di casa Denny in Arthur
Road, la chiesa che si vede sullo sfondo è la St Mary's Church.
La fotografia sul retro del disco, sebbene meno poetica, contribuisce
a rafforzare quel senso di tranquillità: i membri del gruppo, seduti
attorno ad un tavolo, sono intenti a consumare un semplice pasto.
Queste due fotografie, a dispetto del senso di pace che trasmettono,
sono però (più o meno invisibilmente) legate a due tragedie, immagini
speculari di quella apparente tranquillità e dimostrazione, qualora
ce ne fosse ancora bisogno, che spesso il destino si diverte alle
nostre spalle. La prima tragedia che queste immagini riportano alla
memoria è quella dell'incidente nel quale, il 12 maggio 1969 (appena
2 mesi prima dell'uscita del disco), persero la vita il batterista
Martin Lamble e Jeannie Franklyn, fidanzata di Richard Thompson, e
nel quale gli altri membri della band, di ritorno da un concerto a
Birmingham, rimasero seriamente feriti. Nel momento del terribile
incidente Ashley Hutchings, è lui a ricordarlo in un'intervista, indossava
la stessa camicia e lo stesso gilet che gli si vedono indosso nella
fotografia che ritrae il gruppo intorno al tavolo. "Ricordo chiaramente
questi indumenti insanguinati. Non si possono dimenticare cose come
queste.", dirà nella stessa intervista.
L'altra fotografia, sebbene non direttamente legata a nessun tragico
avvenimento, ci riporta però agli avvenimenti che, 9 anni dopo, avrebbero
condotto Sandy ad una prematura scomparsa. Non possiamo dimenticare
infatti che quella stessa Edna Denny, prigioniera della paura dei
giudizi che la gente avrebbe potuto dare su quella figlia stravagante
e bislacca, giocò inconsapevolmente ma - ahimé tragicamente - un ruolo
nella morte della cantante. Fu lei che si oppose fermamente all'idea
di un controllo medico per la figlia che, cadendo dalle scale della
loro casa in Cornovaglia in un momento di ubriachezza, si era procurata
una vistosa ferita alla testa. Molto semplicemente non voleva si sapesse
in giro che la figlia aveva dei problemi con l'alcool. Qualche settimana
dopo la cantante, che per giorni aveva sofferto di terribili mal di
testa, venne trovata riversa per terra in uno stato di incoscienza.
Il 21 aprile 1978, dopo 4 giorni di coma causato da una emorragia
cerebrale, la cantante si sarebbe spenta. Aveva appena trentuno anni,
alle spalle una manciata di splendidi dischi ed una vita privata resa
complicata da un tormentato rapporto con il marito Trevor Lucas e
da insicurezze e fobie varie, non ultima quella da palcoscenico.
Alexandra Elene McLean Denny, per tutti semplicemente Sandy, muove
i primi passi nel mondo della musica inglese appena diciannovenne
prestando la propria voce per una serie di sessions radiofoniche per
la BBC e per dischi di altri artisti ed in seguito, a venti anni,
diventa la voce degli Strawbs, partecipando alla registrazione del
loro All Our Own Work. Ma è nel 1968 che la ventunenne Sandy, diventando
la voce femminile dei Fairport Convention, dà una decisa virata
alla propria carriera e, in definitiva, al suono degli stessi Fairport
Covention e di tutto il movimento folk rock inglese. I dischi del
gruppo inglese ai quali Sandy presterà la propria cristallina voce
ed una straordinaria capacità compositiva saranno 5: i primi 3 tra
il 1968 ed il 1969 ed i restanti 2 nel 1974, quando la cantante tenterà
l'illusoria via di una reunion dagli opachi risultati. Nel periodo
di tempo che intercorre tra la prima e la seconda esperienza con i
Fairport Convention la cantante tenterà dapprima la via di un proprio
gruppo, i Fotheringay e, in seguito, una carriera solista che
la vedrà dare alle stampe 3 dei 4 dischi a lei intestati. Abbandonati
definitivamente i Fairport Convention, per la cantante ci sarà tempo
soltanto per un altro disco da solista (il quarto ed ultimo), ennesimo
sintomo di quel tormento interiore che accompagnò la sua intera esistenza
e che, in ambito professionale, significò una continua - e purtroppo
vana - ricerca della propria condizione ideale. Il resto della storia,
sfortunatamente, lo conosciamo già.
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Unhalfbricking (Fairport Convention) [Island
1969] Oggi
che il gelido e capiente dischetto argentato ha preso il posto del nero vinile,
che poteva a malapena contenere 45 minuti di musica, l'abbondanza non fa certo
più notizia e ritrovarsi tra le mani un disco di quasi ottanta minuti o un doppio
da 2 ore è considerato normale, ma così non era nel 1969. Può sorprendere quindi
che i tre dischi editi dai Fairport Convention quell'anno (What We Did on Our
Holidays, Unhalfbricking e Liege & Lief) messi insieme facciano la bellezza di
centodiciotto minuti e cinquantadue secondi, che tradotto in soldoni fanno quasi
2 ore di musica. Ma diciamola tutta: ad impressionare non è tanto la quantità
ma anche, e soprattutto, la qualità. Prendiamo ad esempio Unhalfbricking,
un disco che meriterebbe un posto nella storia della musica non fosse altro per
il curioso titolo: nei suoi 40 minuti scarsi si ha la netta impressione che niente
vada sprecato. Non hanno bisogno di ricorrere a furbi stratagemmi o a squallidi
riempitivi i Fairport Convention del 1969: la loro vena creativa è ai massimi
livelli, la voglia di suonare insieme e di sperimentare infinita. Sebbene la perfetta
simbiosi tra folk e rock trovi il suo punto più alto nel seguente Liege & Lief,
in Unhalfbricking non mancano certo momenti di pura magia. Gli undici minuti del
traditional A Sailor's Life che profumano
tanto di psichedelia o la curiosa versione cajun (non a caso cantata in francese)
di If You Gotta Go, Go Now di Bob Dylan, diventata per l'occasione Si
Tu Dois Partir, per esempio. Dal canto suo Sandy non si limita
ad interpretare magistralmente le canzoni, ma contribuisce a fare di Unhalfbricking
un piccolo capolavoro di grazia regalando al gruppo, ed in definitiva a tutti
noi, due splendidi pezzi, Autopsy e, soprattutto,
Who Knows Where The Time Goes, vera e propria
signature song della cantante. Unhalfbricking esce nel luglio del 1969: soltanto
14 mesi sono passati da quando Sandy è diventata la voce femminile dei Fairport
Convention. In questi mesi lei ed il gruppo sono cresciuti a dismisura. Adesso
sono pronti per il capolavoro.
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Liege & Lief (Fairport Convention) [Island,
1969] Liege
& Lief, da molti indicato come uno dei più importanti dischi folk di tutti
i tempi, è il terzo lavoro dei Fairport Convention al quale Sandy presta la voce.
Concepito nella quiete della campagna dell'Hampshire, dove i membri del gruppo
stavano curando le ferite, non solo fisiche, causate dal terribile schianto automobilistico
avvenuto pochi mesi prima, Liege & Lief è innanzitutto una sorta di piccola enciclopedia
delle musica folk inglese. Abbandonate del tutto le personali riletture dell'amato
Dylan (quattro cover nei due precedenti dischi), più che i brani originali (tre,
dei quali uno a firma della stessa Sandy), sono infatti i traditional a farla
da padrone: dal ricco patrimonio della tradizione albionica i Fairport Convention
tirano fuori sette autentici gioielli (4 brani ed un medley di 3 strumentali)
che, vestiti di nuovi suoni, vengono consegnati ad un mondo che poco o nulla li
conosceva. Questi brani, la cui esistenza in vita si doveva (e si deve tuttora)
all'instancabile opera di raccolta e catalogazione di Cecil Sharp e della sua
"English Folk Dance and Song Society", sono storie che parlano di disertori (The
Deserter), di pericolosi incontri tra donne e banditi (Reynardine),
di tradimenti ed omicidi d'onore (Matty Groves),
di nobildonne che con la forza del loro amore riescono a sciogliere terribili
incantesimi (Tam Lin). L'universalità di queste
storie è innegabile: sono storie che possiamo facilmente ritrovare, più o meno
simili, in decine di altre culture. Mai nessuno però, non in Inghilterra per lo
meno, era riuscito nell'intento di cucire, attorno a storie così antiche, un abito
così moderno e (non è un controsenso) assolutamente senza tempo, una tavolozza
di suoni nella quale accanto al violino ed alla chitarra, trama ed ordito nel
tradizionale tessuto della folk-song inglese, convivono con naturalezza chitarre
elettriche, pulsanti bassi e batterie che sovente tracciano inconsueti ritmi.
E su questo abito, multicolore ma non per questo inelegante, si posa, preziosa,
la seta della voce della Denny. |
Fotheringay (Fotheringay) [Island, 1970]
Abbandonati
i Fairport Convention Sandy, insieme al futuro marito Trevor Lucas, al chitarrista
Jerry Donahue, al batterista Gerry Conway ed al bassista Pat Donaldson, pone le
basi per un nuovo progetto musicale che avrebbe dovuto, nelle sue intenzioni,
rappresentare al meglio il suo lato più strettamente cantautorale. Il nome del
gruppo, Fotheringay, viene preso in prestito dalla canzone, da lei scritta,
che apriva il lato A di "What We Did on Our Holidays", primo disco dei Fairport
Convention con Sandy alla voce. L'opinione comune è che, scegliendo questo nome,
la cantante intendesse gettare un ideale ponte tra il vecchio ed il nuovo gruppo,
ma volendo fare della facile dietrologia si potrebbe anche pensare che, al contrario,
tale scelta volesse significare un iniziare daccapo. Quali che fossero le intenzioni
della cantante, la realtà ci dice che Fotheringay (che sarebbe rimasto
l'unico disco pubblicato dal gruppo fino al 2008, anno in cui vedrà la luce l'inedito
e postumo Fotheringay 2) è un disco i cui brani, pur pagando un pesante debito
nei confronti degli intrecci folk-rock tanto cari ai Fairport (come ad esempio
in The Sea, in Winter
Winds ed in The Way I Feel, cover
di un brano di Gordon Lightfoot), tendono ad esplorare nuovi territori rock, anche
di matrice americana. The Ballad Of Ned Kelly,
per dirne una, sembra uscita da un disco della Band, e la cosa non dovrebbe sorprendere
più di tanto se si pensa che l'amore per Dylan è sempre presente, tanto che anche
in questo disco si conferma la presenza di una cover dello stesso, Too
Much of Nothing. Anche stavolta un posto speciale è riservato da Sandy
alla musica tradizionale anglosassone, ed il brano scelto per l'occasione, la
struggente Banks Of The Nile, è una delle
vette assolute del disco. Agli otto minuti del brano è affidato il compito di
chiudere magistralmente un album che avrebbe dovuto rappresentare per Sandy un
nuovo inizio e che invece restò semplicemente un episodio nella tumultuosa vicenda
artistica della cantante. Sebbene l'esperienza con i Fotheringay venga giustamente
ricordata oggi come uno dei momenti più felici della carriera della Denny e l'omonimo
disco come uno dei punti più alti dell'intera discografia post Fairport Convention
della stessa, il gruppo ebbe vita breve. All'inquieta Sandy, infatti, non bastò
l'elezione a migliore cantante inglese nell'annuale sondaggio della rivista Melody
Maker: l'essere semplicemente la voce solista di un gruppo (anche se viene naturale
aggiungere "e che gruppo!!!") iniziava ad essere riduttivo per lei e, spinta anche
dal suo manager Joe Boyd, all'alba del 1971 sciolse i Fotheringay. Una nuova fase,
l'ennesima, stava per iniziare per Sandy. |
The North Star Grassman And The Ravens [Island,
1971] La
suggestiva copertina di The North Star Grassman and The Ravens,
primo disco intestato esclusivamente a Sandy Denny, ci mostra la cantante che,
all'interno di un'antica farmacia, dosa e mescola erbe medicinali, e la cosa non
è casuale. Proprio come un'esperta farmacista, infatti, Sandy riesce in questo
disco a dosare magistralmente gli elementi a propria disposizione ed a mescolarli
con sapienza fino ad ottenere un prodotto che, alla fine, è molto più della somma
dei singoli elementi: una medicina, per l'appunto. Medicina per le orecchie e
per l'anima. Che poi la medicina servisse non soltanto all'occasionale ascoltatore
ma anche - e soprattutto - a Sandy stessa ed al suo inquieto animo, questo è un
altro paio di maniche che non sminuisce il valore di questo splendido album, anzi
direi che ne rappresenta un valore aggiunto. The North Star Grassman and the Ravens
è, tra i dischi di Sandy, quello che maggiormente ne rappresenta il lato più ombroso
ed autunnale, tanto nel versante delle musiche, non ancora contaminate da tentazioni
mainstream, quanto in quello dei testi, mai così malinconici, introversi e sovente
indecifrabili, Parole scritte di getto, quasi che improvvisamente la cantante
avesse trovato la strada nascosta - e più breve - che dal cuore porta alla mano
senza passare per la tappa intermedia del cervello. Una sorta di resoconto stenografico
dell'anima, insomma. Circondata da musicisti che con lei avevano condiviso le
precedenti esperienze Fotheringay e Fairport Convention, tra i quali Richard Thompson,
Jerry Donahue, Pat Donaldson, Gerry Convay e Trevor Lucas, Sandy realizza così
il suo disco più diretto e spontaneo, mettendo in fila una serie di superbe canzoni
firmate da lei, Late November, John
The Gun e Next Time Around su tutte.
Tra i brani non scritti dalla stessa Sandy spiccano una commovente riproposizione
del traditional Blackwaterside, una personalissima
rilettura di Let's Jump the Broomstick (brano
portato al successo da Brenda Lee una decina di anni prima) e, inutile dirlo,
la cover di un brano di Dylan, nella fattispecie Down
In The Flood. In definitiva The North Star Grassman and the Ravens
è un disco che non dovrebbe mancare nella discografia di chiunque voglia realmente
capire l'artista Sandy Denny perché, sebbene nel complesso raggiunga solo
in parte le vette di eccellenza che avrebbero trovato spazio tra i solchi del
seguente disco, rimane il suo lavoro più intimamente sincero e meno imbastardito
da limitativi compromessi. | |
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Le prime acerbe registrazioni di Sandy
per la Saga Records, originariamente inserite negli album Alex Campbell & His
Friends (di Alex Cambell) e Sandy and Johnny (di Johnny Silvo), sono state nel
2005 integralmente raggruppate dalla Castle Records nell'antologico Where
The Time Goes - The Early Years, ma non sono imprescindibili, così come
tralasciabile è anche l'ascolto di All Our Own Work degli Strawbs, sebbene il
disco contenga la prima versione di Who Knows Where The Time Goes. Di
ben altro spessore è invece il primo disco con i Fairport Convention, What
We Did On Our Holidays (Island 1969), un lavoro in realtà non molto inferiore
ai due ottimi album seguenti e nel quale, accanto a brani diventati dei veri e
propri classici della band (la già citata Fotheringay e la thompsoniana
Meet On The Leedge su tutti), convivono brani per certi versi "minori",
ma assolutamente di pregio, come il blues di Mr. Lacey, la delicata Book
Song e la cover del solito Dylan, qui rappresentato dalla splendida I'll Kep
It With Mine, brano che appena due anni prima era stato tirato fuori dai cassetti
di casa Zimmerman da Nico per il suo album Chelsea Girl. Trascurabili,
al contrario, gli altri due dischi registrati nel corso della reunion con i Fairport
(Live Convention del 1974 e Rising for the moon del 1975), anche perché dell'originaria
formazione della band era rimasto soltanto Simon Nicol. Like
An Old Fashioned Waltz (Island 1973), terzo lavoro solista della cantante,
è un disco che, a fronte di una produzione non sempre all'altezza e troppo spesso
ridondante, ci presenta una manciata di buone, e a volte persino ottime, canzoni.
Solo e Like An Old
Fashioned Waltz, i due brani che aprono il disco, appartengono di diritto
a quest'ultima categoria, ulteriore conferma del fatto che Sandy Denny non era
semplicemente una superba voce ma anche un'autrice attenta ed ispirata, capace
di tirare fuori dalla propria penna almeno un paio di capolavori a disco e di
riuscire, in ogni caso, a mantenere alta la qualità media dei propri pezzi.
Friends, Carnival,
At The End Of The Day e No End,
seppure troppo spesso immersi in un mare di archi della cui reale necessità è
lecito dubitare, non fanno che confermare l'alta qualità della scrittura della
nostra, mentre Dark The Night è, per qualità
intrinseca del brano e per l'arrangiamento inutilmente pretenzioso, il punto più
basso dell'intero disco. "Buona l'intenzione, pessima la realizzazione" dicono
spesso i nostri telecronisti sportivi nel commentare un tiro che finisce in curva
invece che in rete. In questo caso il risultato non è certamente pessimo ma, con
una produzione un pelino più misurata, Like An Old Fashioned Waltz sarebbe stato
un gol da cineteca.
Rendezvous
(Island 1977), ultimo lavoro della cantante, è il capitolo meno convincente dell'intera
discografia della stessa. Non che manchino le grandi canzoni, intendiamoci: I
Whish I Was A Fool For You, Take Me Away
e I'm A Dreamer trovano spazio sicuramente
tra le cose migliori scritte dalla nostra, e da sole valgono il prezzo del biglietto.
A differenza del precedente Like An Old Fashioned Waltz, che manteneva una certa
eterogeneità d'intenti, Rendezvous ha però il difetto di presentare all'ascoltatore
un menù composto da portate eccessivamente elaborate e, soprattutto, distanti
per gusto e per ingredienti le une dalle altre. Nei suoi 40 minuti di durata Rendezvous
mette in fila, accanto ai succitati episodi che ne rappresentano il lato più
interessante, brani che gridano vendetta per quanto sbagliato e fuori luogo sia
l'arrangiamento (Gold Dust e Silver
Threads and Golden Needles), composizioni, per restare in tema culinario,
dal sapore poco deciso (One Way Donkey Ride),
brani dal taglio cinematografico e dall'arrangiamento barocco (All
Our Days) e, soprattutto, un'appesantita riproposizione di Candle
In The Wind, simbolica sovrapposizione di due distinte, ma a loro modo
identiche, infelicità: Sandy come Marilyn. Specchio del momento che la cantante
stava vivendo, fatto di continui litigi con il marito e di una maternità non si
sa quanto realmente desiderata, Rendezvous è, paradossalmente, il lavoro che meglio
ci fa comprendere la persona Sandy Denny. Anche se, inutile dirlo, l'artista è
meglio cercarla da qualche altra parte.
Ogni
grande artista prematuramente scomparso lascia inevitabilmente una coda di inediti
e pubblicazioni postume, e Sandy Denny non sfugge alla regola. A tal riguardo
le cose migliori sono lo stupefacente box del 2007 Live At The BBC,
acquisto obbligato per chiunque voglia approfondire l'artista e le sue canzoni,
lo splendido cofanetto A Boxful Of Treasures (5 cd che coprono,
attraverso brani ufficiali ed inediti, tutta la vita artistica della nostra),
Gold Dust - Live At The Royalty, che è la registrazione integrale
dell'ultimo concerto della cantante e Fotheringay 2, uscito nel
2008, che porta alla luce quello che sarebbe dovuto essere il secondo capitolo
della band e che, sebbene povero di reali novità, è un'istantanea che fotografa
Sandy nel suo periodo migliore. Sandy godeva
di grande rispetto da parte dei colleghi, come testimoniato dalle importanti proposte
di collaborazione ricevute nel corso della sua breve ma intensa carriera da prestigiosi
artisti, e su tutte queste collaborazioni spicca il duetto con Robert Plant in
The Battle Of Evermore, noto brano dei Led Zeppelin inserito nel loro quarto
album. Paradossalmente è il brano cantato da Sandy più conosciuto dall'ascoltatore
medio, quello che da quasi quaranta anni permette alla sua cristallina voce di
entrare in migliaia di case e di raggiungere milioni di distratti ascoltatori,
che poco o nulla conoscono dell'avventura artistica ed umana di una delle più
grandi (se non la più grande in assoluto) cantanti folk inglesi. |
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