Nick Cave and The Bad Seeds
Ghosteen

[Awal/ Ghosteen 2019]

nickcave.com

File Under: rock drama

di Nicola Gervasini (07/10/2019)

“De gustibus non est disputandum” è la chiosa che qualsiasi lettore di recensioni ha in mente quando legge un giudizio che non lo trova d’accordo. È anche la difesa divenuta ormai la morte di qualsiasi discussione nei social, con conseguente vetusta riflessione riguardo a cosa possa servire oggi fare critica musicale in un mondo in cui ogni singolo ha possibilità di dire la sua e pubblicarne il contenuto. Per questo ben vengano dischi come Ghosteen di Nick Cave and The Bad Seeds, perché gli appassionati sono arrivati quasi a litigare (anche senza il “quasi”) per difendere a spada tratta o stroncare il nuovo album dell’artista australiano. Ed è bellissimo vedere quanto ancora un’opera d’arte possa scaldare gli animi in questo modo.

Che ha fatto Cave per avere tanto potere? Nulla di trascendentale se vogliamo, ci ha “solo” presentato un lungo racconto di dolore, che viene facile attribuire alla morte del figlio avvenuta quattro anni fa, ma in verità capitolo finale di un percorso di revisione (e speriamo per lui di rinascita) personale e artistica cominciato già prima con Push The Sky Away nel 2013 (e Cave stesso dichiarò che anche il successivo Skeleton Tree era nato in gran parte prima del grave lutto, anche se pareva una naturale reazione ad esso). Ghosteen è bello o brutto? Non sto a dirvelo, perché è un disco che bisogna volere: dovete averne bisogno visceralmente per apprezzarlo, altrimenti obbligare qualcuno ad un “supplizio” del genere è pratica al limite della tortura. È interessante però sottolineare come nel 2019 solo dischi così estremi riescono ancora a scuotere gli animi di un mercato (e relativa fruizione) musicale, ormai ridotto a banale gesto quotidiano dalla disponibilità immediata e universale del tutto per tutti dello streaming.

Viviamo un momento in cui un artista come Cave può permettersi questo disco, perché sa di avere ormai un pubblico che lo ama e lo segue ovunque lui lo voglia portare, anche in più di un’ora di sonorità da colonna sonora dell’amico Warren Ellis che annullano completamente il concetto che ci sia una band (dei Bad Seeds come entità a sé stante in questo disco si trovano ben poche tracce), e anche l’idea che si stia suonando una canzone (anche se alcuni episodi come Waiting For You vivono di luce propria in questo senso) e non un lungo reading poetico. A Cave il gusto teatrale del tragico, per non dire del melodrammatico, non è mai mancato fin dagli esordi, ma qui va a ruota libera, volutamente esagera nel cercare una empatica pietà del suo pubblico, e se siete sintonizzati sulla sua lunghezza d’onda davvero certe interpretazioni sfiorano il sublime, altrimenti scatta una fastidiosa sensazione di patetico.

E fortunatamente non esiste più un discografico che possa stoppare un progetto che in altri tempi sarebbe stato non solo poco vendibile, ma anche mal ricevuto da un pubblico che un disco era costretto a comprarlo per sentirlo, e la reazione di un acquisto sbagliato era molto peggiore di un semplice post polemico in Facebook. Un manager sapeva bene che un flop voleva dire anche concerti vuoti e spesso la speranza vana che la casa discografica desse una seconda possibilità. Oggi invece Ghosteen esce consapevole che, piaccia o non piaccia, anche i suoi detrattori ai concerti di Cave ci andranno, perché poi nessuno si sente derubato se in streaming ascolti una volta sola un disco che non ti piace un granché. Questa considerazione oggi, nella maggior parte dei casi, porta gli artisti a sentirsi finalmente liberi da condizionamenti, con la controindicazione di lavori spesso piatti se non proprio sciatti, tanto servono solo a giustificare un tour.

Ed è questo il pregio secondo me indiscutibile di Ghosteen al di là del nostro e vostro apprezzamento personale, ovvero sia il suo essere un disco che Nick Cave avrebbe fatto così, e così bene, anche sapendo di vendere tre copie, perché esiste ancora un’arte personalmente urgente e necessaria come questa, ed è anche l’unica su cui valga ancora la pena discutere e scannarsi.


    

 


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