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“De gustibus
non est disputandum” è la chiosa che qualsiasi lettore di
recensioni ha in mente quando legge un giudizio che non lo
trova d’accordo. È anche la difesa divenuta ormai la morte
di qualsiasi discussione nei social, con conseguente vetusta
riflessione riguardo a cosa possa servire oggi fare critica
musicale in un mondo in cui ogni singolo ha possibilità di
dire la sua e pubblicarne il contenuto. Per questo ben vengano
dischi come Ghosteen di Nick Cave and The Bad Seeds,
perché gli appassionati sono arrivati quasi a litigare (anche
senza il “quasi”) per difendere a spada tratta o stroncare
il nuovo album dell’artista australiano. Ed è bellissimo vedere
quanto ancora un’opera d’arte possa scaldare gli animi in
questo modo. Viviamo un momento
in cui un artista come Cave può permettersi questo disco,
perché sa di avere ormai un pubblico che lo ama e lo segue
ovunque lui lo voglia portare, anche in più di un’ora di sonorità
da colonna sonora dell’amico Warren Ellis che annullano
completamente il concetto che ci sia una band (dei Bad Seeds
come entità a sé stante in questo disco si trovano ben poche
tracce), e anche l’idea che si stia suonando una canzone (anche
se alcuni episodi come Waiting For
You vivono di luce propria in questo senso) e non
un lungo reading poetico. A Cave il gusto teatrale del tragico,
per non dire del melodrammatico, non è mai mancato fin dagli
esordi, ma qui va a ruota libera, volutamente esagera nel
cercare una empatica pietà del suo pubblico, e se siete sintonizzati
sulla sua lunghezza d’onda davvero certe interpretazioni sfiorano
il sublime, altrimenti scatta una fastidiosa sensazione di
patetico.
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