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Johnny Cash
La voce e il racconto: la costruzione di un mito americano
   

[a cura di Marco Denti]

Inquadrato nel 12th Radio Squadron Mobile del 6910th Security Group, i servizi di sicurezza dell’aeronautica americana, dopo l’addestramento in Texas, Johnny Cash è stato distaccato nella base tedesca di Landsberg. In Baviera, dove è rimasto per tre anni, pare abbia ascoltato nella sua posizione avanzata la comunicazione che annunciava la morte di Stalin. La notizia è emblematica, ma tutta da verificare. È vero invece che per la predisposizione e l’abilità con il codice Morse è arrivato al grado di sergente maggiore. Gli venne proposto di avanzare nella carriera, ma il lavoro richiedeva un certo grado di segretezza, ma come ogni leggenda Cash attrae e promulga altre leggende, che sono parte di un’atmosfera complessiva che conta più di ogni significato. Funziona così dall’alba dei tempi e l’aneddoto per cui nel 1953 fu lui a intercettare il messaggio della morte di Stalin, come tanti altri aneddoti è costituito da una piccola parte di realtà (Johnny Cash era effettivamente in servizio lì, in Germania, quando avvenne il celebre trapasso) e in parte di qualcosa che non è verificabile (per esempio sapeva trascrivere il codice Morse, ma non conosceva né il russo, né le codifiche segrete), ma rende l’idea della forza di Johnny Cash.

Ha creato sempre un’aura attorno a sé, con l’idea di definire una personalità, un personaggio, un destino. C’è molta scrittura, in questo, intesa come uno strumento per interpretare, per filtrare la realtà, e non solo. Intercettare le comunicazioni è un po’ come raccogliere le canzoni o i racconti che viaggiano in universi paralleli, e questa è una capacità riservata soltanto ai grandi, che superano l’aspetto della creazione in sé, e assurgono a proprietà divinatorie o profetiche, quasi sapessero interpretare linguaggi remoti e intraducibili. Per Johnny Cash vale in modo particolare, visto che è un narratore anche quando canta e una voce anche quando scrive. La differenza resta relativa.

La costruzione di una storia, come di una canzone, nasce dall’utilizzo di forme che già esistono, che Johnny Cash “tira giù” e assembla, ma più che altro vive con quello che sta cercando di definire, di decifrare, come se fosse necessario padroneggiare codici e vocabolari preesistenti. Il metodo è volubile, non sempre intellegibile, più spesso istintivo che meditato: “Se l’idea c’è già, è molto piacevole buttar giù una canzone. A volte scrivo senza neppure toccare la chitarra. A volte ho una melodia in testa e poi vedo come le parole si collegano. Amo le parole; quindi vedo come i testi si legano insieme. È la pura gioia di scrivere. Amo scrivere”. L’arte della scrittura per un ribelle incondizionato come Johnny Cash deve aver rappresentato una possibilità per legare a livello ideale i treni e gli indiani, l’epopea e la realtà del West, i fantasmi di una vita dura e amara, la rilettura della biografia di san Paolo e la natura narrativa delle canzoni, anche se poi i temi sono riconducibili a quattro direzioni ben precise.

Secondo Steve Turner Johnny Cash ha scritto per un quarto della fede, per un quarto dell’amore, per un quarto del lavoro (“Quando scriveva di lavoro lo faceva da un’ottica biblica. Il lavoro poteva essere fonte di dignità e orgoglio, ma in un mondo caduto poteva essere anche degrado e sfruttamento”) e per un quarto della morte. È un modo di raccontare, scrivere e cantare che appartiene a una tradizione antica e risoluta. Diceva Johnny Cash: “Costruisci sul fallimento. Lo usi come un trampolino di lancio. Chiudi la porta sul passato. Non cercare di dimenticare gli errori, ma non fermarti lì. Non gli permettergli di avere la tua energia, né il tuo tempo, né il tuo spazio”.

Anche nel confrontarsi con un percorso già scritto, letto e riletto, come quello di san Paolo, Johnny Cash è rimasto saldamente ancorato a quelle regole. “Una fede che ha bisogno di miracoli non è una vera fede” diceva John Irving e quella di Johnny Cash ha trovato il suo sbocco ed è stata messa a dura prova nell’indagare un personaggio così complesso. Lo spirito (curioso) con cui reinterpreta la conversione di san Paolo, una sorta di romanzo storico sui generis, in realtà parte da una predisposizione particolare, una spontanea identificazione che segue un percorso significativo. Da sempre uomo dedito alle letture e alla preghiera, Johnny Cash vede nella figura di San Paolo una specie di fuorilegge d’epoca, un personaggio dolente e controverso, a cui ha cominciato a dedicarsi partendo dalla considerazione che era “un uomo che soffriva e pativa ma che era anche profondamente spirituale. Un uomo che aveva le risorse fisiche e la forza di volontà per superare ogni ostacolo nel cammino e portare a compimento la sua missione. Cercava sempre nuovi terreni da battere e nuovi posti dove andare”.

Il processo di identificazione è cominciato condividendo il senso della rivelazione, della visione e del potere dei sogni, così come lo raccontava proprio nell’introduzione a L’uomo in bianco: “I sogni hanno sempre giocato un ruolo nella mia vita. Talvolta, in sogno, mi è capitato di sentire canzoni nuove, mai cantate prima, e così mi svegliavo e le scrivevo”. Ma Johnny Cash è Johnny Cash e anche nel confronto con le scritture sacre, il suo approccio resta ambivalente: “Sono stato attento a non prendermi alcuna libertà con quelle parole eterne. Laddove la parola si fa silenziosa, e per il bene della mia storia, a volte ho seguito i punti di vista tradizionali. Altre cose, alcuni personaggi, alcune conversazioni, alcuni eventi sono il frutto della mia fervida e a volte stramba immaginazione”. Ed è così che L’uomo in bianco è la celebrazione della sua determinazione, quando dice che “se i teologi possono fare tante speculazioni, e farle sembrare interessanti, potrei dare anch’io il mio parere per quello che vale”.

La funzione di testimone vedrà Johnny Cash espandere il rapporto tra canzone e voce che diventerà fondamentale per gli American Recordings, quando forma e stile coincidono e l’interpretazione riscrive le canzoni, le eleva a standard, riducendole all’essenziale, come se fossero di pubblico dominio, come se fossero di tutti. È una condizione dell’artista maturo, esperto (persino anziano), come un vecchio saggio che dispensa insegnamenti a futura memoria. Ricordava Rick Rubin: “Alcuni giorni cantava bene, ma dalla voce traspariva la sua età. Gli dicevo che non sembrava la voce di una persona stanca, ma di una persona che reagiva alla canzone in modo molto emotivo. Alla fine si persuadeva. A volte ci scherzava su, diceva che nessuna canzone là fuori era al sicuro, perché le avrebbe acchiappate tutte e le avrebbe rovinate”. C’è una voce, in quelle canzoni che provengono da tempi e background diversi, che si dipana come se fosse sempre esistita, come se appartenesse a una dimensione superiore, come se Johnny Cash fosse soltanto un messaggero. Gli American Recordings, ovvero la sua eredità spirituale, raccontano che, alla fine, sono determinanti il tono, l’atmosfera, il mood. Il passaggio da un estremo all’altro, ovvero dalla Carter Family alle versioni dei songwriter più o meno moderni (Tom Petty, Nick Cave, Neil Young, Bruce Springsteen) è quasi la delimitazione impossibile di un territorio sterminato, dove l’arte della scrittura non è abbandonata, è soltanto ricondotta alla rilettura delle canzoni o, in effetti, a un’intera riscrittura usando soltanto l’attrezzo della voce.

Non è un passaggio che può capitare a tutti. Ci vuole davvero una sensibilità particolare e senza dubbio una conoscenza della materia (le storie, le canzoni) fuori dal normale. Con gli American Recordings si è mosso come un minatore che è andato a dissotterrare un intero patrimonio. Una pratica che ha coltivato da sempre, che Rick Rubin ha soltanto attualizzato, costruendo attorno alla voce, un impianto spartano, ma efficace, quanto basta. La vicenda è conosciuta, ma quello che più è stato determinante in quel lungo lascito, forse la migliore eredità che poteva lasciare Johnny Cash, è la sua attitudine rispetto alle canzoni. Come gli inni per san Paolo quando era incarcerato, anche questi sono “canti di liberazione”, appartengono sia una sfera spirituale, che a quella più emotiva, svelata quando diceva: “Se sento una canzone che mi piace, ci dormo insieme, ci vivo insieme, e mi sveglio con lei. Non importa di chi sia”. Questo diventa chiaro nella collocazione definitiva di Unearthed: dove si parla di disotterrare, Johnny Cash si riferisce a un lavoro di scavo nella memoria americana, che non avendo fondamenti classici, può solo attingere alla cultura dei nativi (come accadde con Bitter Tears), o, più spesso, provare a rinnovarla in continuazione. Da “attento studioso della storia americana”, come si definiva, Johnny Cash ha continuato la ricostruzione delle proprie radici attraverso l’evocazione di Waylon Jennings, della Carter Family, di Faron Young, di Elvis e di Jerry Lee Leiws, di miti e leggende.

Succede di continuo nella sua autobiografia, che diventa una sorta di ballata immaginifica. È un narratore che attinge a mondi dove le storie esistono da sempre, e l’ha trasformata a sua volta in una saga del folklore americano con tutti gli annessi e connessi del caso: uno specchio segreto che svela come Johnny Cash si vedeva, e vedeva gli altri. Ha senso quando Kris Kristofferson l’ha definito “un vero eroe americano”, perché incarna le moltitudini di uno spirito incompiuto, più che incompreso ed è per quello, come diceva Steve Volk, che “Cash era un uomo vero, in carne e ossa, che ha assunto le strabilianti proporzioni del mito”. Ci sarà un motivo se nell’autobiografia tutto quello che ricorda del servizio militare in Germania è che ha acquistato la sua prima chitarra (per qualcosa come cinque dollari), che ha formato un suo primo gruppo e che cantava non appena ne aveva l’occasione. Con un bell’addio alle armi, e al compagno Stalin che ormai fluttuava nell’etere.


:: BIBLIOGRAFIA, dal blog di BooksHighway

L’uomo in bianco
http://bookshighway.blogspot.com/2021/11/johnny-cash.html

L’autobiografia
http://bookshighway.blogspot.com/2021/10/johnny-cash.html

Steve Turner, Johnny Cash
https://booksspecial.blogspot.com/2022/02/steve-turner.html

 

    

 


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