Terry Allen
"Texas Tears "

Chi è veramente Terry Allen? Un musicista a tempo perso, forse uno storyteller un po' geniale e fuori dagli schemi, certamente un artista a tutto tondo, che a differenza di molti colleghi è stato prestato al mondo del country e del rock'n'roll quasi per caso. La sua carriera non è nemmno definibile come tale, un oggetto curioso sul quale ogni tanto andrebbe riaccesa una luce...proviamoci dunque a ripercorrerla insieme.

a cura di Fabio Cerbone

 
:: Il ritratto
 
Anarchico per natura, fra i cantori più sarcastici e pungenti mai apparsi nel mondo della canzone country americana, Terry Allen costituisce l'anomalia più iconoclasta del genere insieme al conterraneo Kinky Friedman, frutti illegittimi di quella scena cantautorale fra "nuovi cowboy" dall'atteggiamento hippie e "vecchi fuorilegge" che ha invaso il Texas a metà anni '70, personaggi dallo status artistico spesso inattaccabile. Cantore sublime della quotidiana follia americana, grazie alle sue storie bizzarre dal confine messicano, colme di causticità e sovente sconfinanti in una satira feroce e irriverente sulla religione, Terry Allen ha impersonato la figura di uno storyteller atipico, capace di grandi slanci poetici, così come di sprezzanti invettive contro le menzogne del sogno americano. Su questa linea di condotta complessa ha dato forma ai suoi personaggi dai margini della società, ballando lungo il Border alla ricerca di perdenti nati, solitari senza meta, outlaws nel senso meno scontato del termine, ribaltando i luoghi comuni di una letteratura e di una simbologia Western troppo spesso asservita ad un mito ingannevole. È stato soprattutto, nei suoi momenti migliori, un cane sciolto, un artista poliedrico dalle mille espressioni, che ha alternato le sue passioni musicali con l'interesse per le arti figurative e la poesia. Pittore e sculture niente affatto per diletto, titolare di una borsa di studio del Guggenheim, già sul finire degli anni '60 le sue creazioni fanno il giro degli Stati Uniti, tanto da essere esposte in numerose gallerie e musei prestigiosi, tra i quali è doveroso ricordare il Metropolitan e il MOMA di New York. Nato a Wichita, Kansas da un padre apprezzato giocatore di baseball nei St. Louis Browns, presto figlio adottivo e predestinato del Texas dove si trasferisce con la famiglia, Allen cresce e studia a Lubbock, grande cittadina persa nel nulla texano e spazzata dai tornado, gli stessi che ciclicamente faranno la loro comparsa dentro le canzoni del nostro, quasi fossero una presenza formativa di chi in quei luoghi ha dovuto maturare la sua personalità. È anche la città di Joe Ely, Buddy Holly, Waylon Jennings, di una fucina di talentuosi musicisti texani che nel tempo cambieranno il volto del rock'n'roll e del country. Allen si muoverà chiassosamente dentro e fuori questa tradizione, adottando gli stilemi classici del genere eppure rovesciandone la prospettiva da un punto di vista tematico: i suoi irosi walzer e honky tonk, in cui senza eccezione svolge un ruolo centrale il pianoforte del protagonista, si accodano alle regole di una country music purissima, salvo distorcerne ogni prospettiva sul piano lirico. L'approccio "ciclico" di alcune sue ballate, le saghe stravaganti che le popolano, l'impostazione cinematografica della scrittura (la stessa che lo porterà a concepire nel tempo vere e proprie colonne sonore per film sperimentali) sono il segnale di un artista crescuto culturalmente nell'ambiente più bohemienne e libertario dei Sixties, antitesi dell'industria nashvilliana. Qui sorge l'importantissimo contributo di Allen, seppure più oscuro ed elitario di altri, nella costruzione di un mito outlaw rivisitato e "intellettuale", irregolare del country che sposta la concezione fino ad allora assai più conservatrice dei suoi esponenti, parlando ad un pubblico spesso legato al rock'n'roll, alla cosiddetta "Controcultura", persino alla nascente new wave della seconda metà dei '70. È proprio il caso di Terry Allen, che in quel periodo legherà il suo nome non soltanto all'amicizia con i coevi Joe Ely (la band di quest'ultimo, con Lloyd Maines e Jesse Taylor, sarà onnipresente nei suoi dischi) e Butch Hancock, ma anche con Lowell George dei Little Feat (alla cui memoria dedicherà una appassionata canzone in Smokin' the Dummy) e soprattutto con David Byrne, chiamato da quest'utlimo alla condivisione della colonna sonora dell'opera True Stories. Sei dischi ufficiali in più di trent'anni di carriera, più un paio di anomalie discografiche (Amerasia e Pedal Steel), sono la testimonianza della sua ostinata indipendenza morale e artistica.
 
:: Il capolavoro
 

Lubbock (on everything)
[Fate 1978]

1. Amarillo Highway (For Dave Hickey)/ 2. Highplains Jamboree/ 3. Great Joe Bob (A Regional Tragedy)/ 4. Wolfman Of Del Rio/ 5. Lubbock Woman/ 6. Girl Who Danced Oklahoma/ 7. Truckload Of Art/ 8. Collector (And The Art Mob)/ 9. Oui (A French Song)/ 10. Rendezvous USA/ 11. Cocktails For Three/ 12. Beautiful Waitress/ 13. Blue Asian Reds (For Roadrunner)/ 14. New Delhi Freight Train/ 15. FFA/ 16. Flatland Farmer/ 17. My Amigo/ 18. Pink And Black Song/ 19. Thirty Years Waltz (For Jo Harvey)/ 20. I Just Left Myself

 

Squarciato il cielo del cantautorato texano con la "tragedia del border" contenuta in Juarez, debutto spigoloso e acustico, Terry Allen sogna in grande stile, portandosi in studio uno stuolo invidiabile dei migliori talenti naturali del Texas contemporaneo: infatti, entrano in partita il produttore principe del country rock regionale, Lloyd Maines, e la sua collezione di chitarre e pedal steel, nonché Ponty Bone (accordion), Richard Bowden (fiddle), Joe Ely e Jesse Taylor, questi ultimi in procinto di scatenare una sarabanda rock'n'roll dalle parti di Lubbock. È proprio alla sua cittadina di adozione che Allen dedica un'opera ambiziosa, originariamente un doppio vinile, in cui la scintilla della sua scrittura accende una sconfinata vena poetica e sarcastica, ispirazione dunque che lontana dal prosciugarsi repentinamente sfoggia in Lubbock il suo vestito della festa. Gli arrangiamenti si sono fatti inevitabilmente più corposi, un country rock arcigno e irriverente, tanto personale da prendere le distanze sia dal movimento Outlaw, ormai al tramonto nei gusti del pubblico, sia dalla Nashville più edulcorata (e Allen lo precisa chiaramente in Flatland Farmer). Disseminato di colori messicani, di walzer struggenti e dissonanti, di qualche svisata blues (specialmente nella voce) e di crude rimostranze rock, Lubbock ridà senso alla country music con canzoni talmente personali e pungenti da risultare fuori tempo. Il Texas, quale luogo geografico e della mente, la sua gente (vividi i ritrati di The Girl Who Danced Oklahoma, The Beautiful Waitress e The Thirty Years Waltz), le terre di frontiera popolate da strambi cowboy e freak in cerca di uno scampolo d'arte, tutto ciò viene descritto con uno scherno che appartiene di diritto al personaggio Terry Allen: Amarillo Highway è già un piccolo classico, The Wolfman of Del Rio e Lubbock Woman cercano uno scampolo di poesia a modo loro, I Just Left Myself e My Amigo tendono la corda e i ritmi accesi di New Dehli Freight Train e Truckload of Art si fanno beffe delle regole del country rock per architettare un nuovo ibrido musicale. Capolavoro nascosto e di culto della canzone americana del periodo, siamo al crepuscolo dei '70, Lubbock rimarrà per troppo tempo merce rara, disco che si incunea come un oggetto stravagante fra la tradizione per dettare le regole di un ipotetico country "progressivo", come qualcuno oserà definirlo. Ancora oggi costituisce un passo obbligato per comprendere la piccola rivoluzione musicale messa in atto in quegli anni dalle parti del West Texas.

 
:: Dischi essenziali
 

Smokin' the Dummy
[Fate 1980]

Il soldalizio avviato nel capolavoro Lubbock con la crema musicale del nuovo country rock texano spinge Terry Allen a formare una fantomaticaa band a di svitati, ribattezzata Panhandle Mistery Band (della squadra fanno parte ancora Jesse Taylor e Ponty Bone), la quale, sempre sotto l'attenta direzione artistica di Lloyd Maines, da alla luce un eccitante cocktail di tradizione e rock'n'roll, Smokin' The Dummy. Arrivato sul proscenio degli anni '80 dopo l'epocale predecessore, il disco soffre da sempre di un complesso di inferiorità, ma sgombrato il campo dai confronti ingrati, si rivela al contrario il più speziato e divertente della carriera di Allen. Se vogliamo è anche il più accessibile tematicamente e "disimpegnato", il che non significa affatto poco ispirato o peggio piegato alle insidie di un country rock di maniera. La dimostrazione evidente di tutto ciò sono sempre le canzoni, acute e ironiche come un tempo ma con l'aggiunta di una rock'n'roll band più affiatata e spaccona, questa volta allineata ad un gusto persino sudista. The Heart of California infatti apre i battenti con una dedica tutta speciale all'amico scomparso Lowell George (Little Feat), proseguendo sui binari dell'elettricità nella rivisitazione di Maybellene di Chuck Berry (proposta in uno strampalato medley con What happened to Jesus). Il capolavoro del disco però si intitola Texas Tears, honky tonk godereccio che si accompagna alle chitarre incendiarie di Taylor in Rock Truck Roll e The Lubbock Tornado.
* Ristampato dalla Sugar Hill nel 1993 insieme a Bloodlines (vedi copertina)

 

Human Remains
[Sugar Hill  1996]

Il ritorno è in pompa magna e segna un secondo mirabile capolavoro, seppure ammantato da un minore fascino e senza il culto spasmodico di Lubbok. Tuttavia, dopo anni di eclissi artistica, di ritiro necessario e voluto, di piccoli "espedienti" discografici, Terry Allen riunisce idee e amici per dare senso ad un disco di splendide confessioni. Human Remains, "resti umani", un titolo bellissimo per un disco che viene subito salutato dalla critica come un rientro in grande stile: ci sono tutti, da Joe Ely a David Byrne, da Lloyd Maines a Lucinda Williams fino a Charlie Sexton, per rendere omaggio ad un cane sciolto, un autentico maverick della country music e non solo. Le canzoni non raggiungono forse le vette di ispirazione dei tardi anni '70, eppure hanno un fascino intatto e persino un po' decadente e malinconico. Siamo allora nuovamente in viaggio lungo i viali di Lubbock e i suoi temibili tornado, tra la polvere e i cactus del confine: What of Alicia, Peggy Legg e la cruda e folle Crisis Site 13 resuscitano una forza espressiva ed una descrizione penetrante dei caratteri delle sue canzoni, mentre Gone to Texas è un nuovo inno e Galleria delle Armi uno struggente omaggio ad una storia tutta italiana, ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Il suono di Human Remains è antico e moderno, familiare per i vecchi estimatori, ma sempre splendidamente confuso, zoppicante e provocatorio, passando dalle fondamenta di uno sconclusionato valzer country e retrò (Back to Black con la seconda voce di Lucinda Williams, Buck Nacked, After the fall, I, la commovente Little Sandy) alle inevitabili digressioni spanish (Wilderness of This World). Resterà purtroppo anche il suo ultimo grande exploit.

 
:: Il resto
 

Juarez
[Fate 1975]

Juarez è l'esordio scarno e poetico del 1975, concepito come colonna sonora di una più complessa operazione figurativa, comprendente dipinti e litografie. Parlare di concept non è propriamente corretto, nonostante tutte le canzoni si dipanino seguendo il percorso di due coppie attraverso Southern California, Colorado, e Messico. Racconti ai margini della società, popolati da perdenti e fuorilegge. Sono dei reietti, spinti ai margini del sogno americano, i protagonisti di Juarez: un ex-marinaio, una prostituta di Tijuana, un meticcio di Los Angeles e la sua ragazza. La musica di Allen possiede qualcosa di unico e affascinante: Juarez è crudo, spietato e al tempo stesso romantico. La vita lungo il border, il confine labile tra la presunta civiltà degli States e le tradizioni antiche del Messico, i paesaggi rosso fuoco del Rio Grande, in mezzo figure e storie che sembrano uscire dai romanzi di un altro grande texano d'adozione, Cormac McCarthy. Musicalmente il disco rispecchia la desolazione di quei luoghi, appoggiandosi sulle note onnipresenti del piano, a volte "arricchito" semplicemente da una chitarra acustica o da un mandolino (Greg Douglas e Peter Kaukonen), e sulla voce arrochita dell'autore. Questo suono spoglio basta e avanza per creare i suoi primi capolavori, tra cui Cortez Sail, Border Palace, Writing On Rocks Across The U.S.A e la dissacrante There Oughta Be a Law Against Sunny Southern California. Nella ristampa curata dalla Sugar Hill è presente un'accorata introduzione scritta dall'amico Dave Alvin ed un epilogo, dal titolo di El Camino (versione cantata e strumentale), appositamente inciso nel 2003 con Lloyd Maines e il figlio Bukka Allen in sessione.

 

Bloodlines
[Fate 1983]

Il miracolo dei precedenti lavori non si ripete in Bloodlines del 1983, stagione difficile per chi vuole mantenere la rotta della canzone d'autore in Texas. All'euforia elettrica di Smokin' the Dummy si sotituisce in parte una sorta di sperimentalismo sonoro (entrano in gioco nuovi strumenti tra cui tastiere, sax, marimba e percussioni varie) che accompganerà in seguito le colonne sonore e piece teatrali delle stagioni seguenti. In questo caso le canzoni non fanno la differenza e per la prima volta Terry Allen si trova un po' a corto di idee, nonostante le velleità di concept incentrato sul tema della religiosità (si vedano le due versioni della title track). Vengono ripresi inaspettatamente due episodi dall'esordio Juarez (tra cui una nuova accattivante versione di Cantina Carlotta), ma nel complesso i pezzi del puzzle non si incatsrano a dovere. Qualche colpo di classe viene ancora servito (Gimme a Ride to heaven Boy e la commovente Ourland), ma si ha spesso la sensazione che le qualità peculiari della musica di Allen vengano sacrificate dagli arrangiamenti e dallo stesso pretenzioso progetto. È un lavoro interessante sotto l'aspetto concettuale, ma di chiara transizione, nonostante per alcuni sia da ritenersi fra i suoi momenti più ispirati. Di fatto all'indomani della pubblicazione Terry Allen sparirà per parecchio tempo dalle scene ufficiali della discografia, dedicandosi alle niente affatto collaterali attività artistiche (pittura e scultura).

 

Salivation
[Sugar Hill  1999]

Nonostante la sua proverbiale mancanza di prolificità, in soli tre anni dal come back di Human Remains, Terry Allen ne propone un ideale seguito, Salivation. Il disco presenta l'ennesima sarcastica riflessione sul mondo della religione, a partire dal titolo e dalla copertina. Prodotto dal fido Lloyd Maines con l'apporto della sezione ritmica della Joe Ely Band (Glen Fukunaga e Davis McLarty), e del figlio Bukka Allen all'organo e alla fisarmonica, Salivation ripercorre atmosfere familiari da "border music", le stesse per cui Allen è ritenuto giustamente un maestro. L'energia del rock'n'roll invece è messa in disparte, facendo capolino solamente nella title-track e in parte nelle atmosfere bluesy di The Show. Il cuore del disco tuttavia è altrove, sorta di piccolo riassunto della sua carriera che richiama da lontano l'aspetto letterario di Lubbock aggiungendovi alcuni esperimenti sulla linea di Bloodlines. Le lunghe note di Billy the Boy e Cortez Sail (ripresa ancora una volta da Juarez), vertici di Salivation, convincono per le sonorità scarne, immagini di polvere e strade deserte. Un gradino più sotto le percussioni arabeggianti di The Doll, a metà strada tra la terra texana e l'oriente, che fa coppia con la satira feroce di Ain't no Top 40 Song. Rio Ticino è la prima border song dedicata ad un fiume italiano, ricordo delle tournè nel nostro paese; Red leg boy un country rurale che mette il buon umore con i suoi ritmi vivaci, incentrati su violino e fisarmonica; X-mas on the Isthmus, infine, il solito scanzonato valzer d'altri tempi (con tanto di trombone), a cui partecipa l'amico Guy Clark.

 
The Best of the rest (colone sonore, antologie...)
Nel costante anticonformismo e nella precisa eccentricità musicale che ha caratterizzato la carriera di Terry Allen, una parte preponderante è occupata da alcune bizzarrie discografiche concepite nella metà degli anni '80, quando il nostro pareva avere abbandonato definitivamente gli stimoli del songwriter e del country rock del decennio precedente. Nascevano allora esperimenti assolutamente fuori della norma come Amerasia. Colonna sonora per un film del documentarista europeo Wolf-Eckart Buhler sulla vita di alcuni reduci americani del Vietnam rimasti a vivere nel sud est asiatico, raccoglie scampoli di canzoni e intrecci sonori fra il Texas e la Cambogia dove Allen si recò al tempo per registrare alcuni episodi con musicisti locali. Suggestivo seppure sconnesso, è tuttavia la produzione più interessante se raffrontata alla strana ideazione di Pedal Steel, accompagnamento concepito per la Margaret Jenkins Dance Company di San Francisco che prevede un unico brano di mezz'ora abbondante in cui dialoghi, abbozzi di canzone e sottofondi musicali trascinano l'ascoltatore in un mondo un po' stravagante, narrando la storia di un suonatore di steel guitar. The Silent Majority resta per contro una raccolta più stimolante: sottotitolata Terry Allen's Greatest Missed Hits, si tratta di un compendio di scarti, outtakes, brani incisi a Madras in India con musicisti del luogo, opere teatrali (Rollback) e recuperi dal citato Amerasia, nonché la famosa Cocktail Desperado a suo tempo regalata all'amico David Byrne per la colonna sonora di True Stories. Oggetto curioso ma solamente per i fan accaniti, gli altri si potrebbero forse rivolgere alla più coesa raccolta Best of the Sugar Hill Years, vera e propria antologia, seppure un po' sbrigativa e comunque incentrata sul materiale ufficiale composto fra Lubbock e Salivation.
 
:: Riepilogo (discografia)

Juarez (Fate, 1975)   7.5
Lubbock (on everything) (Fate, 1978)  
10
Smokin' the Dummy (Fate, 1980) 
8
Bloodlines (Fate, 1983)  
7
Pedal Steel (Fate, 1985)  
5
Amerasia (Fate, 1987)  
6
Human Remains (Sugar Hill, 1996) 
8.5
Salivation (Sugar Hill, 1999)  
7
The Silent Majority (Sugar Hill, 2005)  
6.5

* L'intero catalogo di Terry Allen per la Fate records è stato ristampato ed è disponibile per la Sugar Hill records

 


<Credits>