Lucinda
Williams Lucinda
Williams (Deluxe 2cd) [Lucinda
Williams/ Thirty
Tigers 2014] www.lucindawilliams.com
File Under: Lady of Americana
di Fabio Cerbone (27/01/2014)
Che
questo disco fosse ufficialmente fuori catalogo da una decina d'anni (la ristampa
americana della Koch risaliva al 1998 e prevedeva una piccola manciata di inediti),
era già di per sè una di quelle "ingiustizie" che rendono sempre necessaria la
nostra tenace lotta contro i mulini a vento di un music business spesso senz'anima
(...e senza logica). Essendo Lucinda Williams un'artista altrettanto tenace
e inflessibile nel suo lavoro, ha pensato bene di ridare una chance all'album
in questione, ristampandolo in questa doppia edizione deluxe per la sua neonata
etichetta, la stessa che darà libero sfogo al suo prossimo lavoro di studio, per
il quale è appena terminata una fortunata campagna di raccolta fondi. In principio
fu l'inglese Rough Trade, insolito approdo di post punk e avanguardie, nell'anno
di grazia 1988, a prendersi la briga di portare questa ragazza fuori dall'anonimato
di un universo folk poco battuto: l'Americana era un sogno a venire, a Nashville
funzionavano ancora i "nuovi tradizionalisti", ma soprattutto finti cowboy tirati
a lucido con le lusinghe del pop più banale, mentre la Williams era una giovane
donna del sud con un carattere duro e una vita errabonda, figlia di un professore
e letterato che le aveva insegnato il romanticismo della poesia. Di suo Lucinda
ci avrebbe messo il dolore del blues (e di una famiglia presto andata in frantumi
dopo il divorzio dei suoi genitori) e l'infinito viaggio della letteratura beat,
spostandosi dalla Lousiana al Texas, dal Mississippi alla California.
In
dieci anni di oscura carriera e molte promesse spezzate la Williams non aveva
cavato un ragno dal buco, pubblicando un paio di lavori per la prestigiosa teca
folk della Smithsonian Folkways, che dalle interpretazioni country blues di un
acerbo Ramblin' al timido approccio di Happy Woman Blues sembravano
ancora cercare una voce (e un carattere) che fosse riconoscibile e personale.
Serviranno il trasferimento a Los Angeles, la frequentazione della vivace scena
roots cittadina (erano gli anni di Blasters, Los Lobos, Lone Justice e Dwight
Yoakam…) e la collaborazione con il chitarrista texano Gurf Morlix per
cambiare marcia e arrivare dopo otto lunghi anni di ripensamenti e incomprensioni
con le case discografiche alla pubblicazione di Lucinda Williams.
Omonimo disco, come una sorta di ripartenza, di azzeramento del proprio cammino,
trovando finalmente la sua espressività, quella che l'avrebbe imposta subito tra
le grandi promesse dell'altro country americano. Se ne accorgeranno di lì a poco
Mary Chapin Carpenter e Emmylou Harris, che porteranno al successo i suoi brani,
da Passionate Kisses a Crescent City, finanche un rocker come Tom
petty, che qualche anno più tardi estrarrà dal cilindro di questo disco il fremito
rock blues di Change the Locks per la colonna sonora di She's the One.
Come spesso accade, sono però le versioni originali a contenere già in sé tutta
la dirompente, cruda, malinconica forza di questa musica: Lucinda Williams è un
disco che vive in superficie di un sound country rock sporcato di radici sudiste
e languida roots music, ma nel profondo non è altro che un lungo lamento blues,
nel senso più profondo del termine, e la scelta di chiudere con un'aspra versione,
canto tra stile yodel e brusco delta blues, di I Asked
for Water (He Gave Me Gasoline) di Howlin' Wolf lo conferma pienamente.
La
voce della Williams è subito riconoscibile, un gemito pigro e dolcissimo che svela
al tempo stesso fragilità e durezza d'animo, che passa dalle romanticherie più
tenere agli schiaffi e all'orgoglio di una donna che non ha timore di mettere
in pubblico i suoi sentimenti più intimi, di spogliarsi letteralmente dei propri
errori di fronte all'ascoltatore. In I Just Wanted to
See You So Bad ripete il verso centrale come una specie di mantra,
perchè rimanga impresso nell'anima dell'amato come un marchio a fuoco, e la stessa
operazione la ripete con Passionate Kisses,
l'altro colpo da ko dell'album. Morlix modella sull'espressività un po'
laid back della Williams una musica che batte le strade secondarie del rock americano,
macchiando di chitarre dagli accenti country rock e organi (Skip Edwards, intervallato
anche dall'accordion del compianto Chris Gaffney) dagli orizzonti blue collar
una serie di ballate elettriche che pochi termini di paragone hanno in quel periodo,
soprattutto se riferiti all'universo femminile della scena roots. Lucinda
Williams, prima ancora della definitiva consacrazione di Car Wheels on
a Gravel Road (e dovranno passare altri dieci anni di tormenti per l'artista),
detta così uno standard per tutte le interpreti a venire, una successione di cadenze
e indolenti sonorità southern che diventeranno il passaggio obbligato per molte
protagoniste dell'Americana di oggi. Le delicate confessioni di Like
a Rose e Am I Too Blue, o ancora
la melodia struggente del violino in Side of this Road, si contrappongono
così allo sfrontato binomio chitarra-armonica di Change
the Locks, mentre Abandoned e la dolente Price
to Pay ridisegnano i paesaggi della country music pescando direttamete
alla fonte immacolata di Hank Williams e scavalcando così decenni di finzioni
e imbellettamenti per il genere. Il tributo a New Orleans di Crescent
City, così come la solare melodia Big Red Sun Blues anticipano
infine scorci sudisti, ferite e memorie personali che ricorreranno più volte negli
anni a venire dentro il songwriting della Williams.
Risentite oggi, nella
nuova meritevole confezione deluxe, con foto inedite e ampia disamina scritta
(Chris Morris e Robin Hurley della Rough Trade), non hanno perso un briciolo della
loro poetica stradaiola traslata nel mondo della musica roots americana. E se
vi fosse ancora qualche dubbio sulla centralità di queste incisioni, per Lucinda
Williams e per l'intero movimento di songwriter che avrebbe ruotato intorno a
lei, basterebbe rincarare la dose con il piccolo omaggio del secondo disco, che
racchiude un'intera esibizione elettrica, full band in un club di Eindhoven, Olanda,
nel maggio del 1989 e sei brani acustici (chitarre e armonica) catturati per alcune
stazioni radio californiane (KCRW e KPFK). Secco e senza fronzoli, quartetto guidato
dalla chitarra twangy di Morlix e dalla voce se possibile ancora più tremolante,
emozionata della Williams, lo show olandese ricalca sostanzialmente la sequenza
dell'album stesso, aggiungendovi però alcune perle riprese dal repertorio passato
e persino le inedite Sundays e Something About
What Happens When We Talk, quest'ultima apparsa quindi sul successivo
Sweet Old World del 1992. Tra le sorprese "fuori contesto" si segnalano una travolgente
pantomima intitolata Factory Blues dove Lucinda
scende definitivamente a patti con l'anima nera della sua musica, doppiandosi
nell'hillbilly scatenato di Happy Woman Blues,
volto più rurale e licenzioso della sua interpretazione, fino alla chiusura di
Nothing in Ramblin', rollio country blues sulle tracce di Robert Johnson
e Big Bill Broonzy. Quest'ultima funziona additttura meglio nella spoglia veste
acustica che ritroviamo negli scampoli live alla radio di Los Angeles: in sequenza
con Disgusted di Melvin "Lil' Son" Jackson e il traditional Goin'
Back Home scoperchia quel fuoco di passione, sentimentalismo e durezza
che guida da sempre questa artista americana.
Riscoprirla così,
"naked and true", accresce ancora di più l'ammirazione per una
delle poche voci della tradizione rock che abbiamo saputo raggiungere lo status
di classici in questi ultimi vent'anni e tutto grazie alla dura forgia di un'autrice
che si è resa trasparente di fronte al suo pubblico.