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The Velvet Underground
The Velvet
Underground Super Deluxe 45th Anniversary Reissue
[Verve/MGM/Universal
6CD
2014]
www.velvetundergroundmusic.com
File Under:
Proiezioni private
di
Gianfranco Callieri (19/01/2015)
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A
lungo considerato come il primo disco solista di Lou Reed, poiché privo degli
elementi più crudi degli album precedenti e, soprattutto, orfano del taglio sperimentale
di John Cale (estromesso per volontà esplicita del collega), The Velvet
Underground, uscito nel 1969 in un missaggio la cui finalità era quella
di assecondare la moda sognante, immacolata e poco estroversa dei singer-songwriters
dell'epoca, non ha mai goduto della stessa fama, o dello stesso amore, toccato
in sorte al decadentismo urbano di The Velvet Underground & Nico (1967), al terrorismo
sonoro di White Light / White Heat (1967) o all'accessibilità rockinrollista dell'ultimo
Loaded (1970). In realtà, l'opera terza dei Velvet Underground (per quel che conta,
la più amata da chi vi scrive), sebbene indubbiamente lontana dalle atmosfere
notturne di rovina e desolazione degli altri lavori, conserva, in un contesto
di macabra e vivace originalità, caratteristiche parimenti innovative, la cui
carica di modernità si è però resa evidente solo molti anni dopo, quando molti
artisti ascrivibili alle correnti artistiche del cantautorato a bassa fedeltà
(Beat Happening, Lou Barlow, Pavement, Elliott Smith etc.) o del cosiddetto bedroom-pop
(da Ariel Pink ai Postal Service) hanno dimostrato di averne metabolizzato in
profondità l'intimismo obliquo e l'essenzialità delle scarne ballate elettriche.
Lo stesso Reed, del resto, definì apocrifo il mix effettuato dall'ingegnere
del suono della Verve Val Valentin, dichiarandosi in possesso di un più espressivo
confezionamento del lavoro purtroppo circolato solo nelle prime copie americane
dell'album e in Europa reso disponibile per la prima volta all'interno del box
retrospettivo Peel Slowly And See (1995). La nuova edizione di The Velvet
Underground, al solito approntata con un tale dispiegamento di particolari,
dettagli e sfumature da far pensare all'ennesimo tentativo di prosciugare le tasche
dei collezionisti con un progetto tanto definitivo quanto sovrabbondante, propone
l'album in tutte e tre le versioni fino a oggi conosciute, quella di Valentin,
quella mono (inessenziale curiosità d'epoca con pochissimo a che spartire rispetto
alle premesse del disco) e quella classificata dal chitarrista Sterling Morrison
come "Closet mix", poiché mettendo in primo piano la voce e la sei corde di Reed,
e relegando il resto dei musicisti in una specie di sottofondo ambientale, dava
l'impressione di ascoltare costoro come se ne avessero appunto registrato la performance
da un armadio. Bisognerà quindi affermare che, per la milionesima volta, la generosità
(o la furbizia, a seconda dei punti di vista) del progetto non esaurisce né la
curiosità intorno alla genesi storica di The Velvet Underground (c'è ancora chi
favoleggia di una prima versione dell'album realizzata con la viola di Cale in
formazione) né il legittimo interesse, da parte degli ascoltatori, a determinare
quale sia la vera traduzione sonora del lavoro: questa "Super Deluxe 45th Anniversary
Reissue", come del resto gli speculari cofanetti dedicati ai primi due capitoli
della storia del gruppo, rappresenta soltanto la fotografia più esaustiva, perlomeno
da un punto di vista filologico, non della nascita ma dell'uscita di un disco
a suo modo cruciale, raffigurato all'interno del proprio contesto storico.
Perciò ecco i suddetti missaggi ordinati nei primi tre dischi del cofanetto (il
"Closet mix" promosso da Reed è suggestivo, ma non necessariamente il migliore
del trittico), un quarto CD dedicato alla meticolosa ricostruzione dell'album
"perduto", parallelo a The Velvet Underground, i cui frammenti erano sin qui affiorati
negli antologici VU (1985) e Another View (1986) in versioni fin troppo rimaneggiate
(soprattutto per quanto concerne la capacità di suono della sezione ritmica) e
qui riappaiono in tutta la loro icastica spigolosità (trattasi del resto di materiale
targato 1969), e infine gli ultimi due dischi, il quinto e il sesto, riservati
alla testimonianza integrale di altrettanti concerti al Matrix di San Francisco
(26 e 27 novembre 1969) in precedenza sparpagliati su 1969: Velvet Underground
Live with Lou Reed (1974) e sul famigerato box Bootleg Series Volume 1: The Quine
Tapes (2001), titoli interessanti ma viziati da una qualità sonora a dir poco
deficitaria.
Sull'album
in sé non dovrebbe esserci nulla da aggiungere. Chi sostiene mostri un gruppo
sterilizzato non sa di cosa parla o ha ascoltato un'altra cosa a me ignota. Malgrado
le indiscutibili differenze di stile tra The Velvet Underground e i suoi fratelli
discografici, dimostrazione semmai dello straordinario eclettismo della band,
vide bene Lester Bang nel sottolineare quanto il lavoro documentasse la capacità
dei Velvet nel "cimentarsi su qualsiasi genere con immutata brillantezza". La
delicatezza delle sei corde di Reed e Morrison (di nuovo sinistre e incalzanti
nel r'n'r schizofrenico di Beginning To See The Light), unita alla disinvoltura
sottrattiva di una Moe Tucker dalla batteria mai così trasparente e ai cori diafani
del nuovo arrivato, il bassista e organista Doug Youle, sprigionano tutto il carisma
di una formazione in grado di comporre e interpretare il monologo bluesy di
Some Kinda Love come il folk-pop quasi hippie della sorprendente That's
The Story Of My Life, il guitar-rock psichedelico di What
Goes On (una specie di prontuario per la carriera di band quali Galaxie
500, Luna o Yo La Tengo) e le armonie melodrammatiche della sontuosa I'm Set
Free, la struggente fragilità folk-rock di Pale Blue
Eyes e il delirio tra jazz, spoken-word e musica improvvisata della
lunga The Murder Mystery, il crooning elettrico con moderazione della stupenda
Candy Says e la cantilena countreggiante
e shabby-chic della deliziosa After Hours (perché Wes Anderson non l'ha
ancora usata in una sua colonna sonora?).
A comprovare l'elasticità dei
Velvet provvedono proprio i due ferocissimi CD dal vivo, culminanti, prima, in
una primigenia versione di Rock & Roll dove
cova, in embrione, tutto il Paisley Underground, poi in una catartica We're
Gonna Have A Real Good Time Together e infine negli scombussolanti 37 minuti
e rotti d'una Sister Ray all'insegna di un'aggressività
sonica abrasiva e disturbante come nemmeno i Sonic Youth e tutti i gruppi della
no-wave newyorchese combinati assieme. Nei brani del quarto CD, nonostante l'invadenza
di echi e riverberi (a tratti inascoltabili) come imponeva lo spirito del tempo
(ma sei brani su quattordici sono stati ripuliti appositamente), si ha l'occasione
di saggiare il processo creativo di una band impegnata nel tentativo di catturare
il profumo di un'epoca e, inutile negarlo, i primi flash della carriera solista
di Reed, il cui talkin' nervoso, elettrico e metropolitano rende quasi profetiche
le altrimenti non indispensabili She's My Best Friend (giusto uno scarabocchio
del brano poi apparso su Coney Island Baby [1976] del solo Reed) e Andy's
Chest (tre anni dopo sul celeberrimo Transformer), peraltro bilanciate,
in qualità e trasporto sonoro, dalle divagazioni lisergiche dell'acidissima Ferryboat
Bill, dal folkeggiante strumentale Ride Into The Sun, dalla cupezza
spettrale di un'ipnotica Ocean e dal feeling
da errebì "progressivo" della tumultuosa I'm Gonna Move Right.
Non
ho nessuna simpatia per le multinazionali del disco, anzi, spesso ne reputo le
manovre archivistiche mere speculazioni di bassa lega, ma per non scadere nel
populismo più onirico va sottolineato come oggetti simili deludano solo chi li
avvicina attribuendogli un inesistente scopo divulgativo. Il loro obiettivo, al
di là dell'intento (non censurabile a prescindere: se c'è chi compra...) di gonfiare
le tasche di artisti, eredi e manager delle etichette, non è quello di invogliare
il neofita: li si deve invece paragonare a quelle che, in letteratura, vengono
chiamate "edizioni critiche" di un dato testo, corredate da apparati rivolti agli
specialisti e agli studiosi o, più in generale, a chi a uno specifico elaborato
ha deciso di dedicare tempo, approfondimenti e soprattutto risorse. Dunque, atto
di strozzinaggio o vocazione enciclopedica? Probabilmente entrambe le cose: una
convivenza meno impossibile di quanto non si sia di solito portati a credere.
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