The
Dream Syndicate The
Days Before Wine and Roses
(Live At KPFK, September 5, 1982) [Omnivore
Recordings 2014] www.omnivorerecordings.com
File Under: Beginning to see
the lighy
di
Gianfranco Callieri (03/04/2014)
Per una di quelle curiose
contraddizioni in fondo non infrequenti tra chi pretende di stanare
il nuovo a ogni costo, sovente ignorando come il nuovo, molto spesso,
altro non sia se non un diverso modo di pensare, digerire e verbalizzare
il vecchio (perciò sempre opportuno da conoscere e tenere a mente),
è accaduto che, passati dieci anni appena dal loro primo apparire sulle
scene, quasi tutti i gruppi appartenenti a quel movimento neopsichedelico
per comodità definito "Paisley Underground" e da molti etichettato,
e benedetto, quale "nuovo rock" degli anni Ottanta, passassero, secondo
la fenomenologia proposta da Alberto Arbasino, dal rango di brillanti
promesse a quello dei soliti stronzi senza nemmeno transitare nella
categoria dei venerati maestri.
È accaduto, in sostanza, che quanti nei primi '80 venivano reputati
rivoluzionari e iconoclasti raggiungessero la fine di quel decennio
portandosi dietro la nomea, soprattutto in Italia, di dinosauri bolliti
e conservatori: problema di prospettiva sbagliata fin dall'inizio, naturalmente,
giacché nessuna di queste band aveva mai fatto mistero del proprio legame
con i classici del rock, magari riletti - questo sì - con spirito visionario
e foga anticonformista, e il vizio di forma stava semmai nelle orecchie
di una critica già sedotta dalle sirene del grunge e tanto ignorante,
nonché talmente supina rispetto alle mode del momento, da non rendersi
neanche conto di quanto i gruppi di Seattle e dintorni fossero in debito
di stile, ispirazione e talvolta persino guardaroba nei confronti delle
formazioni californiane appena ripudiate.
Tra queste, Dream Syndicate e Green On Red, in particolare, divennero
il bersaglio prediletto di chi rimproverava, al Paisley, un repentino
abbandono della trasgressione in favore della reazione rockinrollista,
certe volte (orrore!) persino countreggiante. Eppure, se nel caso dei
secondi i collegamenti del loro leader Dan Stuart con le radici profonde
di country e folk non potevano certo essere negate (e costituivano anzi
il principale punto di forza di una scrittura con pochi eguali nel contesto
del periodo), l'originaria line-up dei primi, con le sei corde fiammeggianti
di Karl Precoda e Steve Wynn (senza dimenticare le liriche fataliste
e sanguinarie di quest'ultimo, hard-boiled, sferzanti, disperate e crudeli
molto prima che la rivalutazione dei temi della letteratura noir diventasse
norma corrente), il basso ipnotico di Kendra Smith e la batteria tribale,
convulsa di Dennis Duck, fu invece tra le più originali e innovative
di sempre nel rimescolare il blues acido e delirante dei Doors con la
selvaggia sporcizia hard degli Stooges, l'inesorabile logorrea del Bob
Dylan elettrico e l'improvvisazione atonale e rumorista del free-jazz
newyorchese degli anni '50.
Dovessero ancora persistere dubbi in merito, al neofita o all'ex-appassionato
in vena di sottoporre a nuova verifica il proprio giudizio basterà ricorrere
a The Day Before Wine And Roses, fotografia traballante,
e proprio per questo tanto più emozionante e viva, degli albori dei
Dream Syndicate, catturati dal vivo nel 1982, presso lo Studio ZZZZ
di Hollywood, dai microfoni della stazione radio KPFK, pochi mesi dopo
la pubblicazione dell'omonimo 12" di debutto (quattro brani licenziati
su Down There nell'aprile dello stesso anno), pochi mesi prima dell'esordio
"lungo" The Days Of Wine And Roses (titolo preso dal poeta inglese
Ernest Dowson, ma soprattutto dall'eponimo dramma sull'alcolismo, senza
lieto fine, diretto per il grande schermo da Blake Edwards vent'anni
prima, per uno dei capisaldi del rock alternativo dell'epoca, prodotto
con abrasivo realismo da Chris D. dei Flesh Eaters).
The Day Before Wine And
Roses uscì nel 1994 in Europa, per la franco-tedesca Normal (i possessori
di quell'edizione ricorderanno con tenerezza il retro del cd, dove la
label indicava numero di telefono e fax…), e l'anno dopo negli States,
per l'intraprendente Atavistic: essendo finite quasi immediatamente
fuori catalogo entrambe le edizioni, non si può non essere grati alla
Omnivore per questa ristampa, sebbene qualcosa in più in termini
di inediti e revisione dell'impianto grafico si sarebbe forse potuto
fare. Sì, perché diversamente dagli "altri" album dal vivo dei nostri,
il fulminante This Is Not The New Dream Syndicate Album… Live!
(1984) e il mai troppo incensato, monumentale e incendiario Live
At Raji's ('89), quest'ultimo un concentrato travolgente di classicità
in chiave rockista alla maniera dei più epici Blue Öyster Cult, The
Day Before Wine And Roses dice della band nel culmine della propria
urgenza riformatrice, depositaria del frastuono, del tormento, della
rabbia, dell'acidità e della poesia del rock'n'roll metropolitano e
sperimentale come nessuno dai tempi degli amati Velvet Underground del
secondo album.
Non poteva essere altrimenti, per un gruppo che aveva trovato una ragione
sociale ricorrendo a una citazione del collettivo di musica contemporanea
frequentato tre lustri prima anche da John Cale, e tuttavia, oltre all'incessante
duellare tra le chitarre di Wynn e Precoda, in un'economia sonora dove
al primo vengono assegnati i tratteggi più lirici e solenni, mentre
il secondo scatena un'inarrestabile precipitazione di feedback, e oltre
ai fraseggi onirici tra il basso quasi catatonico della Smith e i tamburi
stravolti di Duck, oltre insomma all'efficacia quasi miracolosa di un
suono dove deragliamenti minimalisti e brucianti impennate rock si attorcigliano
di continuo, in questi Dream Syndicate si manifesta pure una consapevolezza
delle tradizioni di rado così diligente e, al tempo stesso, spiazzante.
I Dream Syndicate del 1982, dopo aver avvisato i bootleggers presenti
in sala di non voler pagare i diritti sui brani altrui che si apprestano
a rileggere, attraversano i Buffalo Springfield di Mr.
Soul, il Bob Dylan di Outlaw Blues
(con una citazione dei Cream di Sunshine Of Your Love nel
finale) e il Donovan di Season Of The Witch in pratica gettando
le basi di tutto il rock chitarristico più violento e ossessivo delle
stagioni a venire, di fatto anticipando non solo le intricate scale
noisey di Sonic Youth e affini, ma anche tutta l'estetica revisionista
degli anni zero, quando il ripasso di blues e garage-rock targati Sessanta
in chiave distorta, espressionista e delirante diventerà quasi un luogo
comune del contegno indie. Il ruolo da protagoniste è comunque riservato
alle composizione autografe, tra le quali spiccano una devastante That's
What You Always Say, cattiva, incalzante e febbrile come
non mai, un'esplosiva When You Smile
aperta dalle distorsioni urticanti di Precoda e poi scaraventata in
un infernale, spaventoso raga velvettiano e una
The Days Of Wine And Roses a passo di carica, contraddistinta
da un costante intrecciarsi di estasi allucinogena e irrequietezza punk.
E straordinaria, benché ancora in fase embrionale, è l'intersezione
tra fendenti heavy-psych e improvvisazione jazz della Open Hour
destinata a trasformarsi, sul capolavoro Medicine Show ('84), nella
leggendaria John Coltrane Stereo Blues: chi asserisce, non a tutti i
torti, l'inadeguatezza del basso di Kendra Smith (musicista di vaglia
ancorché, come stabilito dai successivi lavori negli Opal o da solista,
più incline alla sottrazione e al mistero dei vuoti e delle sospensioni
che ai fiumi di lava generati dai Syndicate) rispetto all'irruenza trascinante
del gruppo, ascolti il senso di claustrofobia, la ripetitività in forma
di drone e le pulsazioni sordide qui riprodotte dal suo strumento, in
un mantra osceno e martellante con poco da invidiare ai Velvet di Here
She Comes Now, per rendersi conto di come, nella notte giusta, anche
una formula in apparenza poco efficiente possa tramutarsi in un incantesimo
al calor bianco di istintività e viscere.
Nelle parole di Pat Thomas, curatore delle liner-notes, per l'occasione
ampliate e integrate da un ricordo dello stesso Wynn, della prima edizione
di The Day Before Wine And Roses, quello dei Dream Syndicate
alla KPFK sarebbe uno dei grandi concerti della storia del rock assieme
agli Who del Fillmore East (1968), al Dylan della Royal Albert Hall,
a Woodstock, ai Fairport Convention con Richard Thompson e Sandy Denny,
un'esibizione consacrata sotto le stelle nere di Ornette Coleman, Velvet
Underground e Crazy Horse. Esagerazione da fan? Probabilmente. Eppure,
considerato il numero impressionante di spettatori eccellenti (Rain
Parade, Green On Red, Bangles, REM etc.) e vista l'influenza sotterranea
esercitata da questi suoni, dal loro furore e dalle loro visioni, su
di un trentennio abbondante di rock americano e non solo, non c'è bisogno
di stilare classifiche per riconoscere al disco l'importanza che merita.
Il suo ruolo: né più né meno che quello di essere l'ultimo pezzo mancante,
finalmente di nuovo disponibile, di un cerchio da chiudere indicando
i Dream Syndicate dal 1981 al 1984 come uno dei gruppi più importanti
degli ultimi trent'anni.