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Willie
Nelson
Lost Highway
[Lost Highway/ Universal 2009]
L'uscita di scena di Willie
Nelson dalla scuderia Lost Highway porta lo stesso titolo della casa discografica,
quest'ultima punta di diamante del rinascimento Americana e country rock del decennio:
naturale che la figura di Nelson ne qualificasse in qualche modo l'intero operato
simboleggiando in Lost Highway le tensioni fra stardom e fedeltà
alle radici che da qualche anno segnano il suo percorso artistico. Già, ma quale
bilancio va tratto da questo lungo soldalizio? Tra i periodi indubbiamente più
eclettici, verrebbe da dire confusi ed erranti, della sua interrminabile carriera,
l'era targata Lost Highway del "mostro sacro" degli outlaws è trascorsa fra qualche
sperimentazione, ottime idee, ritorni al passato e troppi giochetti fra amici
che ne hanno forse inficiato la visione d'insieme. È un po' la sensazione che
si riceve anche all'ascolto della sequenza di diciasette brani raccimolata per
la suddetta antologia, un saliscendi di stili e volti, collaborazioni e arrangiamenti
che non sembrano rendere un buon servizio allo stesso Nelson: l'eclettismo è sempre
stata una sua espressione irrinunciabile e anche un modo di leggere la storia
dell'american music, ma va ammesso che Lost Highway pare prediligere con troppa
enfasi i duetti, le gigionerie e i trucchetti di un musicista immenso che di tanto
in tanto si diverte a disperdere la sua incondibile voce in interpretazioni affetate.
Accade allora che Maria e Mendocino
County Line (entrambe da The Great Divide, certamente non uno dei vertici
di questo periodo) aprano la raccolta denunciando queste debolezze: i partner
vocali Rob Thomas e Lee Ann Womack non aiutano a risollevare un country leccato
lontano anni luce dalle conquiste del precedente periodo Island (Teatro e Spirts,
ma anche il lussuono omaggio di Milk Cow Blues furono sorpredenti per vitalità
e ispirazione). Si tratta appunto di quelle cadute che distinguono a modo loro
una produzione la quale fra alti e bassi ha saputo persino entusiasmare quando
ha preso coraggio: peccato ad esempio che i compòpilatori abbaino scelto
solamente Back to earth da Songbird, la singolare
e freschissima versione di The Harder They Come
(Jimmy Cliff) da Countryman e Overtime da
It Always Will Be, per coprire tre fra i momenti più felici di questa avventura.
Sappiamo però quanto il disco con Ryan Adams (il citato Songbird) rimanga controverso
nella gestazione e da qui forse nasce la sua marginalità in Lost Highway: "best
of" quest'ultimo che preferisce dunque adagiarsi nelle languide versioni
di alcuni classici con Ray Price o nella piacevole parentesi western swing di
You Don't Know Me, tributo al canzoniere di Cindy walker da cui arrivano l'omonima
title track e Bubbles in My Beer, per non
parlare di quegli insistenti duetti che scadono nel manierismo assoluto in Blue
Eyes Crying in the Rain (con Shania Twain) e Crazy
(la coppia artistica e familiare composta da Diana Krall e Elvis Costello), risollevandosi
nella sola Overtime di Lucinda Williams, cantata
con la stessa autrice. Rimane infine la consolazione di vedere allineate
in coda due preziose chicche, quelle Cowboys Are Frequently
Secretly Fond of each Other e Ain't Going
Down on Brokeback Mountain ispirate dal famoso e premiato film di Ang
Lee, in cui lo spirito fuorilegge e un poco dissacrante del texano Nelson sembra
rivalsersi sull'ipocrisia nashvilliana. Anche le canzoni in sé, fra suono e produzione,
si allineano di nuovo a quella figura di interprete country fuori dagli schemi,
ma fanno ancora più rabbia per uno "spreco" e una iper-produttività che spesso
ha giocato qualche scherzo al nostro amato Willie. (Fabio Cerbone) www.willienelson.com
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