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The Replacements "This
Band Could be Your Life"
Sorry Ma, Forgot To Take Out The Trash // Stink // Hootenanny // Let It Be //
Tim // Pleased To Meet Me // Don't Tell A Soul // All Shook Down
[Rhino/Ryko
2008]
Si
discute abbastanza spesso su come si manifesti il concetto di "autenticità" in
musica, e se questo, eventualmente, costituisca un valore in sé o racchiuda un
significato autonomo rispetto alle forme che lo esprimono. In un interessantissimo
articolo contenuto nell'ultimo numero della rivista Blow-Up (nella sezione "Naked
Brunch") si conclude, con ragione da vendere, che la nozione di "vero" applicata
all'arte quale criterio di valutazione è sempre pericolosa. D'altro canto sin
dai tempi della Magna Grecia, più o meno cinque secoli prima di Cristo, il termine
"bello" (kalós) viene usato in connessione a "buono". La Scuola Pitagorica non
esita a correlazionare vero, buono e bello in un'unica trinità. Ma non c'è bisogno
di scomodare le radici stesse del ragionamento filosofico per spiegare quanto
enunciato con ruvida efficacia dalla scrittrice cattolica ortodossa Flannery O'Connor
a un balbettante interlocutore che, sostenendo la natura metaforica della transustanziazione
(il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue di Cristo), si sente rispondere
un categorico "Ah sì? Be', se è solo una metafora che vada a farsi fottere". Il
Cristo simbolico delle icone e dei sermoni, per la O'Connor, è un involucro vuoto
da rifiutare e bestemmiare; il suo corpo e il suo sangue, letteralmente masticati
e deglutiti ad ogni funzione, l'essenza stessa della fede. Se
dovessi scendere ancora di un gradino, potrei dire che la definizione più sentita
(e più mia) dell'equazione tra verità e bellezza, tra onestà intellettuale e creazione
artistica, l'ho sentita dare da Paul Westerberg, che in un'intervista circa
i capisaldi della propria ispirazione individuava in "onestà" e "melodia" i due
criteri fondamentali del suo scrivere musica ("Se ho una buona melodia posso permettermi
di non essere brutalmente diretto nel testo, di costruirlo con qualche raffinatezza
in più. Se per qualche motivo la melodia mi suscita dei dubbi, allora mi sento
in dovere di abbinarle il testo più sincero che sono in grado di comporre.").
Certo, Westerberg mi piglierebbe a calci nel sedere, se sapesse che l'ho infilato
da qualche parte tra i Pitagorici, ma voglio dire, di fatto l'ho sempre seguito
come se fosse un filosofo, e del periodo degli studi superiori ricordo gli ascolti
ripetuti di Here Comes A Regular molto più di quanto non ricordi Aristotele.
Oh be'. Gli ermeneuti della critica musicale come dottrina possono insorgere:
i guasti della generazione dei blog! il gusto personale che soppianta l'informazione
acclarata! il regno del personalismo dove tutto è opinabile! Certo, a parte il
fatto che nei blog si trovano spesso chiavi di lettura illuminanti, che il modo
di esporre i gusti personali è l'unico motivo per cui valga la pena seguire un
critico piuttosto che un altro e che l'opinabilità si discute, magari in modo
interessante, e i postulati no, sono tutte rimostranze legittime. Ma
non posso non affermare senza esitazioni che l'amore per Westerberg e per i suoi
Replacements, nato e cresciuto all'ombra delle esagerazioni pagliaccesche
degli anni '80, è per quanto mi riguarda strettamente correlato ai sogni che mi
hanno regalato, e tra essi quello che da qualche parte ci fosse una band pronta
a schiaffare ogni nervo, ogni fibra, ogni errore del proprio percorso direttamente
su album, consacrandosi all'idea che nessuno dei loro fans li voleva perfetti
(non lo sono mai stati), bensì semplicemente veri. Hanno sbagliato tutto, i 'Mats:
troppo ubriachi per suonare nelle sere importanti e micidiali in quelle in cui
gli executives delle compagnie discografiche non uscivano di casa, incapaci di
dedicarsi a un video decente (leggendario quello di Bastards Of Young,
un'unica inquadratura fissa dello stereo amplificante la canzone), persi e strafatti
di fronte alle telecamere dei network televisivi (memorabile la sequela di "fuck"
sibilata in diretta al Saturday Night Live all'epoca di Tim). Eppure, l'influenza
esercitata da questo gruppo su centinaia e centinaia di formazioni successive
(dai Guns N Roses a Josh Rouse), su cineasti e scrittori, risulta addirittura
incalcolabile. Segno inequivocabile del fatto che, in mezzo a tutte le cicatrici
e a tutti i sorrisi delle loro canzoni, in molti sono riusciti a trovare una parte
non indifferente delle proprie verità. (Gianfranco Callieri)
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Le ristampe (a cura di Gianfranco Callieri)
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Sorry
Ma, Forgot To Take Out The Trash [Twin
Tone 1981/ Rhino 2008]
Quattro teppistelli di Minneapolis, famosi nel circondario della città per
la velocità insensata e sgangherata con cui sbrindellano abbozzi di canzoni, chiusi
in uno studio di registrazione senza che nessuno dei convenuti, né il produttore
Steven Fjeldstad né il pigmalione Peter Jesperson, riesca a contenerne o ammorbidirne
l'irruenza. Paul Westerberg sbraita convulso nei microfoni, prende fiato
e stona alla grande, Chris Mars vomita sbilenche fucilate di batteria,
Bob Stinson gratta la chitarra come se avesse una motosega al posto del
plettro e suo fratello Tommy (all'epoca ancora minorenne) strapazza il
basso con l'allegra cialtroneria del novizio. Takin'
A Ride, Customer,
Shiftless When Idle e More Cigarettes
assolvono senza infamia e senza lode il compito di produrre rozza eccitazione
hardcore, ma è la sofferta Johnny's Gonna Die,
nel suo momentaneo rallentamento di foga e toni, a dire per la prima volta qualcosa
di importante circa la scrittura di Westerberg e a rendere curiosi circa i possibili
sviluppi del baccanale. Le dodici canzoni aggiunte sono curiose ma per
lo più ininfluenti versioni demo di brani già noti, o quasi, tutte all'insegna
di una dispersione corrosiva di intenti (ascoltare per credere il caos di Basement
Jam). Occhio però alla sbrindellata, sofferta, poetica acustica di
If Only You Were Lonely, originaria b-side
del 45 giri di I'm In Trouble e a lungo irreperibile: una perla di smarrimenti
e tenerezze che prefigura in modo pressoché compiuto le meraviglie a venire
Bonus-Tracks: Raised In The City (demo) // Shutup (demo) // Don't Turn Me
Down (demo) // Shape Up (demo) // You Ain't Gotta Dance (demo) // Get On The Stick
(demo) // Oh Baby (demo) // Like You (outtake) // Get Lost (outtake) // A Toe
Needs A Shoe (outtake) // Customer (alternate take) // Basement Jam (rehearsal)
// If Only You Were Lonely 
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Stink
[Twin Tone 1982/ Rhino 2008]

E' in linea con l'ethos
dei suddetti teppisti, intitolare "Fetore" il successivo mini da un quarto d'ora,
peraltro inaugurato dalla registrazione live di un loro concerto interrotto dall'irruzione
delle forze dell'ordine (con tanto di pubblico che manda a farsi fottere i poliziotti:
la voce seccata è quella del futuro frontman dei Soul Asylum Dave Pirner). Eppure,
almeno uno degli proiettili di Stink
- il punk-rock alla Clash dell'anthemica Kids Don't Follow
- segnala uno spessore compositivo in netta crescita. Il resto sono caustiche
schegge di rumore da qualche parte tra il punk più raffazzonato e la violenza
primitiva di un hardcore ben poco matematico. Solo quattro le canzoni
aggiunte, ma più rivelatorie del previsto: tra cover di Hank Williams (un'allucinata
Hey Good Lookin') e Bill Haley (una sghemba
Rock Around The Clock), utili a comprendere
la ricchezza pressoché springsteeniana di un retroterra di ascolti e passioni
in parte ancora ineguagliato (si ascolti al proposito "il" live ufficiale, The
Shit Hits The Fans, un'audiocassetta pubblicata dalla TwinTone nel 1985 e mai
ristampata sucessivamente, dove i nostri coprono Lloyd Price e Robyn Hitchcock,
gli X e i Rem, gli Skynyrds e i Sabbath, Petty e i Motley Crue, gli Stones e la
Carter Family, e poi Beatles, Thin Lizzy, Bachman Turner Overdrive, Vertebrats,
Zep, U2, Foreigner, Mott The Hoople etc.), spicca il solitario struggimento di
You're Gettin' Married, all'oggi uno dei prodotti
migliori nel catalogo del Westerberg più intimista, malinconico, acido e rabbioso
al tempo stesso come solo il Dylan di Positively 4th Street (che non a caso St.
Paul rileggerà in una futura compilation allegata al mensile britannico Uncut).
Bonus-Tracks: Staples In Her Stomach (outtake) // Hey, Good Lookin'
(outtake) // (We're Gonna) Rock Around The Clock (outtake) // You're Getting Married
(solo home demo) 
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Hootenanny
[Twin Tone 1983/ Rhino 2008]
Registrato in "un
magazzino di qualche avvilente sobborgo a nord di Minneapolis" (così le note originarie),
Hootenanny
è il disco delle prime grandi canzoni e, sebbene ancor troppo parodistico e disorganico
nelle intenzioni per assurgere al ruolo di "classico", il primo album dei 'Mats
a prevedere una sorta di sviluppo coerente dalla prima all'ultima canzone. Una
coerenza tutta personale, beninteso: in omaggio al titolo, che rimanda ai raduni
di musica folk dove condividere esperienze e improvvisazioni, il gruppo sbatte
su nastro le proprie inclinazioni e i propri rigurgiti di personalità senza nulla
precludersi, né sibilanti bordate metal (Run It)
né gotici accenni alla psichedelia degli anni '60 (Willpower).
Divertente, certo, e talvolta illuminante, come nel power-pop della stupenda Color
Me Impressed o nel college-rock ante litteram di Within
Your Reach, ma anche troppo fuori di testa per essere definitivo. A
cosa servano lo strumentale surfabilly di Buck Hill o
i furti beatlesiani in salsa Chubby Checker di una Mr
Whirly (i cui crediti di scrittura riportano infatti un laconico e
impagabile "mostly stolen", per lo più rubati) non devono ancora averlo capito
neppure i 'Mats, che per gradire si rimescolano a piacere spostando Westerberg
e Stinson sr alla sezione ritmica e affidando le chitarre al bassista e al batterista.
Anche in questo unici. Sette
propaggini di spessore altalenante nelle bonus, che vanno dal cow-punk improbabile
della squinternata Lookin' For Ya al rutilante
noise di Junior's Got A Gun. Le versioni alternative
di alcuni brani dell'album (Lovelines, Treatment Bound) non aggiungono granché
al format originale, e così pure una Johnny Fast altro non è se non una Johnny's
Gonna Die allo spasimo, ma la sporcizia urbana di Ain't
No Crime e il ruvido blues acustico di Bad
Worker, entrambe inedite, portano in dote diversi particolari interessanti.
Bonus-Tracks: Lookin' For Ya Junior's Got A Gun (outtake - rough mix) //
Ain't No Crime (outtake) // Johnny Fast (outtake - rough mix) // Treatment Bound
(alternate version) // Lovelines (alternate vocal) // Bad Worker (solo home demo)

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Let
It Be [Twin Tone 1984/
Rhino 2008]
Storia
del rock, o dei massimi risultati ottenuti col minimo impegno.
Let It Be
è uno dei capolavori degli anni '80, nonché la dimostrazione lampante di come
sia possibile ricucire e rigenerare trent'anni di cultura pop con nient'altro
a disposizione che grinta e istinto. Certo, i 'Mats, qui, compongono e suonano
come non avevano mai fatto prima, ma non crediate non fosse complicato, all'epoca,
scaraventare nell'underground indie i Kiss (dei quali si rilegge Black
Diamond trasformandola in un incredibile western urbano) o Ted Nugent
(Gary's Got A Boner prende il riff dalla sua
Cat Scratch Fever). Certi steccati erano ben più alti di quanto siano adesso:
ci volevano questi sgangherati twentysomething per scardinarli a colpi di ironia
(I Will Dare, con la chitarra di Peter Buck),
gioia (il pazzesco crescendo punk'n'roll di Seen Your
Video), verve alcolica (mai dichiarazione d'amore fu più concisa di
Favorite Thing) e - perché no - frustrazione
(profusa a piene mani nel triste ruggito di Unsatisfied),
sconforto (per l'adolescenza mortificata di Sixteen Blue),
solitudine amorosa (quella del protagonista della jazzata Androgynous).
Il passaggio della linea d'ombra o, se si vuole, una scorticata dichiarazione
d'affetto nei confronti della musica quale insostituibile compagna di viaggio
e di crescita, fino al catartico pianto finale di Answering
Machine: uno sconquassante bordone di chitarra elettrica su cui Westerberg
urla "Ne ho abbastanza di tutto questo / Prova a liberare uno schiavo con l'ignoranza
/ Prova a insegnare il romanticismo a una puttana / Come faccio a dire che mi
manchi / A una segreteria telefonica? / Come faccio a dire che mi sento solo /
A una segreteria telefonica?" che oggi come allora resta un climax emotivo di
forza inaudita. Solo i fedeli acquirenti del periodo potevano conoscere
la roboante rivisitazione del T.Rex di 20th Century Boy
(uscì come retro del 45 giri di I Will Dare) che avvia la mezza dozzina di bonus
qui incluse, ma nemmeno loro potevano immaginare che nello stesso periodo i 'Mats
si dilettassero nel ribaltare i tepori zuccherosi della settantesca meteora canadese
DeFranco Family (Heartbeat - It's A Lovebeat) o il folk-rock creato a tavolino
dai produttori/compositori PF Sloan e Steve Barri nella seconda metà dei '60 per
i Grass Roots (Temptation Eyes), entrambi opportunamente irrobustiti e velocizzati.
Tutto spassoso e istruttivo, così come una versione primigenia e ancor più cattiva
di Answering Machine e una Sixteen Blue quasi identica all'originale tranne che
nel cantato, qui più folkie e pensieroso rispetto agli standard imbestialiti di
Westerberg. Bonus-Tracks: 20th Century Boy Perfectly Lethal (outtake)
// Temptation Eyes (outtake) // Answering Machine (solo home demo) // Heartbeat
- It's A Lovebeat (outtake - rough mix) // Sixteen Blue (outtake - alternate vocal)

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Tim
[Sire 1985/ Rhino 2008]

Disco
meraviglioso, Tim,
eppure stranamente imbrigliato da un suono poco dinamico, poco brillante e male
invecchiato. Colpa dei sussulti interni alla band, costretta a licenziare poco
dopo l'uscita del disco un Bob Stinson perso nella propria spirale autodistruttiva
(morirà dieci anni dopo per problemi di droga), o colpa del produttore Tommy
Erdelyi
(aka Tommy Ramone), incapace di fotografare con sufficiente immediatezza l'esuberanza
melodica del gruppo? Si può propendere per la seconda ipotesi senza però sottovalutare
11 canzoni enormi, che ancora oggi suonano come un manuale di guitar-pop fulmineo
e graffiante. Hold My Life, la luccicante
Kiss Me On The Bus, l'hard-rock travolgente
di Dose Of Thunder e Lay
It Down Clown, il folk-rock impazzito di Waitress
In The Sky o gli incredibili, vertiginosi inni rock'n'roll di Bastards
Of Young e Left Of The Dial dispiegano
una potenza di fuoco nonostante tutto impressionante, mentre il soffice mid-tempo
di Swingin' Party e l'accorata e autunnale
introspezione di Here Comes A Regular regalano
i più efficaci ritratti di alienazione e sradicamento che il decennio ricordi.
Tra le bonus, almeno tre outtakes prodotte nientemeno che da Alex Chilton
- Nowhere Is My Home,
Can't Hardly Wait acustica ed elettrica (apparirà in forma ufficiale
solo nel successivo Pleased To Meet Me) - lasciano intendere che razza di capolavoro
poteva essere Tim allorché provvisto di un sound appena più grezzo e diretto.
Kiss Me On The Bus e Waitress In The Sky, di nuovo supervisionate da Erdelyi,
suonano meglio nelle versioni già note; Here Comes A Regular è pur sempre una
canzone che vale una carriera, ma la take pubblicata rimane quella definitiva.
Bonus-Tracks: Can't Hardly Wait (acoustic outtake) // Nowhere Is My Home
(session outtake) // Can't Hardly Wait (electric outtake) // Kiss Me On The Bus
(demo version) // Waitress In The Sky (alternate version) // Here Comes A Regular
(alternate version) 
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Pleased
to Meet Me [Sire 1987/
Rhino 2008]
Allontanato Stinson, i
tre 'Mats superstiti si ritirano nei mitici Ardent Studios di Memphis portandosi
dietro addirittura il leggendario Jim
Dickinson
(in cabina di regia), l'idolatrato Alex Chilton e i Memphis Horns. Pleased
To Meet Me,
commercialmente parlando, non è certo il salto auspicato dall'etichetta, bensì
un fiasco di proporzioni ciclopiche: insospettisce i nuovi ascoltatori, che non
sanno dove collocare una simile masnada di ubriaconi in libera uscita, e infastidisce
i vecchi fans, che accusano il tradimento degli ideali post-punk in favore d'una
sarabanda di puro rock & roll americano. Ma il disco è tanto breve quanto perfetto,
un vigoroso concentrato di fragore soul, scurrili riff stonesiani e rasoiate pop-rock
degne dei primi Big Star. Never Mind e Valentine
(occhio alla chitarra dopo il primo ritornello) potrebbero essere canzoni del
primo Tom Petty, Shooting Dirty Pool (col
giovanissimo Luther Dickinson alla sei corde), e Red
Red Wine vivono di una furia ormai cronicamente sconosciuta a Jagger
& Richards, Nightclub Jitters è un cocktail
trangugiato allo stesso bar del Tom Waits degli anni '70, The
Ledge affronta il tema del suicidio senza peli sulla lingua (e per
questo viene bandita da MTV), Skyway è una
ballata da "grande freddo" interiore che taglia a fette il cuore di molti, Can't
Hardly Wait (con tanto di fiati) un fiammeggiante rock-soul stradaiolo
da ascrivere agli orgogli di tutto il rock'n'roll post-Exile On Main St. "Children
by the million sing for Alex Chilton when he comes 'round", sbraita nel microfono
Westerberg durante Alex Chilton: il fatto
che non sia mai successo davvero, né per il leader dei Big Star (qui impegnato
alla chitarra su Can't Hardly Wait) né per i nostri 'Mats, nulla toglie alla bellezza
mozzafiato di un disco che ancora oggi vola alto sopra qualsiasi sogno o visione.
Stavolta
le canzoni aggiunte raddoppiano la durata dell'album e in pratica costituiscono
un disco complementare. La sfacciataggine rockinrollista di una Election
Day poco seriamente omaggiante gli Aerosmith e le cover di
Route 66 (Nat "King" Cole) e Tossin'N'Turnin
(Bobby Lewis), quest'ultima con incorporata citazione della Who Got My Natural
Comb? di Ted Hawkins (!), uscirono come b-sides del singolo The Ledge, mentre
la rilettura dei Sons Of The Pioneers (!!!) di Cool Water,
cantata da Chris Mars, doppiava il 7 pollici di Can't Hardly Wait. Le altre canzoni,
tutte inedite e tutte in evidente stadio evolutivo, dicono sì di un gruppo subito
pronto a sperimentare mille soluzioni diverse, ma soprattutto di una scrittura
in evidente stato di grazia rockista (menzione d'onore inevitabile allo spedito
blue-collar della strepitosa Photo).
Bonus-Tracks: Birthday Gal (demo) // Valentine (demo version) // Bundle
Up (demo) // Photo (demo) // Election Day Alex Chilton (alternate version) //
Kick It In (demo) // Route 66 // Tossin'N'Turnin' // Can't Hardly Wait (alternate
version) // Cool Water 
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Don't
Tell a Soul [Sire 1989/
Rhino 2008]
Con Matt Wallace alla
produzione e il nuovo chitarrista Slim
Dunlap
(richardsiano di ferro) in lineup, i 'Mats realizzano un altro disco fallimentare
sotto il profilo delle vendite, nonché di volta in volta accusato di essere troppo
commerciale, troppo rifinito, troppo radiofonico. Il che, rispetto ai trascorsi
standard, non si può certo negare, ma nemmeno si può far finta di non sentire
che tra le note di Don't
Tell A Soul,
oltre a tonnellate di nobilissima scrittura mainstream, ci sono in pratica l'anticipazione
di tutto quello che sarà il rock alternativo degli anni '90 e l'attitudine del
grunge più orientato verso la forma canzone. Il suono elettroacustico e talvolta
sintetico (con giudizio) dell'album non inficia la forza smisurata della struttura
di Westerberg, credibile anche quando si cimenta in improbabili esperimenti country-rock
(Achin' To Be) o in spericolati innesti strumentali
come quello tra Mellotron e slide in Rock'N'Roll Ghost
(per non dire di una We'll Inherit The Earth
che strizza l'occhio, incredibile dictu, persino ai Moody Blues). Nondimeno, a
lasciare un segno indelebile ci pensano le marziali scudisciate rock di Anywhere's
Better Than Here, le meraviglie folkeggianti di
Talent Show e, soprattutto, la violenta disillusione del capolavoro
I'll Be You, uno tra i migliori inchini mai
tributati da Westerberg agli amati Faces. Bonus
belle ancorché non illuminanti. Portland,
un piccolo diamante folkie e rattristato, e la dirompente
Wake Up stavano sull'antologico All For Nothing / Nothing For All ('97).
Lo sconclusionato e limaccioso e splendido gospel-blues con cenni di sbornia jazz
Date To Church, imbastito dai nostri con l'aiuto
di Tom Waits, faceva da retro al singolo di I'll Be You. Talent Show è più rockata
e meno convincente, Inherit uno scherzo alla Bon Jovi. Devastante, per contro,
la trascrizione degli Slade di Gudbuy T'Jane,
ennesimo segnale della passionaccia mai sopita del soldato Westerberg per il r&r
più grossolano e divertito.
Bonus-Tracks: Portland // Wake Up // Talent Show (demo version) // We'll
Inherit The Earth (mix 1) // Date To Church // We Know The Night (outtake) //
Gudbuy T' Jane 
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All
Shook Down [Sire 1990/
Rhino 2008]

Come suggerisce la copertina,
in the bleak midwinter, nel bel mezzo di un gelido inverno, poco scespiriano e
molto metropolitano, del Midwest americano. In pratica i 'Mats non esistono più
(Mars non è disponibile nemmeno per il breve tour che dovrebbe supportare l'uscita
del disco), e con All
Shook Down
Westerberg allestisce le prove generali della propria carriera solista. Ma rispetto
al debutto da titolare di 14 Songs ('93), disco comunque attraversato da mille
dubbi e mille ripensamenti, l'ultimo lavoro targato Replacements suona infinitamente
più cupo e dolente. L'atmosfera complessiva si tratteggia all'insegna di un American-rock
operaio e sofferto, ricco di mid-tempos di elettrici struggimenti. Non mancano
le sventole alla Rod Stewart (My Little Problem,
con la voce stupendamente jopliniana di Johnnette Napolitano dei Concrete Blonde)
o i melodrammi semi-acustici per voce, chitarra e violino (Sadly
Beautiful, bellissima), eppure All Shook Down assomiglia più che altro
al tentativo, da parte di un gruppo di amici e conoscenti (Terry Reid, l'Heartbreaker
Benmont Tench, il "lupo" Steve Berlin, John Cale, Dave Schramm, l'ex-Georgia Satellites
Mauro Majellan tra gli altri), di elaborare il lutto per la scomparsa di una band
irripetibile. Merry Go Round, One
Wink At A Time, Nobody, Bent
Out Of Shape, persino lo spettrale disincanto della title-track (tutto
magistralmente prodotto da Scott
Litt)
salutano una nuova epoca e ne congedano un'altra, spezzano il cuore e invitano
a ricomporlo per un ultimo giro, conservano il passato e prefigurano il futuro.
E' un disco di transizione, e non dovrebbe servire altra spiegazione, ma raramente
un rito di passaggio ha saputo manifestarsi in toni così diretti e sentiti.
Messe
di inediti che porta l'album a una durata-monstre, ma ne vale la pena. I demo,
almeno due dei quali totalmente inediti, dimostrano se non altro che disciplina
di studio avesse nel frattempo intrapreso il songwriting di Westerberg, dettagliatissimo
in versioni casalinghe che, ora più dure ora più morbide, hanno poco da invidiare
alla minuzia del prodotto finito. L'hard-rock swingato di Ought
To Get Love, la rauca esplosione stonesiana di Satellite
(un raro episodio autografo di Tommy Stinson) e la randellata tra Ian Hunter e
Marc Bolan di Kissin' In Action, invece, sono
registrate con tutti i crismi e provengono dall'ep promozionale Don't Sell Or
Buy, It's Crap, licenziato dalla Reprise un anno dopo All Shook Down e per lungo
tempo, causa totale irreperibilità, croce e delizia dei fans ortodossi.
Bonus- Tracks: When It Began (demo version) // Kissin' In Action (demo
version) // Someone Take The Wheel (demo version) // Attitude (demo version) //
Happy Town (demo version) // Tiny Paper Plane (demo) // Sadly Beautiful (demo)
// My Little Problem (alternate version) // Ought To Get Love // Satellite //
Kissin' In Action
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