:: The Replacements
"
This Band Could be Your Life"

Sorry Ma, Forgot To Take Out The Trash // Stink // Hootenanny // Let It Be // Tim // Pleased To Meet Me // Don't Tell A Soul // All Shook Down

[Rhino/Ryko  2008]

Si discute abbastanza spesso su come si manifesti il concetto di "autenticità" in musica, e se questo, eventualmente, costituisca un valore in sé o racchiuda un significato autonomo rispetto alle forme che lo esprimono. In un interessantissimo articolo contenuto nell'ultimo numero della rivista Blow-Up (nella sezione "Naked Brunch") si conclude, con ragione da vendere, che la nozione di "vero" applicata all'arte quale criterio di valutazione è sempre pericolosa. D'altro canto sin dai tempi della Magna Grecia, più o meno cinque secoli prima di Cristo, il termine "bello" (kalós) viene usato in connessione a "buono". La Scuola Pitagorica non esita a correlazionare vero, buono e bello in un'unica trinità. Ma non c'è bisogno di scomodare le radici stesse del ragionamento filosofico per spiegare quanto enunciato con ruvida efficacia dalla scrittrice cattolica ortodossa Flannery O'Connor a un balbettante interlocutore che, sostenendo la natura metaforica della transustanziazione (il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue di Cristo), si sente rispondere un categorico "Ah sì? Be', se è solo una metafora che vada a farsi fottere". Il Cristo simbolico delle icone e dei sermoni, per la O'Connor, è un involucro vuoto da rifiutare e bestemmiare; il suo corpo e il suo sangue, letteralmente masticati e deglutiti ad ogni funzione, l'essenza stessa della fede.

Se dovessi scendere ancora di un gradino, potrei dire che la definizione più sentita (e più mia) dell'equazione tra verità e bellezza, tra onestà intellettuale e creazione artistica, l'ho sentita dare da Paul Westerberg, che in un'intervista circa i capisaldi della propria ispirazione individuava in "onestà" e "melodia" i due criteri fondamentali del suo scrivere musica ("Se ho una buona melodia posso permettermi di non essere brutalmente diretto nel testo, di costruirlo con qualche raffinatezza in più. Se per qualche motivo la melodia mi suscita dei dubbi, allora mi sento in dovere di abbinarle il testo più sincero che sono in grado di comporre."). Certo, Westerberg mi piglierebbe a calci nel sedere, se sapesse che l'ho infilato da qualche parte tra i Pitagorici, ma voglio dire, di fatto l'ho sempre seguito come se fosse un filosofo, e del periodo degli studi superiori ricordo gli ascolti ripetuti di Here Comes A Regular molto più di quanto non ricordi Aristotele. Oh be'. Gli ermeneuti della critica musicale come dottrina possono insorgere: i guasti della generazione dei blog! il gusto personale che soppianta l'informazione acclarata! il regno del personalismo dove tutto è opinabile! Certo, a parte il fatto che nei blog si trovano spesso chiavi di lettura illuminanti, che il modo di esporre i gusti personali è l'unico motivo per cui valga la pena seguire un critico piuttosto che un altro e che l'opinabilità si discute, magari in modo interessante, e i postulati no, sono tutte rimostranze legittime.

Ma non posso non affermare senza esitazioni che l'amore per Westerberg e per i suoi Replacements, nato e cresciuto all'ombra delle esagerazioni pagliaccesche degli anni '80, è per quanto mi riguarda strettamente correlato ai sogni che mi hanno regalato, e tra essi quello che da qualche parte ci fosse una band pronta a schiaffare ogni nervo, ogni fibra, ogni errore del proprio percorso direttamente su album, consacrandosi all'idea che nessuno dei loro fans li voleva perfetti (non lo sono mai stati), bensì semplicemente veri. Hanno sbagliato tutto, i 'Mats: troppo ubriachi per suonare nelle sere importanti e micidiali in quelle in cui gli executives delle compagnie discografiche non uscivano di casa, incapaci di dedicarsi a un video decente (leggendario quello di Bastards Of Young, un'unica inquadratura fissa dello stereo amplificante la canzone), persi e strafatti di fronte alle telecamere dei network televisivi (memorabile la sequela di "fuck" sibilata in diretta al Saturday Night Live all'epoca di Tim). Eppure, l'influenza esercitata da questo gruppo su centinaia e centinaia di formazioni successive (dai Guns N Roses a Josh Rouse), su cineasti e scrittori, risulta addirittura incalcolabile. Segno inequivocabile del fatto che, in mezzo a tutte le cicatrici e a tutti i sorrisi delle loro canzoni, in molti sono riusciti a trovare una parte non indifferente delle proprie verità.

(Gianfranco Callieri)

:: Le ristampe
(a cura di Gianfranco Callieri)

Sorry Ma, Forgot To Take Out The Trash  
[Twin Tone 1981/ Rhino 2008]




Quattro teppistelli di Minneapolis, famosi nel circondario della città per la velocità insensata e sgangherata con cui sbrindellano abbozzi di canzoni, chiusi in uno studio di registrazione senza che nessuno dei convenuti, né il produttore Steven Fjeldstad né il pigmalione Peter Jesperson, riesca a contenerne o ammorbidirne l'irruenza. Paul Westerberg sbraita convulso nei microfoni, prende fiato e stona alla grande, Chris Mars vomita sbilenche fucilate di batteria, Bob Stinson gratta la chitarra come se avesse una motosega al posto del plettro e suo fratello Tommy (all'epoca ancora minorenne) strapazza il basso con l'allegra cialtroneria del novizio. Takin' A Ride, Customer, Shiftless When Idle e More Cigarettes assolvono senza infamia e senza lode il compito di produrre rozza eccitazione hardcore, ma è la sofferta Johnny's Gonna Die, nel suo momentaneo rallentamento di foga e toni, a dire per la prima volta qualcosa di importante circa la scrittura di Westerberg e a rendere curiosi circa i possibili sviluppi del baccanale.

Le dodici canzoni aggiunte sono curiose ma per lo più ininfluenti versioni demo di brani già noti, o quasi, tutte all'insegna di una dispersione corrosiva di intenti (ascoltare per credere il caos di Basement Jam). Occhio però alla sbrindellata, sofferta, poetica acustica di If Only You Were Lonely, originaria b-side del 45 giri di I'm In Trouble e a lungo irreperibile: una perla di smarrimenti e tenerezze che prefigura in modo pressoché compiuto le meraviglie a venire

Bonus-Tracks: Raised In The City (demo) // Shutup (demo) // Don't Turn Me Down (demo) // Shape Up (demo) // You Ain't Gotta Dance (demo) // Get On The Stick (demo) // Oh Baby (demo) // Like You (outtake) // Get Lost (outtake) // A Toe Needs A Shoe (outtake) // Customer (alternate take) // Basement Jam (rehearsal) // If Only You Were Lonely


Stink  
[Twin Tone 1982/ Rhino 2008]




E' in linea con l'ethos dei suddetti teppisti, intitolare "Fetore" il successivo mini da un quarto d'ora, peraltro inaugurato dalla registrazione live di un loro concerto interrotto dall'irruzione delle forze dell'ordine (con tanto di pubblico che manda a farsi fottere i poliziotti: la voce seccata è quella del futuro frontman dei Soul Asylum Dave Pirner). Eppure, almeno uno degli proiettili di
Stink - il punk-rock alla Clash dell'anthemica Kids Don't Follow - segnala uno spessore compositivo in netta crescita. Il resto sono caustiche schegge di rumore da qualche parte tra il punk più raffazzonato e la violenza primitiva di un hardcore ben poco matematico.

Solo quattro le canzoni aggiunte, ma più rivelatorie del previsto: tra cover di Hank Williams (un'allucinata Hey Good Lookin') e Bill Haley (una sghemba Rock Around The Clock), utili a comprendere la ricchezza pressoché springsteeniana di un retroterra di ascolti e passioni in parte ancora ineguagliato (si ascolti al proposito "il" live ufficiale, The Shit Hits The Fans, un'audiocassetta pubblicata dalla TwinTone nel 1985 e mai ristampata sucessivamente, dove i nostri coprono Lloyd Price e Robyn Hitchcock, gli X e i Rem, gli Skynyrds e i Sabbath, Petty e i Motley Crue, gli Stones e la Carter Family, e poi Beatles, Thin Lizzy, Bachman Turner Overdrive, Vertebrats, Zep, U2, Foreigner, Mott The Hoople etc.), spicca il solitario struggimento di You're Gettin' Married, all'oggi uno dei prodotti migliori nel catalogo del Westerberg più intimista, malinconico, acido e rabbioso al tempo stesso come solo il Dylan di Positively 4th Street (che non a caso St. Paul rileggerà in una futura compilation allegata al mensile britannico Uncut).

Bonus-Tracks: Staples In Her Stomach (outtake) // Hey, Good Lookin' (outtake) // (We're Gonna) Rock Around The Clock (outtake) // You're Getting Married (solo home demo)


Hootenanny  
[Twin Tone 1983/ Rhino 2008]




Registrato in "un magazzino di qualche avvilente sobborgo a nord di Minneapolis" (così le note originarie),
Hootenanny è il disco delle prime grandi canzoni e, sebbene ancor troppo parodistico e disorganico nelle intenzioni per assurgere al ruolo di "classico", il primo album dei 'Mats a prevedere una sorta di sviluppo coerente dalla prima all'ultima canzone. Una coerenza tutta personale, beninteso: in omaggio al titolo, che rimanda ai raduni di musica folk dove condividere esperienze e improvvisazioni, il gruppo sbatte su nastro le proprie inclinazioni e i propri rigurgiti di personalità senza nulla precludersi, né sibilanti bordate metal (Run It) né gotici accenni alla psichedelia degli anni '60 (Willpower). Divertente, certo, e talvolta illuminante, come nel power-pop della stupenda Color Me Impressed o nel college-rock ante litteram di Within Your Reach, ma anche troppo fuori di testa per essere definitivo. A cosa servano lo strumentale surfabilly di Buck Hill o i furti beatlesiani in salsa Chubby Checker di una Mr Whirly (i cui crediti di scrittura riportano infatti un laconico e impagabile "mostly stolen", per lo più rubati) non devono ancora averlo capito neppure i 'Mats, che per gradire si rimescolano a piacere spostando Westerberg e Stinson sr alla sezione ritmica e affidando le chitarre al bassista e al batterista. Anche in questo unici.

Sette propaggini di spessore altalenante nelle bonus, che vanno dal cow-punk improbabile della squinternata Lookin' For Ya al rutilante noise di Junior's Got A Gun. Le versioni alternative di alcuni brani dell'album (Lovelines, Treatment Bound) non aggiungono granché al format originale, e così pure una Johnny Fast altro non è se non una Johnny's Gonna Die allo spasimo, ma la sporcizia urbana di Ain't No Crime e il ruvido blues acustico di Bad Worker, entrambe inedite, portano in dote diversi particolari interessanti.

Bonus-Tracks: Lookin' For Ya Junior's Got A Gun (outtake - rough mix) // Ain't No Crime (outtake) // Johnny Fast (outtake - rough mix) // Treatment Bound (alternate version) // Lovelines (alternate vocal) // Bad Worker (solo home demo)


Let It Be  
[Twin Tone 1984/ Rhino 2008]




Storia del rock, o dei massimi risultati ottenuti col minimo impegno.
Let It Be è uno dei capolavori degli anni '80, nonché la dimostrazione lampante di come sia possibile ricucire e rigenerare trent'anni di cultura pop con nient'altro a disposizione che grinta e istinto. Certo, i 'Mats, qui, compongono e suonano come non avevano mai fatto prima, ma non crediate non fosse complicato, all'epoca, scaraventare nell'underground indie i Kiss (dei quali si rilegge Black Diamond trasformandola in un incredibile western urbano) o Ted Nugent (Gary's Got A Boner prende il riff dalla sua Cat Scratch Fever). Certi steccati erano ben più alti di quanto siano adesso: ci volevano questi sgangherati twentysomething per scardinarli a colpi di ironia (I Will Dare, con la chitarra di Peter Buck), gioia (il pazzesco crescendo punk'n'roll di Seen Your Video), verve alcolica (mai dichiarazione d'amore fu più concisa di Favorite Thing) e - perché no - frustrazione (profusa a piene mani nel triste ruggito di Unsatisfied), sconforto (per l'adolescenza mortificata di Sixteen Blue), solitudine amorosa (quella del protagonista della jazzata Androgynous). Il passaggio della linea d'ombra o, se si vuole, una scorticata dichiarazione d'affetto nei confronti della musica quale insostituibile compagna di viaggio e di crescita, fino al catartico pianto finale di Answering Machine: uno sconquassante bordone di chitarra elettrica su cui Westerberg urla "Ne ho abbastanza di tutto questo / Prova a liberare uno schiavo con l'ignoranza / Prova a insegnare il romanticismo a una puttana / Come faccio a dire che mi manchi / A una segreteria telefonica? / Come faccio a dire che mi sento solo / A una segreteria telefonica?" che oggi come allora resta un climax emotivo di forza inaudita.

Solo i fedeli acquirenti del periodo potevano conoscere la roboante rivisitazione del T.Rex di 20th Century Boy (uscì come retro del 45 giri di I Will Dare) che avvia la mezza dozzina di bonus qui incluse, ma nemmeno loro potevano immaginare che nello stesso periodo i 'Mats si dilettassero nel ribaltare i tepori zuccherosi della settantesca meteora canadese DeFranco Family (Heartbeat - It's A Lovebeat) o il folk-rock creato a tavolino dai produttori/compositori PF Sloan e Steve Barri nella seconda metà dei '60 per i Grass Roots (Temptation Eyes), entrambi opportunamente irrobustiti e velocizzati. Tutto spassoso e istruttivo, così come una versione primigenia e ancor più cattiva di Answering Machine e una Sixteen Blue quasi identica all'originale tranne che nel cantato, qui più folkie e pensieroso rispetto agli standard imbestialiti di Westerberg.

Bonus-Tracks: 20th Century Boy Perfectly Lethal (outtake) // Temptation Eyes (outtake) // Answering Machine (solo home demo) // Heartbeat - It's A Lovebeat (outtake - rough mix) // Sixteen Blue (outtake - alternate vocal)


Tim  
[Sire 1985/ Rhino 2008]




Disco meraviglioso, Tim, eppure stranamente imbrigliato da un suono poco dinamico, poco brillante e male invecchiato. Colpa dei sussulti interni alla band, costretta a licenziare poco dopo l'uscita del disco un Bob Stinson perso nella propria spirale autodistruttiva (morirà dieci anni dopo per problemi di droga), o colpa del produttore Tommy Erdelyi (aka Tommy Ramone), incapace di fotografare con sufficiente immediatezza l'esuberanza melodica del gruppo? Si può propendere per la seconda ipotesi senza però sottovalutare 11 canzoni enormi, che ancora oggi suonano come un manuale di guitar-pop fulmineo e graffiante. Hold My Life, la luccicante Kiss Me On The Bus, l'hard-rock travolgente di Dose Of Thunder e Lay It Down Clown, il folk-rock impazzito di Waitress In The Sky o gli incredibili, vertiginosi inni rock'n'roll di Bastards Of Young e Left Of The Dial dispiegano una potenza di fuoco nonostante tutto impressionante, mentre il soffice mid-tempo di Swingin' Party e l'accorata e autunnale introspezione di Here Comes A Regular regalano i più efficaci ritratti di alienazione e sradicamento che il decennio ricordi.

Tra le bonus, almeno tre outtakes prodotte nientemeno che da Alex Chilton - Nowhere Is My Home, Can't Hardly Wait acustica ed elettrica (apparirà in forma ufficiale solo nel successivo Pleased To Meet Me) - lasciano intendere che razza di capolavoro poteva essere Tim allorché provvisto di un sound appena più grezzo e diretto. Kiss Me On The Bus e Waitress In The Sky, di nuovo supervisionate da Erdelyi, suonano meglio nelle versioni già note; Here Comes A Regular è pur sempre una canzone che vale una carriera, ma la take pubblicata rimane quella definitiva.

Bonus-Tracks: Can't Hardly Wait (acoustic outtake) // Nowhere Is My Home (session outtake) // Can't Hardly Wait (electric outtake) // Kiss Me On The Bus (demo version) // Waitress In The Sky (alternate version) // Here Comes A Regular (alternate version)

Pleased to Meet Me  
[Sire 1987/ Rhino 2008]




Allontanato Stinson, i tre 'Mats superstiti si ritirano nei mitici Ardent Studios di Memphis portandosi dietro addirittura il leggendario
Jim Dickinson (in cabina di regia), l'idolatrato Alex Chilton e i Memphis Horns. Pleased To Meet Me, commercialmente parlando, non è certo il salto auspicato dall'etichetta, bensì un fiasco di proporzioni ciclopiche: insospettisce i nuovi ascoltatori, che non sanno dove collocare una simile masnada di ubriaconi in libera uscita, e infastidisce i vecchi fans, che accusano il tradimento degli ideali post-punk in favore d'una sarabanda di puro rock & roll americano. Ma il disco è tanto breve quanto perfetto, un vigoroso concentrato di fragore soul, scurrili riff stonesiani e rasoiate pop-rock degne dei primi Big Star. Never Mind e Valentine (occhio alla chitarra dopo il primo ritornello) potrebbero essere canzoni del primo Tom Petty, Shooting Dirty Pool (col giovanissimo Luther Dickinson alla sei corde), e Red Red Wine vivono di una furia ormai cronicamente sconosciuta a Jagger & Richards, Nightclub Jitters è un cocktail trangugiato allo stesso bar del Tom Waits degli anni '70, The Ledge affronta il tema del suicidio senza peli sulla lingua (e per questo viene bandita da MTV), Skyway è una ballata da "grande freddo" interiore che taglia a fette il cuore di molti, Can't Hardly Wait (con tanto di fiati) un fiammeggiante rock-soul stradaiolo da ascrivere agli orgogli di tutto il rock'n'roll post-Exile On Main St. "Children by the million sing for Alex Chilton when he comes 'round", sbraita nel microfono Westerberg durante Alex Chilton: il fatto che non sia mai successo davvero, né per il leader dei Big Star (qui impegnato alla chitarra su Can't Hardly Wait) né per i nostri 'Mats, nulla toglie alla bellezza mozzafiato di un disco che ancora oggi vola alto sopra qualsiasi sogno o visione.

Stavolta le canzoni aggiunte raddoppiano la durata dell'album e in pratica costituiscono un disco complementare. La sfacciataggine rockinrollista di una Election Day poco seriamente omaggiante gli Aerosmith e le cover di Route 66 (Nat "King" Cole) e Tossin'N'Turnin (Bobby Lewis), quest'ultima con incorporata citazione della Who Got My Natural Comb? di Ted Hawkins (!), uscirono come b-sides del singolo The Ledge, mentre la rilettura dei Sons Of The Pioneers (!!!) di Cool Water, cantata da Chris Mars, doppiava il 7 pollici di Can't Hardly Wait. Le altre canzoni, tutte inedite e tutte in evidente stadio evolutivo, dicono sì di un gruppo subito pronto a sperimentare mille soluzioni diverse, ma soprattutto di una scrittura in evidente stato di grazia rockista (menzione d'onore inevitabile allo spedito blue-collar della strepitosa Photo).


Bonus-Tracks: Birthday Gal (demo) // Valentine (demo version) // Bundle Up (demo) // Photo (demo) // Election Day Alex Chilton (alternate version) // Kick It In (demo) // Route 66 // Tossin'N'Turnin' // Can't Hardly Wait (alternate version) // Cool Water

Don't Tell a Soul  
[Sire 1989/ Rhino 2008]




Con Matt Wallace alla produzione e il nuovo chitarrista
Slim Dunlap (richardsiano di ferro) in lineup, i 'Mats realizzano un altro disco fallimentare sotto il profilo delle vendite, nonché di volta in volta accusato di essere troppo commerciale, troppo rifinito, troppo radiofonico. Il che, rispetto ai trascorsi standard, non si può certo negare, ma nemmeno si può far finta di non sentire che tra le note di Don't Tell A Soul, oltre a tonnellate di nobilissima scrittura mainstream, ci sono in pratica l'anticipazione di tutto quello che sarà il rock alternativo degli anni '90 e l'attitudine del grunge più orientato verso la forma canzone. Il suono elettroacustico e talvolta sintetico (con giudizio) dell'album non inficia la forza smisurata della struttura di Westerberg, credibile anche quando si cimenta in improbabili esperimenti country-rock (Achin' To Be) o in spericolati innesti strumentali come quello tra Mellotron e slide in Rock'N'Roll Ghost (per non dire di una We'll Inherit The Earth che strizza l'occhio, incredibile dictu, persino ai Moody Blues). Nondimeno, a lasciare un segno indelebile ci pensano le marziali scudisciate rock di Anywhere's Better Than Here, le meraviglie folkeggianti di Talent Show e, soprattutto, la violenta disillusione del capolavoro I'll Be You, uno tra i migliori inchini mai tributati da Westerberg agli amati Faces.

Bonus belle ancorché non illuminanti. Portland, un piccolo diamante folkie e rattristato, e la dirompente Wake Up stavano sull'antologico All For Nothing / Nothing For All ('97). Lo sconclusionato e limaccioso e splendido gospel-blues con cenni di sbornia jazz Date To Church, imbastito dai nostri con l'aiuto di Tom Waits, faceva da retro al singolo di I'll Be You. Talent Show è più rockata e meno convincente, Inherit uno scherzo alla Bon Jovi. Devastante, per contro, la trascrizione degli Slade di Gudbuy T'Jane, ennesimo segnale della passionaccia mai sopita del soldato Westerberg per il r&r più grossolano e divertito.


Bonus-Tracks: Portland // Wake Up // Talent Show (demo version) // We'll Inherit The Earth (mix 1) // Date To Church // We Know The Night (outtake) // Gudbuy T' Jane

All Shook Down  
[Sire 1990/ Rhino 2008]




Come suggerisce la copertina, in the bleak midwinter, nel bel mezzo di un gelido inverno, poco scespiriano e molto metropolitano, del Midwest americano. In pratica i 'Mats non esistono più (Mars non è disponibile nemmeno per il breve tour che dovrebbe supportare l'uscita del disco), e con
All Shook Down Westerberg allestisce le prove generali della propria carriera solista. Ma rispetto al debutto da titolare di 14 Songs ('93), disco comunque attraversato da mille dubbi e mille ripensamenti, l'ultimo lavoro targato Replacements suona infinitamente più cupo e dolente. L'atmosfera complessiva si tratteggia all'insegna di un American-rock operaio e sofferto, ricco di mid-tempos di elettrici struggimenti. Non mancano le sventole alla Rod Stewart (My Little Problem, con la voce stupendamente jopliniana di Johnnette Napolitano dei Concrete Blonde) o i melodrammi semi-acustici per voce, chitarra e violino (Sadly Beautiful, bellissima), eppure All Shook Down assomiglia più che altro al tentativo, da parte di un gruppo di amici e conoscenti (Terry Reid, l'Heartbreaker Benmont Tench, il "lupo" Steve Berlin, John Cale, Dave Schramm, l'ex-Georgia Satellites Mauro Majellan tra gli altri), di elaborare il lutto per la scomparsa di una band irripetibile. Merry Go Round, One Wink At A Time, Nobody, Bent Out Of Shape, persino lo spettrale disincanto della title-track (tutto magistralmente prodotto da Scott Litt) salutano una nuova epoca e ne congedano un'altra, spezzano il cuore e invitano a ricomporlo per un ultimo giro, conservano il passato e prefigurano il futuro. E' un disco di transizione, e non dovrebbe servire altra spiegazione, ma raramente un rito di passaggio ha saputo manifestarsi in toni così diretti e sentiti.

Messe di inediti che porta l'album a una durata-monstre, ma ne vale la pena. I demo, almeno due dei quali totalmente inediti, dimostrano se non altro che disciplina di studio avesse nel frattempo intrapreso il songwriting di Westerberg, dettagliatissimo in versioni casalinghe che, ora più dure ora più morbide, hanno poco da invidiare alla minuzia del prodotto finito. L'hard-rock swingato di Ought To Get Love, la rauca esplosione stonesiana di Satellite (un raro episodio autografo di Tommy Stinson) e la randellata tra Ian Hunter e Marc Bolan di Kissin' In Action, invece, sono registrate con tutti i crismi e provengono dall'ep promozionale Don't Sell Or Buy, It's Crap, licenziato dalla Reprise un anno dopo All Shook Down e per lungo tempo, causa totale irreperibilità, croce e delizia dei fans ortodossi.


Bonus- Tracks: When It Began (demo version) // Kissin' In Action (demo version) // Someone Take The Wheel (demo version) // Attitude (demo version) // Happy Town (demo version) // Tiny Paper Plane (demo) // Sadly Beautiful (demo) // My Little Problem (alternate version) // Ought To Get Love // Satellite // Kissin' In Action


 


<Credits>