inserito 20/02/2007

Lee Clayton
The Capitol Years
[
Acadia/ Evangeline 2008]




Una storia americana quella di Lee Clayton. In principio fu una canzone, Ladies Love Outlaws, che fin dal titolo suonava come un manifesto: Waylon Jennings la prese al gancio e ne fece una hit nel lontano 1972, anni di fuorilegge e nuovo country rock; qualche tempo dopo l'avrebbero registrata persino gli Everly Brothers. L'aveva scritta un tizio del Tennessee, allora già trentenne, che sbarcava il lunario come tanti lungo i viali di Nashville in cerca di un contratto discografico. Lee Clayton ci era arrivato dopo una folgorazione, e non era l'unico: la sua vicenda ricorda molto da vicino quella di Kris Kristofferson. Una laurea in scienze industriali, una brillante carriera avviata, una famiglia e il sogno americano che si concretizza. Lui sceglie l'altra via a quel sogno: una chitarra, qualche canzone e l'idea di partire per la Mecca della country music. Vi approda nel 1973 con pochi spiccioli in tasca tagliando tutti i ponti con il passato. Il resto è racchiuso in questi dischi, che la Evangeline riporta alla luce seguendo l'esperimento già attuato con Willie Nile: un doppio cd sostanzioso che raccolga l'intera scaletta dei tre lavori pubblicati per la Capitol tra il 1978 e il 1981.

Preceduti dall'omonimo esordio per la MCA (sempre disponibile nella collana Acadia) - un disco colmo di promesse che lascerà Clayton al palo per diversi anni, costringedolo ad un pericoloso ritiro da eremita nel deserto del Mojave - Border Affair, Naked Child e il meno conosciuto The Dream Goes On rappresentano l'evoluzione dell'autore da un country rock rilassato e tradizionalista, spesso avvolto in un clima sudista e laid back, verso quella sorta di epicità elettrica e quel crescendo emozionale che segnerà i suoi migliori episodi. E' il team artistico formato con Phillip Donnelly, chitarrista irlandese già alla corte di Donovan, e la pedal steel di Jimmy Day a generare le aspre ballate desertiche che attraversano come una tempesta di sabbia l'intero Border Affair. E' il disco più intensamente schierato di Lee Clayton, quello che sposa senza tentennamenti la filosofia "outlaw": la commovente Silver Stallion, piccolo classico del suo repertorio, il walzer di If You Can Touch Her At All (che piacerà a Willie Nelson tanto da registrarne una nuova versione), il country rock da manuale di Old Number Nine, ma soprattutto il passo western di Back Home in Tennessee, Like a Diamond, Tequila is Addictive e Rainbow in the Sky, scure in volto e spazzate dalla polvere di qualche tornado texano, animano il canto sofferto e tremulo dello stesso Clayton, una eco lontana che sembra attribuire ancora più tensione e caducità ai brani.

Il disco ottiene qualche consenso, ma come prevedibile resta confinato fra le seconde linee: le attenzioni sul movimento Outlaw stanno già scemando e il passo successivo in Naked Child sarà quello di irrobustire il suono, aggiungendo la seconda chitarra di Tim Krekel. Saturday Night Special (nulla a che vedere con l'omonimo brano dei Lynyrd, ma le affinità elettive ci sono tutte) apre i giochi ed indica la brusca inversione di marcia: la produzione è un po' forzata visti i tempi (albori degli anni '80), ma il senso epico del songwriting di Clayton è amplificato a dismisura: I Ride Alone e 10.000 Light Years/ Sexual Moon sono cavalcate selvagge, con lunghe code di assoli, che portano in dote un'imprionta decisamente southern rock, accresciuta dalla presenza costante delle backing vocals femminili. Jaded Virgin e A Little Cocaine, fragili e struggenti come al solito, hanno invece il compito di ristabilire un equilibrio verso la forma ballata. Nonostante la capacità di spingere oltre il proprio suono, cercando un pubblico più affine alle dinamiche del rock'n'roll, ancora una volta il disco riceve un'accoglienza tiepida.

Qualche segnale arriverà dall'Europa, alla volta della quale Clayton parte per un tour di spalla a Roger McGuinn, Gene Clark e Chris Hillman. Saranno soltanto scampoli e briciole, prima di chiudere il trittico con The Dream Goes On, l'anello più debole dei Capitol Years. Sorta di proseguimento meno ispirato di Naked Child, il disco soffre certamente di una produzione datata, ma soprattutto di brani meno incisivi: le bizze rock di What's a Mother Gonna Do, Draggin' Them Chains e Whatcha Gonna Do sono buone imitazioni del passato, mentre la sola Wont You Give Me One More Chance pare abbandonarsi ad un nostalgico amarcord sulle radici country del personaggio. Clayton si eclisserà per un decennio o quasi, dando notizie poco appariscenti con un paio di uscite minori (Another Night e Spirit of the Twilight) per la Provogue, prima di abbandonare definitivamente la scena. Il suo vero lascito, misconosciuto come pochi, è racchiuso dunque in questi Capitol Years, doveroso risarcimento per un songwriter che avrebbe meritato qualche occasione in più.
(Fabio Cerbone)

www.evangeline.co.uk

 


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