Condividi
 

 

Michael Chapman
Trainsong: Guitar Compositions 1967-2010

[Tompkins Square 2011]

www.tompkinssquare.com

di Gianfranco Callieri

Non si può certo dire che negli ultimi tempi Michael Chapman avesse tirato i remi in barca. Anzi, tra live, ristampe, autoproduzioni e raccolte di brani nuovi, ben dieci album (!) pubblicati dal 2005 ad oggi affermano esattamente il contrario. Ma a parte la prolificità, a colpire, nei lavori recenti del chitarrista dello Yorkshire britannico, è soprattutto la ritrovata capacità organizzativa, l'abilità nel fornire una sistemazione coerente e, appunto, meno disorganica che in passato all'eterogeneo impianto di stili grazie al quale, negli anni '70, aveva assaporato la sua piccola fetta di celebrità. Al di là, infatti, dell'apprezzamento espresso ai tempi da David Bowie o Elton John, al di là del merito di aver dato spazio alla sei corde di un giovane Mick Ronson, Rainmaker (1969), Fully Qualified Survivor (si veda recensione qui di seguito, ndr), Window e Wrecked Again (entrambi licenziati nel '71), ossia tutti i dischi di Chapman usciti presso la Harvest di Syd Barrett e Shirley Collins, hanno generato un seguito di culto (per chi non li conoscesse, obbligatoria la riscoperta) ribaltando l'estetica del busker impregnato di folk e blues attraverso imprevedibili iniezioni di psichedelia surrealista, omaggi alla tradizione asiatica, bozzetti ragtime, disorientanti squarci rock. Qualcosa di interessante lo si è ascoltato anche nella seconda parte di carriera, quella targata Decca e contraddistinta da un deciso spostamento verso la canzone d'autore in chiave rock (da recuperare almeno l'ottimo The Man Who Hated Mornings del '77), mentre nella fase successiva, inaugurata dal didattico Play Guitar The Easy Way ('78), sofismi, tedio, propositi sin troppo "colti" e ambizioni spropositate (basti pensare ai nove, indigeribili movimenti della suite strumentale Heartbeat) hanno finito per prendere il sopravvento.

Oggi Chapman è tornato a irrorare i suoi brani e i suoi affreschi per sola chitarra con la verve e la fantasia degli esordi, per di più aiutato da un'ispirazione in apparenza meno dispersiva sebbene ancora caratterizzata da un ricorso a formule espressive alquanto eterogenee. Anche Trainsong: Guitar Compositions 1967-2010, raccolta di vari strumentali composti dall'artista durante l'intervallo di tempo indicato dal titolo e tutti appositamente risuonati, affronta una lunga serie (26 pezzi in tutto) di prolusioni ora acustiche ora appena elettrificate, in ciascuna occasione accompagnate da un decisivo estro pittorico, come se lo strumento fosse la tela e le mani dell'artista i pennelli con cui dipingere paesaggi incantevoli, vedute aeree, scorci pastorali.

Il senso del paesaggio, la capacità descrittiva delle note e la loro forza evocativa, sono sempre stati elementi decisivi nella poetica di Chapman; lo sono ancor di più ora che, dalle diminuite di una The Last Polish Breakfast (bellissima) somigliante ai passaggi più bucolici delle colonne sonore di Angelo Badalamenti all'intricato raga di una Fahey's Flag dalla parentela evidente, ogni sfumatura del nuovo ciclo sembra aderire alle parole del compianto Luigi Ghirri quando, durante gli stage dei primi anni '90 (raccolti con merito da Quodlibet nell'indispensabile Lezioni Di Fotografia ['10]), descriveva i propri scatti definendoli "organizzazioni dello sguardo" cui conferire valenza comunicativa. Come Ghirri, a proposito della fotografia, parlava di una "soglia", di "un accesso alla visione del mondo esterno o a un determinato modo di rappresentare il mondo esterno", così gli strumentali di Chapman sembrano soglie spalancate sulla naturale armonia dell'esistente, chiavi d'accesso che tanto nella rilettura della stagionata Naked Ladies And Electric Ragtime quanto negli arpeggi "domestici" della freschissima Thurston's House (pensata ed eseguita nel tinello dell'omonimo chitarrista dei Sonic Youth), compongono un poema estatico sullo splendore dei panorami di campagna.

In certi momenti si ha l'impressione di (ri)trovarsi di fronte ai vecchi dischi della Windham Hill, ai primi lavori di un Alex DeGrassi o di un Will Ackerman, a quel periodo in cui l'arte strumentale di entrambi non si era ancora trasformata nello stucchevole giulebbe new-age della seconda metà degli '80. In altri riemergono il mai sopito amore per il folk jazzato e irregolare di Bert Jansch, Davy Graham o John Renbourn, lo scatto visionario alla John Martyn, la slide alla George Thorogood (addirittura!) di Thank You PK 1944, il flamenco della conclusiva La Madrugada, la delicatezza folkie di Tom Rush (in una bella rivisitazione della sua Rockport Sunday), il rifferama bluesy di New Chord Blues, lo swing delizioso e malinconico di Sometimes, la strampalata polka di Wellington The Skellington. Semplici esempi della molteplicità di territori in cui il tocco di Chapman sa inoltrarsi, a quanto pare destinati a ricevere tra poco, tramite Ecstatic Peace (l'etichetta di Thurston Moore, per l'appunto), un gemellino noise. Nel frattempo, ogni traccia di Trainsong: Guitar Compositions 1967-2010 confluisce in quella sequenza di volti, storie, panorami e ricordi suggerita dalla stupenda The Coming Of The Roads, esempio probante di quali vette di bellezza, grazia ed equilibrio possano raggiungere un uomo e la sua chitarra, trascinandoci con loro verso sentieri che non ci stancheremo mai di percorrere.

  Michael Chapman
Fully Qualified Survivor

[Light in the Attic 2011]

www.lightintheattic.net

di Nicola Gervasini

Nel 1970 la diatriba tra tradizionalisti e modernizzatori era ancora accesissima nel mondo del folk britannico (andate a rileggervi dei litigi tra Nick Drake - conservatore - e John Martyn - rivoluzionario - descritti nel libretto del cofanetto Fruit Tree dedicato al primo). In molti erano pronti ad accettare che un grande chitarrista come Richard Thompson rigenerasse le antiche gighe britanniche in chiave elettrica, o che venissero rivisitati i songbook di autori americani come Dylan o Joni Mitchell, ma la scena conservava ancora una chiusura rispetto al mondo del nuovo rock inglese, visto come rozzo e commerciale. Il 1970 fu dunque un anno che fece da spartiacque nel cambiamento di rotta, e se nel 1969 un Al Stewart ancora lontano dai fasti dell'anno del gatto guadagnò solo parecchi insulti affidando ad un Jimmy Page fresco di esordio con i Led Zeppelin le parti di chitarra del suo album Love Chronicles (titolo da rivalutare), già nel 1971 Roy Harper, con la stessa identica mossa per il suo capolavoro Stormcock, sdoganò l'idea che il folk potesse imbastardirsi non solo con le sonorità del rock, ma anche con i suoi stessi eroi. Fully Qualified Survivor di Michael Chapman si pone esattamente in mezzo. Il disco era nato per la Harvest, etichetta che spingeva volentieri i propri protetti a sperimentazioni e fratellanze spesso ardite con altri generi, e che puntò molto su questo album dopo i buoni riscontri dell'ottimo Rainmaker del 1969.

E così, accanto alle evoluzioni acustiche del titolare, il disco presentava una produzione decisamente radiofonica affidata a Gus Dudgeon e alle orchestrazioni di Paul Buckmaster, vale a dire le due menti che avevano appena creato il suono del secondo vendutissimo album di Elton John. Ma l'elemento di rottura era la chitarra di Mick Ronson, che ancora non era una superstar, e che registrò le sue parti proprio mentre lavorava anche a The Man Who Sold The World di David Bowie, il disco che lo lancerà definitivamente. E basta ascoltare Postcards Of Scarborough, brano che ottenne anche un certo successo (l'album rimane il suo unico ad essere entrato nelle classifiche di vendita inglesi), dove ad un incipit acustico in stile classico, segue una splendida canzone di gusto decisamente rock, in cui l'elettrica di Ronson e le orchestrazioni di Buckmaster creano un atmosfera sinistra e splendidamente profonda. Nonostante sia rimasto un cult tra gli appassionati, il disco non è diventato uno di quei classici che tutti consigliano al primo colpo, perché al pari di altri colleghi votati alla sperimentazione (lo stesso Roy Harper o Shawn Phillips), Chapman non sfruttò il breve successo, sia per la sua mancanza di physique du role da rockstar, sia perché il suo stile e la sua voce un po' sgraziata restavano difficili da vendere a grandi lotti.

E' significativo che l'album sia stato ristampato in cd negli Stati Uniti solo lo scorso febbraio dalla Light In The Attic (in Inghilterra ne era uscita già una buona edizione nel 1997 da parte della Repertoire), edizione degna e consigliata per scoprire le due facce del folk britannico, capaci di riff indiavolati (Soulful Lady) o ballate soffici come Rabbit Hills che sarebbe davvero un sacrilegio dimenticare. Riscopritelo, anche perché poi l'ultima parola su come portare il folk inglese alla modernità la dirà poi John Martyn, ma le prime frasi sono tutte qui.
(Nicola Gervasini)


    



<Credits>