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Non si può certo dire che negli ultimi tempi Michael Chapman
avesse tirato i remi in barca. Anzi, tra live, ristampe, autoproduzioni
e raccolte di brani nuovi, ben dieci album (!) pubblicati dal 2005 ad
oggi affermano esattamente il contrario. Ma a parte la prolificità,
a colpire, nei lavori recenti del chitarrista dello Yorkshire britannico,
è soprattutto la ritrovata capacità organizzativa, l'abilità nel fornire
una sistemazione coerente e, appunto, meno disorganica che in passato
all'eterogeneo impianto di stili grazie al quale, negli anni '70, aveva
assaporato la sua piccola fetta di celebrità. Al di là, infatti, dell'apprezzamento
espresso ai tempi da David Bowie o Elton John, al di là del merito di
aver dato spazio alla sei corde di un giovane Mick Ronson, Rainmaker
(1969), Fully Qualified Survivor (si veda recensione qui di seguito,
ndr), Window e Wrecked Again (entrambi licenziati nel
'71), ossia tutti i dischi di Chapman usciti presso la Harvest di Syd
Barrett e Shirley Collins, hanno generato un seguito di culto (per chi
non li conoscesse, obbligatoria la riscoperta) ribaltando l'estetica
del busker impregnato di folk e blues attraverso imprevedibili iniezioni
di psichedelia surrealista, omaggi alla tradizione asiatica, bozzetti
ragtime, disorientanti squarci rock. Qualcosa di interessante lo si
è ascoltato anche nella seconda parte di carriera, quella targata Decca
e contraddistinta da un deciso spostamento verso la canzone d'autore
in chiave rock (da recuperare almeno l'ottimo The Man Who Hated Mornings
del '77), mentre nella fase successiva, inaugurata dal didattico
Play Guitar The Easy Way ('78), sofismi, tedio, propositi sin
troppo "colti" e ambizioni spropositate (basti pensare ai nove, indigeribili
movimenti della suite strumentale Heartbeat) hanno finito per
prendere il sopravvento. Il senso del paesaggio,
la capacità descrittiva delle note e la loro forza evocativa, sono sempre
stati elementi decisivi nella poetica di Chapman; lo sono ancor di più
ora che, dalle diminuite di una The Last Polish
Breakfast (bellissima) somigliante ai passaggi più bucolici
delle colonne sonore di Angelo Badalamenti all'intricato raga di una
Fahey's Flag dalla parentela evidente,
ogni sfumatura del nuovo ciclo sembra aderire alle parole del compianto
Luigi Ghirri quando, durante gli stage dei primi anni '90 (raccolti
con merito da Quodlibet nell'indispensabile Lezioni Di Fotografia ['10]),
descriveva i propri scatti definendoli "organizzazioni dello sguardo"
cui conferire valenza comunicativa. Come Ghirri, a proposito della fotografia,
parlava di una "soglia", di "un accesso alla visione del mondo esterno
o a un determinato modo di rappresentare il mondo esterno", così gli
strumentali di Chapman sembrano soglie spalancate sulla naturale armonia
dell'esistente, chiavi d'accesso che tanto nella rilettura della stagionata
Naked Ladies And Electric Ragtime
quanto negli arpeggi "domestici" della freschissima
Thurston's House (pensata ed eseguita nel tinello dell'omonimo
chitarrista dei Sonic Youth), compongono un poema estatico sullo splendore
dei panorami di campagna.
Nel 1970 la diatriba tra tradizionalisti e modernizzatori era ancora
accesissima nel mondo del folk britannico (andate a rileggervi dei litigi
tra Nick Drake - conservatore - e John Martyn - rivoluzionario - descritti
nel libretto del cofanetto Fruit Tree dedicato al primo). In molti erano
pronti ad accettare che un grande chitarrista come Richard Thompson
rigenerasse le antiche gighe britanniche in chiave elettrica, o che
venissero rivisitati i songbook di autori americani come Dylan o Joni
Mitchell, ma la scena conservava ancora una chiusura rispetto al mondo
del nuovo rock inglese, visto come rozzo e commerciale. Il 1970 fu dunque
un anno che fece da spartiacque nel cambiamento di rotta, e se nel 1969
un Al Stewart ancora lontano dai fasti dell'anno del gatto guadagnò
solo parecchi insulti affidando ad un Jimmy Page fresco di esordio con
i Led Zeppelin le parti di chitarra del suo album Love Chronicles (titolo
da rivalutare), già nel 1971 Roy Harper, con la stessa identica mossa
per il suo capolavoro Stormcock, sdoganò l'idea che il folk potesse
imbastardirsi non solo con le sonorità del rock, ma anche con i suoi
stessi eroi. Fully Qualified Survivor di Michael Chapman
si pone esattamente in mezzo. Il disco era nato per la Harvest, etichetta
che spingeva volentieri i propri protetti a sperimentazioni e fratellanze
spesso ardite con altri generi, e che puntò molto su questo album dopo
i buoni riscontri dell'ottimo Rainmaker del 1969.
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