Squarciato
il cielo del cantautorato texano con la violenta "tragedia del border" contenuta
nel debutto Juarez, spigoloso (e per la maggior parte acustico) viaggio al confine
della civiltà tra Stati Uniti e Messico, Terry Allen sogna per il seguito
discografico un ritorno in grande stile. Sarà il suo imperituro capolavoro e uno
degli album fondativi di tutto il movimento country alternativo di quel decennio,
gli anni settanta dei "fuorilegge". La Paradise of Bachelors, dopo avere avviato
la riscoperta del catalogo di Allen proprio con il citato Juarez, restituisce
il qui presente Lubbock (on everything) nella sua forma originaria
(le ristampe precedenti, in singolo disco, avevano sempre omesso un brano dalla
scaletta), in formato doppio vinile o cd e ampliato da un corposo libretto di
una trentina di pagine dove liriche, foto d'archivio, testimonianze del Terry
Allen artista figurativo e concettuale, ma soprattutto due essay firmati dall'estimatore
David Byrne (collaborerranno negli anni successivi alla colonna sonora di "True
Stories", incidendo Cocktail Desperado) e dal produttore Lloyd Maines,
arrichiscono la vicenda personale di nuovi e forse definitivi dettagli.
Una
esaustiva veste quindi, che parte tuttavia dal dato musicale, restaurato a dovere
a livello sonoro, per ribadire la singolarità dell'opera, anche dentro il contesto
"favorevole" di quel decennio. In verità, nel 1978, anno di grazia di Lubbock
(On Everything), la questione degli outlaw - ovvero sia di tutte quelle figure,
soprattutto texane, che restituirono slancio alla country music da una posizione
individualista e ribelle, intrisa di romanticiscmo e recupero degli stilemi di
Hank Williams e Johnny Cash - è stata ampiamente digerita e accettata dal business
musicale. Giganti come Waylon Jennings e Willie Nelson hanno ormai conquistato
la gloria e dietro di loro una pletora di banditi hanno alimentato il movimento.
La prospettiva dalla regione ai piedi del cosiddetto Texas Panhandle, dove risiede
la città di Lubbock, tra polvere, tornado e spazi immensi, è un poco differente,
e in quel contesto, da artista espatriato in California e prima ancora a New York,
opera l'iconoclasta immaginario di Terry Allen. La sua visione è defilata
e troppo sarcastica per accodarsi al trionfo del genere: in questo senso è forse
più vicino ai tratti di un Randy Newman che non a quelli di un rude cowboy del
South West americano e l'unico collega che in quello stesso frangente storico
ne ripropone simili intemperanze è un altro irregolare (e dimenticato) come Kinky
Friedman.
Sta
di fatto che Lubbock (on everything) rimane al tempo stesso un caposaldo del country
rock fuorilegge e la sua totale nemesi, la rottura con l'iconografia di uno stile
musicale, un oggetto non meglio identificato dove il suono tonante dell'orchestrina
honky tonk guidata dal produttore Lloyd Maines solo in apparenza accosta
Allen agli altri talenti texani dell'epoca (uno per tutti Joe Ely, che
insieme a diversi elementi della sua band partecipa attivamente alle registrazioni
del disco). Lo stuolo invidiabile di musicisti della scena locale, poi ribattezzati
Panhandle Mystery Band - il citato Lloyd Maines e la sua collezione di chitarre
e pedal steel, nonché Ponty Bone (accordion), Richard Bowden (fiddle), Jesse Taylor
(chitarre) e molti altri - imprimono all'album i tratti di un outlaw country dissacrante,
dove influssi tex mex, pungenti honky tonk elettrici, sarabande spanish e walzer
da night bar rendono i capitoli di Luboock (on everything) ancora più stranianti.
Si tratta nella sostanza di una raccolta di storie d'amore e di improbabili flirt
artistici, dove i concetti di memoria, casa e radici familiari assumono connotati
totalmente sui generis, paesaggi umani che si muovono sullo sfondo della città
adottiva di Allen, Lubbock per l'appunto, e sulla quale gioca innanzi tutto la
sua formazione di scultore e pittore, espressione primaria di un songwriter che
è stato titolare di una borsa di studio al Guggenheim, e che già al tramonto degli
anni Sessanta ha visto le sue creazioni fare il giro degli Stati Uniti, finendo
per essere esposte in numerose gallerie e musei, tra i quali è doveroso ricordare
il Metropolitan e il MOMA di New York.
L'opera è ambiziosa, ventuno canzoni
e un doppio vinile, e nasce in seguito agli entusiasmi suscistati dalle prime
interpretazioni del suo repertorio, annuncio di una possibile affermazione come
autore che non arriverà mai (troppo anticonformista, defilato il suo sguardo per
accedere al mainstream): Amarillo Highway nell'incisione
di Bobby Bare e soprattutto New Delhi Freight Train
nelle mani dei Little Feat e dell'amico Lowell George (a cui Allen dedicherà
un accorato commiato in uno dei dischi successivi) sono la scintilla che accende
i desideri di Terry Allen. Il quale sfoggia in Lubbock il suo vestito della festa:
gli arrangiamenti si sono fatti più corposi, un country spesso elettrico, arcigno
e irriverente, che immerso negli orizzonti del deserto texano prende le distanze
dalla Nashville più edulcorata (e Allen lo precisa chiaramente in Flatland
Farmer). Disseminato di profumi messicani, di walzer struggenti e dissonanti
adattati al pianoforte con cui spesso Allen si accompagna, di qualche impennata
blues nella cruda voce del protagonista, Lubbock (on everything) pare
offrire alla tradizione country canzoni talmente personali e pungenti da risultare
fuori tempo.
Il Texas diventa luogo geografico e della mente, i personaggi
(tra i vividi ritratti di The Girl Who Danced Oklahoma, The Beautiful
Waitress e The Thirty Years Waltz) popolano terre di frontiera dominate
da strambi cowboy e autentici freak in cerca di uno scampolo d'arte, ancora una
volta un lembo di sogno americano ribaltato. Ogni particolare è descritto secondo
lo scherno che appartiene di diritto al personaggio Terry Allen: Amarillo Highway
ritorna nella mani dell'autore ed è già un piccolo classico, The
Wolfman of Del Rio e Lubbock Woman cercano uno scampolo di poesia
arruffata, I Just Left Myself e My Amigo
tendono la corda e i ritmi accesi di New Dehli Freight Train e Truckload
of Art si fanno beffe delle buone regole del country rock, per architettare
un inedito ibrido musicale. Capolavoro irrimediabilemente nascosto e immediato
oggetto di culto della canzone americana, al crepuscolo dei Settanta Lubbock (on
everything) rimane merce rara e sotterranea, disco che si incunea come un manufatto
stravagante nel solco della tradizione, per dettare le regole di quello che sarà
definito quale ipotetico country "progressivo", rivoluzione musicale messa in
atto dalla periferia del West Texas.