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Cornell
Woolrich
Questa notte, da qualche
parte, a New York
Kowalski pp.446
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Per quanto di natura composita e variegata, o forse proprio per quello, Questa
notte, da qualche parte, a New York, sembra l'oggetto adatto per entrare
nel mondo di Cornell Woolrich. Personaggio con cui è facile cadere nella
tentazione di circoscriverlo negli stretti contorni della narrativa di genere,
ovvero noir, gli viene qui dedicato il giusto rispetto dovuti ai grandi. Il libro
contiene il crepuscolo della sua vita e della sua scrittura: una manciata di racconti,
un paio di capitoli dell'autobiografia Blues of a Lifetime, e cinque spezzoni
dell'ultimo romanzo, rimasto incompiuto. Una raccolta dal chiaro intento celebrativo
e propedeutico, ma che, proprio per l'essenza della scrittura di Cornell Woolrich,
si lascia ben presto alle spalle il formato antologico e si scopre per quello
che è in realtà: un piccolo, grande e sconosciuto gioiello. Questo anche perché
narrazione e autobiografia quasi non si distinguono e anche "Questa notte, da
qualche parte, a New York", così come in ogni angolo del mondo c'è qualcuno destinato
a rimanere affascinato dal mondo di ombre, libri, donne e birre calde di Cornell
Woolrich. Il libro, seguito passo per passo da Francis M. Nevins, il più autorevole
curatore di Cornell Woolrich, è fornito di un'ampia e dettagliata introduzione
biografica, così come, in appendice di tutte le note e gli appunti necessari per
ricostruire il travaglio di frammenti, racconti e vite vissute. |
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Denis Johnson
Albero di fumo
Mondadori pp.727
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Albero di fumo, già dal titolo sibillino, è la versione di Apocalypse
Now in bianco e nero. "Un merdaio con fuochi d'artificio", per dirla (senza tanti
eufemismi) con uno dei suoi protagonisti, ma dove il capolavoro di Francis Ford
Coppola usava la metafora, via Joseph Conrad, del viaggio nel fiume e la realtà
della guerra per raccontare le tenebre della mente umana, Denis Johnson,
mai dimenticato autore di Fiskadoro e Angeli, fa proprio l'opposto e usa le contorsioni
psicologiche dei suoi personaggi per spiegare l'essenza più intima e crudele della
guerra. Quella del Vietnam, in cui si dipana tutta la storia di Albero di fumo,
come qualsiasi altra perché come si dice di uno dei soldati presi dal fuoco incrociato
"aveva ricevuto l'addestramento base, l'addestramento alle armi, l'addestramento
alla giungla, l'addestramento notturno, l'addestramento alla sopravvivenza, all'evasione
e alla fuga; ma ora si rendeva conto che nessuno avrebbe potuto addestrarlo a
sufficienza per una cosa del genere, e che era spacciato". Attraverso i dialoghi
sferzanti, le immagini surreali, anche le ricostruzioni piuttosto fedeli di come
tutto quanto è cominciato (e comincia), Denis Johnson ricrea la perfezione di
un mondo folle dove qualcuno può dire: "Non è mai domani, in questo film del cazzo.
E' sempre oggi e basta". Qualcun altro si avvicina alla realtà: "Vogliamo gonfiare
le idee fino a farle scoppiare. Siamo all'avanguardia della realtà. Ai confini
del sogno". E ogni piccolo tassello forma un capolavoro di grande suggestione.
Sull'uomo e sulla guerra.
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Eddie
S. Glaude
In a shade of blue
Odoya
pp.223 |
L'accademico Eddie S. Glaude, professore di religione e studi afroamericani,
ha avuto la sfortuna di essere bruciato dagli eventi. Fosse uscito a ridosso dell'elezione
del primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti, un fatto di
assoluta rilevanza sul piano umano e culturale, prima ancora di quello politico,
questo corposo (e non sempre scorrevolissimo) trattato sull'identità nera avrebbe
avuto ben altro significato. Invece, come spesso capita agli studiosi, Eddie S.
Glaude ha anticipato i tempi di un anno (almeno) sottolinenando i tratti salienti
di una nuova e crescente coscienza afroamericana. Il libro in sé è un patchwork
di critica letteraria (comprese le numerose pagine dedicate a Toni Morrison e
le infinite citazioni di James Baldwin), storia, religione e politica, con un
percorso che richiede una lettura piuttosto articolata. Quello che interessa,
qui, è che anche un accademico di un certo tono, e in un studio ambizioso, come
In a Shade of Blue, non si dimentica James Brown o Aretha Franklin
e, appena può, riporta sempre all'essenza dell'esperienza e della cultura afroamericana,
il blues. Basta ricordare, in questo senso, la splendida citazione di Ralph Ellison:
"Il blues è un impulso a tener vivi i particolari e gli episodi dolorosi di un'esperienza
brutale nella propria coscienza dolente, per tastare la grana frastagliata e per
trascenderla, non attraverso la consolazione della filosofia, ma ricavando da
essa un lirismo quasi tragico, quasi comico".
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Joe
Harvard The
Velvet Underground & Nico
No Reply pp.200
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Se c'è un disco che merita di essere scandagliato a fondo,
più e più volte, è proprio l'esordio dei Velvet Underground (con Nico e
Andy Warhol). E' vero che sull'album della "banana" (e sui Velvet in generale)
è stato scritto e detto di tutto e di più, ma la ricognizione di Joe Harvard,
musicista e produttore dell'area di Boston ha il , pregio della "leggerezza" e
della varietà delle fonti, attributi che rendono questo libro ricco e agevole
nello stesso tempo. Viene concesso diritto di replica ad un nome sconosciuto ai
più Norman Dolph, che pure ha avuto un ruolo centrale nella realizzazione del
disco che dice: "la prima reazione al 90% di tutti i quadri che oggi destano ammirazione
è stata: questa non è arte. Bene, c'era gente che pensava che i Velvet Undeground
fossero un residuo di ossido sul retro di un pezzo di nastro registrato". Vengono
recuperati pareri sul dettaglio da Jonathan Richman ("Ma dove mai hanno trovato
quel suono i Velvet Undeground?") e su aspetti più generali da Rober Palmer ("Le
attività che allora appartenevano a una sottocultura emarginata sono ora argomenti
della cultura di massa") nonché dai principali interessati. Sintetico e chiarissimo
il ricordo di John Cale: "Eravamo davvero eccitati. Avevamo l'opportunità di fare
qualcosa di veramente rivoluzionario, di combinare avanguardia e rock'n'roll,
di fare qualcosa di sinfonico. Non importa quanto fosse tutto estremamente distruttivo,
per noi era molto eccitante. Non facevamo che suonare e basta. Cioè, ci divertivamo".
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