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Alan
Lomax
L'anno più felice della
mia vita
Il Saggiatore pp.237
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L'anno di cui parla il titolo è quello a cavallo tra il 1954 e il 1955 che lo
storico e studioso Alan Lomax passa in Italia alla ricerca di un tessuto
culturale (e in gran parte musicale) ancora inesplorato o incompreso. Il viaggio,
con la famiglia al seguito, è un'appassionante avventura nelle pieghe di un paese
e di un territorio ormai scomparso che ritrova, proprio grazie a Alan Lomax, tutta
la dignità delle sue radici. Poi in realtà i libri sono due: quello di Goffredo
Plastino che si preoccupa di raccontare, peraltro in modo estremamente pertinente
e preciso, l'anno italiano di Alan Lomax e, a seguire, il vero e proprio diario
di viaggio che il ricercatore americano ha dedicato all'Italia (e che, per inciso,
ha fruttato anche la serie discografica Italian Treasury). I due libri
sono indivisibili e non solo perché raccontano la stessa storia, ma anche perché
sono complementari e, in un certo senso, l'uno figlio dell'altro. Goffredo Plastino
spiega (e già non è del tutto facile) la figura di Alan Lomax, indagando l'ideazione
del progetto, il suo sviluppo, persino piccoli dettagli economici. E' un lavoro
minuzioso che davvero introduce al viaggio vero e proprio di Alan Lomax fatto
di brevi appunti, registrazioni sul campo e poi quelle fotografie (in bianco e
nero) in cui sembra davvero rivedere un paese che non c'è più: forse più povero,
ma anche immensamente più semplice e genuino di oggi. | | |
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Richard Brautigan
Il mostro degli Hawkline
ISBN edizioni pp.204
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Greer e Cameron sono due killer professionisti capaci di mille scrupoli e vengono
ingaggiati da una sinuosa ragazza di origini native, Magic Child, per una misteriosa
missione a casa di Miss Hawkline. Sul bersaglio, mistero fitto, ma la cifra pattuita
e il savoir faire di Magic Child, nonché una certa presunzione sulle proprie capacità,
li spinge ad accettare l'incarico e a ritrovarsi nel bel mezzo di un'avventura
folle e surreale. La riscoperta, in modo continuativo e approfondito, di Richard
Brautigan rende finalmente il giusto omaggio ad un grande fuorilegge della
letteratura americana. Troppo visionario persino per i tempi migliori della San
Francisco beat & hippie, Richard Brautigan ha inventato un linguaggio tutto suo
che, trasformato in una scrittura trascinante e irriverente, ha bilanciato il
paradosso di una vita tormentata e malinconica. Un loser oltre che un outsider
perché proprio questo romanzo poteva diventare un film con la regia di Hal Ashby
e (pare) Jack Nicholson e Dustin Hoffman nella parte dei due killer, ma tutto
naufragò per la sua intransigenza. Forse non aveva nemmeno tutti i torti perché
il cocktail che aveva preparato era già fin troppo denso: un quarto di western,
un quarto di horror, un quarto di commedia e un quarto di sesso serviti con una
spruzzata di sana follia e accompagnati da un generoso bicchiere di whisky (che
è indispensabile, se si vuole arrivare alla fine, dove scoprirete perché). Libro
"roots" del mese.
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Jerome
Charyn
Broadway
Il Saggiatore
pp.287
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Dato che Jerome Charyn è un narratore acuto e un osservatore molto attento
e preciso non si limita a raccontare la storia dei due o tre isolati che circoscrivono
Broadway e, come recita il sottotitolo, "l'età del jazz e la nascita
di un mito". Piuttosto, dentro l'idea di Broadway inventa un microcosmo al di
là dello spazio e delle cronologie che ha tutto un suo complesso immaginario.
Si comincia con le cronache di Damon Runyon che, essendo soprattutto un cronista
di strada, riportava "un mondo fatto quasi interamente di voci" e un attimo dopo
si è catapultati in un universo dove realtà e fiction si alternano e si confondono,
con i vicoli di Broadway che sfociano nei bassifondi dei Five Points, la terra
di nessuno delle gangs di New York di Martin Scorsese. Ovvio che il jazz, il teatro
e la letteratura hanno la precedenza, ma Jerome Charyn ha una visuale cinematografica
piuttosto ampia e non si ferma alla pur pregevole ricostruzione storica dei "ruggenti
anni Venti" e del proibizionismo, ma si adopera anche per le sue rappresentazioni,
la sua influenza, le sue spigolosità e tutte le sue leggende. Anche della sua
fine perché, scrive Jerome Charyn, oggi Broadway "si è trasformata in un circo
alquanto insipido che esiste per risucchiare i turisti in un distretto teatrale
bonificato". Se la si vuol vedere "turbolenta folle" bisogna salire sulla macchina
del tempo di Jerome Charyn insieme a Zelda (Fitzgerald), del grande Gatsby e a
tutti i fantasmi bruciati da un'era irripetibile.
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Wynton
Marsalis Come
il jazz può cambiarti la vita
Feltrinelli pp.165
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E' sufficiente affacciarsi alle prime pagine di questo libro
per restare intrappolati nella rete di words & music di Wynton Marsalis.
Nelle quattro righe di incipit cita Marvin Gaye, Stevie Wonder e James Brown (e
siamo già oltre i recinti jazzistici) ma poi si volta pagina e spiega, parola
per parola, battuta per battuta, il fondamento ritmico, ovvero lo swing, alla
base del jazz e per estensione di gran parte della musica afroamericana. Lì c'è
tutto quello che "può cambiare la vita": un impercettibile scarto di lato, lo
spirito d'insieme e, in conteporanea, dell'individualità, la spinta dell'istinto
e dell'ispirazione, il coraggio di provare, di sbagliare e di provare ancora continuando
a improvvisare. La lezione di Wynton Marsalis è tutta lì e la sua intenzione (dichiarata
e condivisibile) è dissipare gli infiniti luoghi comuni cresciuti sul jazz come
parassiti ad uso di ben altri parassiti: troppo difficile, troppo vecchio, troppo
morto (roba che conosciamo fin troppo bene visto che viene applicata a scadenze
regolari anche al rock'n'roll). E invece no: partendo da ritratti e aneddoti dei
più grandi jazzisti (e i nomi sono, tra gli altri, Dizzy Gillespie, Billie Holiday,
Miles Davis, Ornette Coleman, Charlie Parker, Jelly Roll Morton), Wynton Marsalis
delinea, frase per frase, una granitica apologia del jazz che, oltre a leggersi
come un romanzo, è anche un chiarissimo manifesto politico (nel senso più alto
e onorevole del termine, a scanso di equivoci). Indispensabile.
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