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Elia
Kazan Il
compromesso Mattioli
1885
pp.539 |

La discesa negli inferi di Eddie Anderson, uno dei tanti nomi dietro cui si cela
l'ambigua personalità del protagonista de Il compromesso, è un'epica,
travolgente e dolorosissima saga attraverso l'America degli anni Sessanta, da
Los Angeles verso New York e viceversa. Si comincia con una ricca e pachidermica
esistenza suburbana: un lavoro importante, un matrimonio, molte distrazioni dentro
cui si annida un dubbio, reso ben presto palese da Elia Kazan: "Il successo
dovrebbe fornire una certa difesa contro gli spettri o l'inconscio o qualunque
altra cosa fosse. E' il minimo che ci si dovrebbe aspettare dal successo. O dal
denaro. E invece non è così, per nessuno dei due". La verità, una volta che ci
si lascia trascinare dalla corrente di questo monumentale romanzo (sono circa
cinquecento pagine), è che non ci sono proprio difese nella fragile e altalenante
frequentazione della psicologia umana: basta una parola, un piccolo incidente,
uno sguardo sbagliato nel momento giusto e i castelli di carta su cui si reggono
i compromessi vanno giù con un soffio. Ancora attuale, a quarant'anni dalla sua
prima uscita, con la sua mole Il compromesso conferma gli intenti dichiarati da
Elia Kazan: "Non scrivo per divertire, ma per disturbare. Credo che la letteratura
sia in grado, in modo indiretto, di disturbare: cioè di cambiare il mondo che
se lo accetti davvero così com'è sei come minimo un idiota". Un grande romanzo
e un libro scomodo. | | |
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Charles
Willeford La
macchina in Corsia Undici
Adelphi
pp.70
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Rinchiuso in un ospedale psichiatrico, Jake Blake, regista con qualche
problema di attinenza alla realtà, deve confrontarsi con una nuova vita fatta
di farmaci, infermieri, corridoi, incubi e l'alta tensione in fondo alla Corsia
Undici. In effetti, Blake, un nome fin troppo evocativo, si trova in un cul de
sac o meglio, per restare negli ambiti delle patologie psicologiche, in una tipica
situazione da Comma 22: se non ammette di essere folle, e quindi di osservare
le regole e gli inviti dell'istituzione, (ovvero se non collabora) lo aspetta
un trattamento più duro, ma se si convince e/o convince le istituzioni della sua
follia, ogni cura è possibile, compresa la macchina della Corsia Undici, cioè
l'elettroshock. Il ribaltamento dei ruoli, imprevisto e repentino, conferma l'identità
deviante di Blake e la follia dell'elettroshock e se un piccolo racconto, quale
è La macchina in Corsia Undici, non consente di trarre considerazioni
definitive o soltanto una valutazione morale (è più folle il folle o il medico
che gli prescrive l'elettroshock?) di sicuro suggerisce in poche dozzine di pagine
un'atmosfera plumbea, l'odore della claustrofobia con una taglio netto, nitido,
preciso, essenziale nella forma ed incisivo nel ritmo, con pochi ed essenziali
dettagli che bastano a creare un mondo credibile (se non proprio realistico),
prerogativa, quest'ultima, di ogni grande scrittore. Un piccolo capolavoro, da
non perdere.
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Jonathan
Coe
La pioggia prima che
cada Feltrinelli
pp.222
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Inizia come Ian McEwan, Martin Amis e Graham Swift, i fratelli maggiori: lo stesso
lirismo, gli stessi ritmi, la stessa, identica predisposizione verso l'impalpabilità
delle parole e la geometria delle immagini. E' proprio dalla e nella descrizione
di un pugno di fotografie che La pioggia prima che cada prende
forma ed è una scelta narrativa che può sembrare fin troppo semplice fino a rasentare
l'incoscienza. Il rapporto tra immagine (soprattutto la fotografia, che fra tutte
le arti visive è la più istintiva) e scrittura porta in un campo complesso (se
non proprio pericoloso) e le prime parti del romanzo sembrano effettivamente un
po' nebulose, ma la storia di tre, forse quattro generazioni di donne prende forma
attorno ad un'idea di famiglia o di una sua mancanza o come dice con una certa
precisione Jonathan Coe, spogliando il termine di tutta l'enfasi posticcia
che gli viene attribuita, considerandola "semplicemente una delle nostre condizioni
di vita". Interviene poi il titolo a dare un senso al romanzo, quando ormai ci
è inoltrati nella lettura; lo apre, lo spiega, accende una luce chiarissima sopra
le fotografie, illuminandole anche dove sono un po' sfocate e rendendo uniforme
e comprensibile il mosaico perché "qualcosa può farti felice, anche se non è reale".
Un romanzo dolente e bellissimo e bye bye ai fratelli maggiori |
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Diane
Thomas
The Year that Music
Changed
Azimut pp.264
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L'anno che ha cambiato la musica è quello che, ne converranno
anche gli esperti delle radici del rock'n'roll, corre tra il 1955 e il 1956. Elvis
Presley si sta lasciando alle spalle le Sun Sessions per entrare nella televisione
e diventare una delle più grandi leggende del ventesimo secolo e poi, giusto trent'anni
fa, il fantasma più famoso del mondo. Con la precisione di una ricercatrice e
l'affetto di un fan, Diane Thomas inventa per quello straordinario segmento
di tempo un romanzo epistolare: da una parte le lettere di Achsa McEachern, una
giovane, appassionata e intraprendente ragazza incastrata in una famiglia con
troppi segreti; dall'altra, un suo coetaneo (Elvis, appunto) colto nell'attimo
in cui deve varcare una sottile linea oscura. Lo confessa in una lettera: "Sembra
che ci sono solo due strade davanti a me. O smettere di fare felici i miei fan.
Oppure smettere di fare del male alle persone che amo. Devo scegliere". Il dialogo
è avvincente proprio perché sottoscritto ai due diversi e controversi destini
che però hanno qualcosa di molto profondo in comune: Achsa deve confrontarsi con
le proprie radici, Elvis le sta abbandonando, destinazione Hollywood. Lettera
dopo lettera, non prende forma soltanto un curioso e intenso rapporto tra fan
e rock'n'roll star, ma anche tutto un immaginario particolare che comprende James
Dean e Bill Haley, i southern accents e il gospel e un'America ancora e sempre
sospesa tra innocenza e ignoranza
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