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Kind of Country - a cura di Marco Denti -
La domanda di Rick Bass ne comprende un’altra
che resta nascosta tra le pieghe di Nashville Chrome ed
è un po’ la sua architrave segreta: è tutto vero? O è soltanto il relitto
di un miraggio che si aggira in cerca di un approdo? La famiglia Brown
vive nei boschi nell’Arkansas, e i figli (Jim Ed, Maxine e Bonnie) scoprono
la bellezza delle loro voci in mezzo al frastuono di una vita durissima.
Dai Brown al gruppo dei The Browns, non cambia soltanto una lettera
alla fine del cognome. La musica come passione, come fatto sociale,
come espressione diventa occasione di riscatto, ambizione, lavoro, fatica,
fallimento, tragedia. È una metamorfosi drammatica: vengono scoperti
e sfruttati senza pietà da un manager, Fabor, che diventa milionario
spillandogli le royalties, mentre si devono sobbarcare tour interminabili
dove la compagnia di alcol, pillole e altre forme di sostentamento non
proprio salutari diventa prima o poi inevitabile, finché il danno non
è compiuto. In quel particolare segmento di Nashville Chrome, Rick Bass mette in risalto la figura di Chet Atkins che salva la carriera dei Browns, e in particolare quella di Maxine, proprio nel momento in cui è tra gli artefici dello sviluppo del country-pop. È solo l’inizio, ma attorno all’abilità del chitarrista e produttore si addensa “una piccola cerchia compatta: i germogli di quello che sarebbe diventato il settore multimiliardario della musica country di Nashville passavano di lì”. È un’altra era, e un altro piano inclinato sul quale scorrono le cronache dei Browns. Per Maxine, “il mondo, o almeno il mondo della musica country, l’unico del quale le importasse, l’ha circondata per dieci anni buoni, è sciamato intorno a lei e alla sua famiglia quando si è scoperto che lei e i suoi fratelli ne erano l’epicentro e il fulcro, il desiderio struggente e la voce che hanno dato vita a quello che presto sarebbe diventato il settore musicale ipercommerciale di Nashville”. La contraddizione vissuta da Maxine è soltanto l’inizio di tutti quegli attristi che sottolineano la ricerca di qualcosa di inalterato e genuino da distinguere dai prodotti in serie. Amanda Petrusich in It Still Moves (Arcana) scriveva: “Il country è costellato di quelle opposizioni scomode, i nuovi che suonano il vecchio, il country che suona pop, i conformisti che fanno i fuorilegge, e di conseguenza è oggetto di tutta una serie di congetture problematiche sulla sua legittimità”. È vero che, alla ricerca di contrasti più forti e di emozioni più epidermiche, il rock’n’roll avrebbe avuto la meglio su tutti e là i Browns non ci sarebbero arrivati. Non a caso, l’ultimo anno contato nelle biografie è il 1967, quando l’incendio era ormai “out of control”. Nel frattempo, c’è un altro passaggio che Rick Bass sottolinea a più riprese in Nashville Chrome seguendo le gesta dei Browns, ed è quello dalla radio alla televisione, un cambio che ha travolto tutto: “Presto la radio sarebbe stata seconda alla televisione nell’afferrare l’animo di uomini e donne e tenerli inchiodati, prigionieri del messaggio che veniva trasmesso, e la musica country sarebbe passata in secondo piano rispetto al rock’n’roll, e di parecchie lunghezze”. Elvis è la figura che fa da cardine in quel preciso momento storico e Rick Bass lo riporta, com’era inevitabile, ma dentro una luce del tutto particolare e che corrisponde ed evidenzia molte sfumature di Nashville Chrome: “Per Elvis dev’essere stata sicuramente una specie di sogno in cui il sonnambulo non mette in discussione il proprio cammino, ma viene semplicemente attirato da una parte e si muove senza sforzo, per una volta non con ambizione ma con sentimenti pacati, come speranza e curiosità”. L’aiuto delle immagini è quasi invocato da Maxine, ormai avviata al crepuscolo della carriera: “Nel mondo della musica country un film alla fine della carriera o della vita è semplicemente di rigore. Dov’è il suo? È come presentarsi sul palcoscenico senza scarpe o come l’incubo ricorrente in cui, mentre suona e canta in un grande locale elegante, le esce la voce ma il microfono non funziona, perciò solo le prime le riescono a sentirla”. Qualcosa si è rotto, svelando la fragilità dell’incantesimo. In quel sfuggente frammento temporale, diventa evidente la differenza che ha segnato la carriera dei Browns e che è, a partire dal titolo, l’anima più profonda di Nashville Chrome. Rick Bass spiega bene la svolta: “Era ancora una cultura dell’ascolto più che visiva, almeno per quanto riguarda il modo in cui la gente si divertiva e si rilassava alla fine di una lunga giornata di lavoro in fabbrica, esausta dopo avere arrancato per un altro giorno allo scopo di avvicinarsi a quel po’ di benessere, se non di ricchezza, che banalmente sembrava possibile raggiungere. Si sedevano in poltrona, stappavano una birra, accendevano la radio e ascoltavano la musica che veniva trasmessa come se aspettassero istruzioni sul modo di vivere il resto della loro vita o un incoraggiamento ad alzarsi e andare avanti, a vivere vite più impegnate, eroiche, anche se a volte se ne stavano semplicemente seduti dopo il lavoro, ad ascoltare”. L’autenticità resta una chimera, la nostalgia è predominante. E così è naturale che la parabola di Elvis incroci e concluda quella dei Browns. Sono tutti in caduta libera, ma loro l’affrontano tornando a casa, non potendo ricominciare daccapo quando “tutti, nei paesini più remoti, cantavano e suonavano, ma le voci di quei bambini erano diverse, ammalianti, soprattutto quando creavano armonie. Nessuno capiva bene perché, ma tutti ne erano incantati. Quel canto era davvero a affascinante, dava sollievo. Guariva una ferita profonda in chiunque ascoltasse, di qualunque ferita si trattasse”. Il potere della musica resta straordinario ed è per questo che Nashville Chrome è una storia particolare e insieme un modello universale. La ricerca della purezza e dell’innocenza delle canzoni e nella musica (country, e non solo) è un paradosso che si poteva spiegare soltanto con un romanzo come ha fatto Rick Bass. Questa è forse la notizia di rilievo, ovvero la fiction per capire quei meccanismi dello stardom system e del music business che restano macchinosi e misteriosi. Il tono di Nashville Chrome è conciliante anche se i temi sono scabrosi, i personaggi vengono accompagnati da una scrittura florida e accurata nei dettagli e nei risvolti psicologici, che offrono una sorta di giustizia poetica ai Brown. La costruzione del successo e della fama partendo dalle canzoni è una scommessa e l’avventura dei Browns si sovrappone a tutte le altre perché, se i cliché esistono, ci sarà un motivo. Scalare le classifiche non è mai stato sufficiente, la nostalgia per l’ingenuità o l’innocenza, anche se i tempi erano duri, difficili e faticosi, è troppo forte. Rick Bass attorno ai Browns riesce nella non facile impresa di far collimare tutti gli aspetti, neanche fosse un’indagine antropologica. Con la grazia del romanzo, riesce ad andare fino in fondo e lì, come in ogni racconto di Rick Bass, c’è un fiume e dentro il fiume ci sono Elvis e Bonnie su una barca che cercano una sponda su cui fermarsi e fermare il tempo. Rick Bass, Nashville Chrome (la recensione dal blog di BooksHighway)
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