William
Burroughs , Interviste [Il
Saggiatore, 1239 pp.]
a
cura di Marco Denti
Nelle
Interviste di William Burroughs, raccolte da Silvère Lotringer (ilSaggiatore,
nella traduzione di Silvia Albesano e B. Alessandro D’Onofrio) si condensa una
galassia di esperimenti, inferni, cospirazioni, previsioni, utopie, fallimenti
e desideri destinati a collassare, prima o poi, nel perentorio flusso della sua
scrittura, e del suo pensiero che, nella maestosità dell’occasione, è più esplicito
che mai. Le istruzioni per l’uso che seguono sono soltanto una piccola e temeraria
guida per seguire un “uomo invisibile” e inoltrarsi nell’ignoto tra “un’esplosione
di colore”, molti “sogni a mezz’aria” e “un universo in guerra”, che Burroughs
aveva già previsto un milione di anni fa.
Allen Ginsberg ha detto
che “scrivere era il suo modo di viaggiare nel tempo e sperimentare, per creare
universi”. A corollario, ogni altro strumento era ammesso e consentito perché,
come diceva ancora Ginsberg nelle sue lezioni sulla Beat Generation, “Burroughs
è un soggetto particolare, perciò andava bene tutto”. Eh, sì.
B
come Beat Generation: dentro e fuori, vicino e lontano, ispirato e disperato,
nel luogo giusto, al momento giusto, eppure sempre fuori posto. Un outsider della
mente eppure come ha detto Ballard, Burroughs resta “il più grande scrittore americano
del dopoguerra”. Non c’è altra collocazione.
C
come CIA. L’ossessione per il controllo, che qualcuno direbbe paranoia, è stata
una delle orbite che la scrittura di Burroughs ha seguito con più frequenza ben
sapendo che “se diventa di dominio pubblico, una procedura segreta perde la sua
efficacia”. La scoperta non è rilevante in sé, visto che funziona così dai tempi
remoti del Macchiavelli, quanto per l’insistenza con cui Burroughs ne ribadiva
l’essenza e, nell’intervista con i Devo, la collocava con una certa precisione
nell’ambito della politica americana: “La ragione per cui noi non veniamo presi
e uccisi probabilmente sta nel fatto che questo succede ad altri. Paghiamo affinché
siano altri a morire di fame. Compriamo la nostra relativa libertà. È questa la
politica della CIA: lasciamo che capiti. altrove. Per certi versi, tutto è politica”.
Con Allen Ginsberg, il suo interlocutore più frequente sarà anche più concreto:
“La comunicazione è fatta apposta per impedire il contatto. Ricordati, mentire
per un uomo politico è come respirare, ed è altrettanto essenziale per la sua
sopravvivenza”. E, allora, quel presidente che è stato costretto a traslocare
in fretta e furia, travolto dal Watergate? Facile immaginare Burroughs che non
si scompone di un millimetro: “Beh, Nixon si è fatto beccare”. Chiaro, no?
D
come Devo (i più vicini al suo immaginario) o David Bowie e da lì Patti Smith,
Soft Machine e Tom Waits: il rock’n’roll ha visto in Burroughs un padre putativo,
un mentore e tale è rimasto negli anni, fino ai Nirvana, e oltre.
E
come entomologia ed etologia, due estremi delle conoscenze biologiche di Burroughs
che l’hanno portato ad affermare: “Non credo che siamo fatti per rimanere in questo
stato. Il nostro corpo è un dispositivo piuttosto scomodo. Se pensiamo alle prestazioni
fisiche, gli animali fanno tutto decisamente meglio: corrono meglio, combattono
meglio. Mi chiedo davvero perché cerchiamo la competizione. Ma a meno che la razza
umana non cambi da un punto di vista biologico, non resterà ancora in giro per
molto”. Profetico.
F come fucili, pistole
e arsenali assortiti. Una passione pericolosa e fatale per la moglie, Joan Vollmer,
colpita a morte dallo stesso Burroughs in una tragica notte a Città del Messico.
Un rapporto ambivalente perché alla fine, diceva Burroughs, “io sto parlando di
armi, non di opere d’arte” e il tema serpeggia senza sosta nelle discussioni,
nella convinzione che “non c’è che un gioco, e quel gioco è la guerra”. Con l’incubo
ricorrente di Hiroshima che spunta a scadenze regolari tra un’intervista e l’altra.
G come (Brion) Gysin, pittore, scrittore, visionario, secondo Burroughs
“uno sciamano, uno sciamano potentissimo” è colui che l’ha introdotto all’arte
(geniale) del cut-up, poi elevata all’ennesima potenza. “L’essenza del cut-up
è l’introduzione del fattore casuale” ed è un elemento fondamentale per “le espansioni
della consapevolezza che finiscono per portare mutazioni”: per capire Burroughs
bisogna partire da qui.
H come heavy metal. La definizione, ogni
tanto serve ricordarlo, è proprio sua. La condizione ultima, definitiva, senza
ritorno, della dipendenza. Ogni traccia umana scomparsa, resta solo un fardello
“minerale”. Molto pesante.
J come James Joyce o Joseph Conrad, Graham Green, Malcolm Lowry
e Carson McCullers, sono infiniti le letture (e i consigli) di Burroughs e si
capisce, perché “mentre scrivi, vedi un film. A dire il vero, naturalmente, vedi
un film quando leggi”.
K come Kerouac,
a cui viene riconosciuto un ruolo incontrastato: “È Kerouac ad avermi influenzato,
molto più di quanto non abbia fatto io, perché all’epoca non ero per nulla interessato
alla scrittura, e lui è stato uno dei tanti che mi diceva che avrei dovuto scrivere”.
Sia lodato e beat(o).
L come Londra, Parigi
o New York, Città del Messico e Tangeri, sono il luoghi che l’hanno visto protagonista
o, per dirla con il diretto interessato, “sono questi i posti in cui ho vissuto
per un certo periodo di tempo piuttosto lungo, e l’influenza sul mio lavoro è
molto evidente, credo”. Sì, e anche reciproco: ovunque andasse, cominciava a sentirsi
un certo fermento, o nell’aria un sentore di “festa mobile”.
M
come macchine. Secondo Burroughs “l’uomo è un cattivo animale. Prima distrugge
la razza umana, poi gli animali, infine l’ambiente”, ma non lo farà da solo. Il
proliferare dell’industria lo seguirà, ma anche qui Burroughs ha saputo “scrivere
nel futuro” e guardare più in là delle generiche avvisaglie di pericolo: “Le macchine
non ci soppianteranno senza una causa motrice. Una macchina non farà nulla se
non ha una motivazione, non più di quanto potrebbe farlo una persona. La gente
non pensa, a meno che non abbia una ragione per pensare, cosa che abbiamo in ogni
momento, ovviamente. Non sono certo che a una macchina possa essere fornito questo
genere di motivazione. Come si può spaventare una macchina? In questo senso non
è il pensiero a essere rilevante, le macchine pensano meglio di quanto non facciamo
noi. Ma la macchina dovrebbe essere motivata, dalla paura, dal desiderio, o quel
che sia, prima che possa prendere il nostro posto nel moto evolutivo delle cose.
In altre parole, dovrebbe essere viva”. Paradossale, ma nemmeno tanto.
N
come Nova Convention, un omaggio di tre giorni tra novembre e dicembre
del 1978 a cui parteciparono Frank Zappa, Lenny Kaye, John Giorno, Ed Sanders,
Anne Waldman, John Cage, i Suicide, Robert Fripp, i B-52’s. O come osservazione,
a cui Burroughs dedicava molta attenzione: “l’osservatore crea osservando e l’osservatore
osserva creando. In altre parole, l’osservazione è un atto creativo”.
La
playlist ispirata a William Burroughs
P
comePasto nudo. Capolavoro.
Q come “qualcosa che
esca fuori dalle pagine” è quello che chiedeva Burroughs a un libro perché “uno
scrittore non dovrebbe mai adeguarsi al livello dei suoi lettori o li perderà.
Loro devono nutrire ammirazione e rispetto per lui, anche se non sempre comprendono
quello che leggono”.
R come routine. A dispetto dell’immagine inquietante,
Burroughs sosteneva con vigore le gioie di un placido tran tran: “lavori, segui
la routine, pulisci la casa, fai qualcosa”. Efficiente.
S come
scrittura. Nelle Interviste, Burroughs si dilunga ed è molto generoso nell’indagare
i motivi della scrittura a partire dal fatto che “è una forma di autoriproduzione,
e lo scrittore continua a vivere nel suo lavoro, in senso proprio. La scrittura
è un processo che porta all’allestimento di mappe, spaziali e sociali. Il compito
dell’arte e del pensiero creativo è fornirci un orientamento nello spazio, come
le mappe spaziali”. Per saperne di più: bookshighway.blogspot.com/2013/10/william-burroughs.html.
T come Terre occidentali. Un romanzo che poteva scrivere solo Jackson
Pollock.
U come un film. È tutto un film,
anche “un sogno è a tutti gli effetti un film” e “l’arte per lo più consiste di
parole e immagini. È davvero una sorta di processo del pensiero. Somiglia molto
a un film: tu parli, ed ecco il film. Non è quel grande sforzo, è semplicemente
la natura della coscienza”. Il problema è scoprire chi è il regista.
V
come virus, il chiodo fisso di William Burroughs, sia nel senso del linguaggio
(“La mia previsione è che le parole siano un vero e proprio virus, un virus che
ha raggiunto un equilibrio con il suo ospite e perciò non è riconosciuto come
virus”) sia da un punto di vista scientifico: “La biochimica, oggi, è in grado
di creare pestilenze selettive, che potrebbero, per esempio, attaccare solo i
bianchi, sole le persone di colore, le donne. In ogni caso, certi gruppi sono
più soggetti di altri a determinate malattie”. Dove abbiamo già sentito questa
storia?
W come (Edmund) White che diceva: “per Burroughs scrivere
è come raffinare un minerale: molti passaggi per estrarre pochi grammi di sostanza
preziosa da tonnellate di scarti”. Una definizione perfetta.
X
come x-rated ovvero la censura con cui lottò per tutta la vita. Maurice Girodias,
il primo editore del Pasto nudo, diceva: “Si potrebbe davvero disegnare una cartina
del mondo, una cartina dettagliata che indichi per ogni paese la stima del livello
di libertà e il numero di processi per oscenità”. Facile intuire come il rapporto
sia direttamente proporzionale e Burroughs ricordava che “ci abbiamo messo molto
tempo per conquistare la nostra libertà, e credo che ce la terremo stretta”. Mai
abbastanza. Y come yage, la droga suprema, ma non ultima: dall’eroina in poi Burroughs
ha provato ogni sostanza, con alterni risultati: “Mi interessava quello che interessa
a chiunque cominci ad assumere sostanze: l’alterazione della coscienza. La coscienza
alterata, naturalmente, fa parte dei ferri del mestiere di uno scrittore”. Il
feedback è completo quando ricordava che “ogni evento psichico è un evento chimico”.
E, comunque, usare con cautela.
Z come zen: mai stato, ed è tutto:
“the beat goes on”, tra un’onda gravitazionale e l’altra e l’eco di messaggi astrali
rimasti senza risposta.