Bruce Springsteen
Born to Run

[Mondadori]
pp. 536

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Più che l’inevitabile memoir di una rock’n’roll star, più che il racconto autobiografico di un ragazzo della provincia americana “blinded by the light”, Born To Run è un complesso, pensieroso e articolato trattato di resa di Bruce Springsteen con se stesso e con i suoi demoni. Avendo passato una parte importante della vita prigioniero di un sogno e tutto il resto ostaggio di quello che ha creato, Springsteen si è sforzato di comprendere e poi accettare che “per quanto lo desideri, e per quanto mi sforzi, non riesco proprio a venire a patti con le cose come sono”. La soluzione, in concerto, dove è più a suo agio, è una sorta di rito collettivo che produce un’energia gioiosa capace di far rimbalzare tuoni e fulmini. Nelle cinquecento pagine di un libro diventa più difficile, anche perché è vero che “le storie vanno rivendicate: con il duro lavoro e il talento ne nobiliti l’ispirazione, ti sforzi di raccontarle al meglio, dichiari il tuo debito e la tua gratitudine verso di esse. Ambiguità, contraddizioni e complessità delle scelte di accompagnano nella scrittura come nella vita, e tu impari a conviverci, ad assecondare il bisogno di instaurare un dialogo con ciò che ritieni importante”. Essendo costruito attorno all’irrisolto rapporto con il padre e per estensione all’infanzia nel New Jersey, la prima parte di Born To Run resta la più densa ed efficace dal punto di vista narrativo. Gli esordi sono ricchi di volti, di storie, di spunti e il racconto di Springsteen è ironico, picaresco, spesso romantico, anche se il tono non supera mai il perimetro di quello che pare, a tutti gli effetti, un confessionale a porte aperte. L’inversione comincia a metà corsa, dove Springsteen confessa di combattere da anni contro la depressione che, a ben leggere tra le righe, è causa e insieme effetto di un’irrisolta crisi d’identità. Il disagio serpeggia, “la ricerca di un senso e di un futuro” dentro una faglia identitaria molto movimentata, comprende, oltre ai conflitti personali, quelli tra realtà e illusione, e, non di meno, i dubbi legati all’essere americano. In effetti, come sostiene Springsteen “per sapere cosa significa essere americani dobbiamo scoprire cosa significava un tempo: solo rispondendo a queste due domande saremo in grado di immaginare cosa potrebbe significare”. E’ più facile che diventi presidente degli Stati Uniti che uno scrittore tout court: se Born To Run non è il grande romanzo americano, Springsteen era e resta un grande storyteller. La seconda parte, soprattutto nelle ultime fasi, è più frammentaria, quasi meccanica nello svolgere i brevi capitoli. Gli aneddoti non trovano sbocchi in una trama più articolata, il linguaggio non si sviluppa e Born To Run risulta, alla fine, un greatest hits di storie che ruotano attorno al nucleo della contrapposizione tra l’età adulta e l’eterna adolescenza del rock’n’roll, una guerra psicologica senza fine, con l’ombra della depressione in agguato. Il contorno è la musica ed è ancora una contraddizione perché quella invece è ùla sostanza, il cuore di tutta la sua autobiografia, ma Born To Run è un tentativo di rimuovere e ricollocare, aprirsi e nascondersi, sempre con il timore di essere un enorme bluff e che all’orizzonte non ci sia “nessun sogno, nessun futuro, nessuna storia”. Ci sarà un motivo se “credibile” è una delle parole che tornano più spesso. L’altra è “adorabile” e insieme formano un ritornello che riappare con una frequenza regolare perché nel tentativo, anche un po’ goffo, di rendersi accettabile, Springsteen intravede sempre qualcosa di meraviglioso, e vuole bene a tutti (ma proprio a tutti) perché si sforza di riflettersi negli altri, e di voler bene a se stesso. Con la chitarra a tracolla, il trucco funziona (eccome). Dentro le pagine di un libro è credibile, adorabile. La seconda più della prima.

(Marco Denti)


Carlo Babando
Marvin Gaye. Il sogno spezzato

[Vololibero]
pp. 144

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Il sogno spezzato di Marvin Gaye narra la storia di un artista e di uomo "ossessionato dal mettersi incessantemente alla prova con se stesso", come afferma l'autore Carlo Babando nell'introduzione. Il suo racconto è per forza di cose costretto nello spazio breve messo a disposizione dalla collana 'Soul Books' di Vololibero, un'agile sintesi di un centinaio di pagine e poco più che si prefigge l'obiettivo di raccontare alcune delle più importanti figure della musica nera del secolo scorso. Piccoli volumi quindi, spunti di veloce consultazione che catturano con elementi essenziali la vita di artisti quali Aretha Franklin, Al Green, Otis Redding (le altre uscite disponibili al momento), Nina Simone, Ray Charles, James Brown (tra le latre previste nei prossimi mesi). Con le prefazioni curate da Massimo Oldani, voce storica della radio italiana e le note finali di Graziano Uliani, fondatore del Porretta Soul festival, questi saggi vanno a sondare un terreno che in Italia non ha mai goduto di molte fonti bibliografiche, se non attraverso traduzioni estere. Che questo si traduca poi in operazioni sempre interessanti va giudicato di autore in autore, nella capacità di non essere didascalici a dispetto dell'esiguo spazio a disposizione. Mi pare che Babando risolva con intelligenza la questione senza addentrarsi in date e dettagli maniacali, cercando semmai di rendere la tormentata e complessa vicenda umana e artistica di Marvin Gaye attraverso delle sensazioni, degli umori, partendo dalle testimonianze di chi gli ha vissuto accanto e ne ha saggiato la personalità. Il sogno spezzato diventa così la cronaca di un'ascesa "infelice", di una delle voci più potenti e al tempo stesso celestiali dell'epopea soul, che nonostante il successo aveva qualcosa che lo consumava dentro. Non una sceneggiatura inedita si dirà, vite da divi che hanno sempre un lato oscuro da offrire, ma nell'assurda morte di Marvin (che arriva nel finale del libro, ma ha una attenta preparazione che la rende inesorabile nelle pagine precedenti) c'è davvero qualcosa di tragico e scioccante. I passaggi salienti della sua carriera sono descritti senza lacune, seppure qualche volta lasciando l'amaro in bocca per la possibilità di approfondire di più, soffermandosi con parole accorate e precise su quelle svolte che hanno decretato l'unicità di Gaye: il suo irresistibile intreccio di sacro e profano, l'educazione gospel del giovane ragazzino nel ghetto nero di Washington, e la sensualità anche esplicita del maturo interprete soul. Sopra ogni cosa, ombra e destino dell'uomo, il rapporto con il padre despota e carnefice e la famiglia, senza tralasciare le debolezze della dipendenza dalla cocaina, fra tentativi di liberarsene e ritorni di fiamma, un rifugio dannato per il suo dolore personale. E poi i rapporti burrascosi con le donne della sua vita, la madre, la prima moglie Anna, la sposa bambina Janis, particolari che non servono a Il sogno spezzato per trasformarsi in un pruriginoso resoconto delle manie dell'artista, ma si intrecciano con la musica prodotta per spiegarne la tensione. Dal romanticismo dei primi giorni con il doo-wop, al desiderio di diventare una stella del pop, un Frank Sinatra nero, fino all'incontro decisivo con Berry Gordy Jr. e la "fabbrica" della Motown, cuore soul di Detroit e punto di svolta della sua carriera: doveroso che Il sogno spezzato si soffermi con attenzione sulla genesi di What's Going On e Let's Get It On, i due capolavori che negli anni Settanta definiscono lo zenith del musicista Marvin Gaye, la dimostazione più limpida delle sue visioni e ambizioni. Sono dischi ancora oggi bellissimi nella loro ricerca sonora (un'influenza incontestabile per tutta la musica nera a venire) e passaggi chiave per comprendere la stessa arte di Gaye, maniacale e perfezionista nell'incisione della voce, combattuto nell'anima tra l'amore di Dio e l'amore carnale. Che è poi il senso ultimo della soul music, essenza primaria di queste canzoni.

(Fabio Cerbone)



 


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