Enrique Vila-Matas
Dublinesque

[Feltrinelli]
pp.246





Samuel Riba è l'editore che tutti gli scrittori vorrebbero avere. O forse no: un editore avaro e poco propenso a mettere mano alle sue abitudini, ma anche votato al libro, al romanzo, alla letteratura come un'ossessione, uno spirito che insegue una chimera, uno spettro che insegue il fantasma del genio e che "ha sempre ammirato gli scrittori che ogni giorno intraprendono un viaggio verso l'ignoto e tuttavia rimangono tutto il tempo seduti in una stanza. Le porte delle loro camere sono chiuse, non si muovono mai, ciononostante il confino offre loro l'assoluta libertà di essere chiunque vogliano essere, di andare ovunque li portino i loro pensieri". Nemmeno la pensione, un ritiro abbastanza agiato (a qualcosa sarà pur servito risparmiare sugli anticipi degli autori) riesce a mitigare i tormenti dell'editore, più turbato dei suoi stessi scrittori, che lo portano a dividersi tra due città che sono, insieme, punto di partenza e capolinea. New York è la base da cui comincia la sua odissea, Dublino è l'approdo per i fantasmi, quasi un viaggio al contrario, una traversata di riflesso, da migrante della narrativa, ancora in cerca di una risposta, che in fondo arriva: "Qual è la logica tra le cose? Davvero nessuna. Siamo noi a cercarne una tra un segmento e l'altro di vita. Ma questo tentativo di dare forma a ciò che ne è privo, di dare forma al caso, sanno condurlo in porto solo i buoni scrittori". Bellissimo.

Ben Ratliff
Come si ascolta il jazz

[Minimum Fax]
pp.242


A differenza del suo equivalente nel rock'n'roll, ovvero Scritto nell'anima di Bill Flanagan, le "conversazioni" di Ben Ratliff hanno ben poco in comune con le interviste e molto di più con l'idea jazzistica dell'interplay trasportata all'interno delle dinamiche dell'incontro. E' naturale che al cospetto di "saxophone colossus" come Wayne Shorter o Ornette Coleman, Branford Marsalis o di tutti gli altri grandi musicisti convenuti, Ben Ratliff mantenga una rispettosa distanza ed è anche funzionale allo scopo principale del libro. Imparare a comprendere la musica (che, guarda caso, non è soltanto jazz) ascoltandola con chi l'ha creata, vissuta e suonata a livelli rivoluzionari. Il processo ha le sue particolarità e le sue difficoltà soprattutto quando ci si addentra nelle frazioni matematiche che costituiscono l'essenza del ritmo o nelle notazioni musicali più criptiche. C'è però una corrente sotterranea che serpeggia ed emerge prepotente condivisa da tutti e la spiega con precisione Sonny Rollins: "Questo è il jazz: jazz vuol dire libertà. Non credo sia obbligatorio andare sempre a tempo. Ma si può suonare in due modi diversi. Uno, senza pulsazione. L'altro, con una pulsazione fissa e si suona su quella. Ed è questo che io considero il paradiso, riuscire a essere così liberi, spirituali, musicali. Mi sembra di poter dire che è un'idea tuttora poco considerata". Ecco, questa è l'occasione giusta per ripensarci.

   

James Reasoner
Il vento del Texas

[Meridiano Zero]
pp.190


Una ragazza scompare nell'arida aria del Texas. Si chiama Mandy, è ricca (di famiglia), canta (in un trio) e l'ultima volta che è stata vista era in compagnia del chitarrista (ma non del suo fidanzato). Le triangolazioni non finiscono qui perché l'incarico per ritrovarla viene affidato a Cody, un private eye solido e disilluso con la passione per l'arte e per i dubbi che se la cava con una visione filosofica tutta sua: "La maggior parte degli investigatori privati, me incluso, spendono più tempo aspettando che facendo qualunque altra cosa. E' la parte principale del lavoro, e non può essere evitata. Ma non ci si abitua mai. Il tempo trascorso nell'attesa passa lentamente come quando eri bambino e non riuscivi a capire perché per tutto quello che facevano gli adulti ci voleva così tanto". Mentre il "vento del Texas" sfoglia le pagine di una storia che, si intuisce fin dalle prime battute, è chiusa su se stessa (per quanto ci proviamo a considerarli estranei, forse nel tentativo di autodifenderci, i mostri e le mostruosità sono sempre più vicini), con il suo quotidiano tran tran e pur sconfitto a più riprese dalle evidenze Cody riesce ancora a suggerire una scintilla di salvezza e/o di giustizia. Anche nel duro Texas che, parole sue, una volta "era un bel posto dove vivere, prima che cercasse di diventare un'altra California o un'altra New York. Adesso basta l'ultima novità o trovata di moda e tirano fuori i longhorn di cartapesta. Forse è più furbo, ma di certo così è molto meno reale". Consigliato

Emanuele Mandelli
El Paso

[Il Simposio delle Muse]
pp.91


Cosa ci fa un venditore di fertilizzanti in Texas? Di sicuro deve risolvere un problema: come ammazzare il tempo. Così un sabato pomeriggio del 1966, in una sonnolenta birreria di El Paso, Harold P. Warren - una lettera puntata nel nome fa sempre figo - accetta una scommessa e si inventa un film horror: Manos-The Hands of Fate. Già l'ambiguità ispano-anglofona insospettisce. Infatti Manos è universalmente considerato uno dei peggiori film mai realizzati, tanto da diventare un cult. Nonché un bengodi per i ricercatori di pellicole di serie Z: doppiaggio fuori sincro, ciak dimenticati nelle inquadrature, battute incongruenti: "Si sta facendo notte" sentenzia Diane alle due del pomeriggio, con il sole a picco. Tuttavia Manos permette ad Harold di vincere la sfida e ad Emanuele Mandelli di scrivere un paio d'ore di puro divertimento. Anche se la location non è uno scherzo: la città di El Paso, sul martoriato confine tex-mex, è contigua a quella Ciudàd Juàrez nota per i femminicidi, che Sergio Gonzàlez Rodrìguez ha documentato in Ossa nel deserto. Un agglomerato spaccato in due dal Rio Grande: da una parte sei negli Stati Uniti, dall'altra in Messico. Fino a pochi anni fa addirittura due fusi orari, cosicchè gli abitanti festeggiavano il capodanno negli States e poi attraversavano il fiume per rifesteggiare in Messico. Bisogna pur sopravvivere in questa piega d'America occultata dalla polvere del deserto. "Domani prendo la 70 e vado ad Amarillo a cercare altri clienti" si ripromette Harold. "Per Harold andare ad Amarillo è un po' come sentirsi in periferia della California. Come Piervittorio Tondelli ipotizzava che prendendo le Autobahn a Reggio Emilia era come sentirsi in periferia di Berlino".
(Donata Ricci)


 


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