Luca Sante
C'era una volta New York

[Alet]
pp.293





Per una volta, la traduzione (in italiano) è più espressiva e sintetica dell'originale (Low Life. Lure And Snare Of Old New York) che, per quanto espressivo, era piuttosto enigmatico. "C'era una volta New York" chiarisce fin dall'inizio la densità dei fantasmi che abitano nella storia e nelle leggende dei bassifondi. Luc Sante elabora una visione della città che comincia proprio dalla gente che ci è arrivata perché "New York rappresentava una scommessa per quasi tutte le persone che ci arrivavano volontariamente. Agli immigrati delle nazioni più povere la posta in gioco poteva sembrare alta, ma in realtà le loro condizioni potevano soltanto migliorare. Per chi proveniva dalle altre zone degli Stati Uniti le probabilità di successo erano scarse, perché significava giocarsi un futuro modesto dispondendo di poche occasioni per sfruttare l'inesausta ambizione del riscatto". Le speranze nell'arco dei primi due secoli di vita della città si scontrano con la logica della Jungleland e il tessuto sociale diventa prima quello delle "gangs of New York" (Martin Scorsese ha attinto proprio da qui per il suo film) poi quello di una città "liquida" che vive di vita propria perché "New York è una costellazione molto più grande della somma delle parti che la compongono; è una città ed è anche una creatura, una mentalità, una malattia, una minaccia, un'elettrocalamita, un apparato scenico da quattro soldi, un catalizzatore di disgrazie". Un bel libro, che racconta New York con la puntualità di un saggio universitario e la scorrevolezza di un romanzo.

AAVV
Nuova poesia americana - New York

[Mondadori]
pp.975


La tappa di New York della "nuova poesia americana", è molto più voluminosa di quelle sulla West Coast (Los Angeles e San Francisco) anche perché non è soltanto "nuova". Le voci più recenti, molte delle quali parecchio interessanti, si attorcigliano attorno a figure consolidate come John Ashbery ("Sì nelle forme permane una forte dose di bellezza ideale, ed è, in segreto, la nostra stessa idea di distorsione che le foraggia"), il grande Frank O'Hara, Ted Berrigan e, forse più di tutti, Kenneth Roth visto che la sua Ars Poetica occupa il centro di questa liricissima New York. E' suo, l'accordo dominante quando dice che "si ricordi che è solo nei riguardi dello scrivere che il poeta contrae un obbligo". Da lì in poi, c'è posto per tutti dalla poesia in forma di prosa (o la prosa in forma di poesia) di Bernadette Mayer ("La mia idea sarebbe quella di passare le giornate a camminare, le sere a scrivere e non mangiare mai, dormire solo quando piove e di tanto in tanto una birretta") alle visioni di Anselm Berrigan ("Fammi un cenno per fare i conti ti tocca espanderti, c'è un oceano sulla luna, & qualche migliaio di ruoli da rifiutare quest'oggi") con la certezza che la poesia riempie "quello spazio grigio e ripugnante" come lo chiama Amiri Baraka alias LeRoi Jones ed è "utile ancora quando piove, per provocare la nascita di un senso qualsiasi dove fino ad allora non c'era che inferno". Condividiamo, senza controindicazioni.

   

Nikki Six
The Heroin Diaries

[Chinaski]
pp.408


Se ha un pregio, insieme all'insolita e splendida (per quanto cupa) veste grafica, il diario di viaggio di Nikki Sixx, bassista e factotum dei Motley Crue è la sincerità. Sorvolando sulla musica, che (Guns'n Roses compresi) è l'equivalente del wrestling nel rock'n'roll, va riconosciuto a Nikki Sixx il coraggio di aver aperto le porte dei suoi inferni personali e di averli raccontati con il minimo indispensabile di mediazione letteraria. La teoria di partenza è scarna, immediata e senza rimedio come tutti i suoi "diari": "Tutti facciamo nel nostro meglio con gli strumenti che abbiamo. Il problema era che noi in mano avevamo pipe da crack, siringhe, cannucce e bottiglie di whisky". Quello che all'inizio è la parte più divertente di un lifestyle a base di smodate quantità di sesso, droga e rock'n'roll diventa ben presto l'incubo della tossicodipendenza da cui, con molta onestà, Nikki Sixx ammette nel finale di esserne uscito per ricascarci subito dopo. La coazione a ripetere è anche la sua cifra stilistica: le pagine si sommano una dopo l'altra in cascate di eroina, cocaina, alcol (e molto altro) e a nessuno viene in mente di cercare in questo bordello raffinatezze linguistiche o illuminazioni liriche. Però la reiterazione diventa alla fine un modo per andare dritti all'osso, senza maschere e pur con una struttura rudimentale e limitatissima riesce a trovare persino una sua (crudele) bellezza.

Carl Woideck
Charlie Parker

[EDT]
pp.308


C'è un brevissima annotazione di Miles Davis in questa bella e complessa biografia di Charlie Parker che rende bene l'alone di mistero e di magia che lo circondavano. E' ancora un giovane musicista quello che racconta: "Ho speso la mia prima settimana a New York, e i soldi che mi dovevano durare un mese, cercando Charlie Parker". L'aura e la leggenda del genio sono tutte meritate perché Charlie Parker è stato un personaggio che è andato sempre oltre: nell'arte, nella vita, senza distinzioni. Il concetto di limite, di regola o la stessa frontiera dell'impossibilità non hanno mai fatto parte del suo repertorio e la sua idiosincrasia verso gli schemi e le imposizioni viene citata, a ragione, fin nelle epigrafi iniziali: "Ti insegnano che la musica può arrivare fino a un certo punto, ma guarda che l'arte non ha confini". Carl Woideck svolge un notevole lavoro di sintesi cercando di mantenere le parti più articolate della musicologia in un contorno comprensibile anche a chi in Charlie Parker ammirava la naturalezza ("E' solo musica. Si tratta di suonare bene e trovare le note più belle"), l'istintività, magari anche la follia. Se gli esempi musicali, gli spartiti e le analisi tecniche (piuttosto puntuali, comunque) hanno sempre una certa freddezza scientifica, "vita e musica" di Charlie Parker vengono raccontate senza censure e con qualche strumento (una comoda e utilissima discografia selezionata) molto utile a comprenderne l'importanza indiscutibile nell'evoluzione della musica dal ventesimo secolo in poi.


 


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