New York serenade: un ricordo di Jim Carroll
Intervista a F.T. Sandman

Il prossimo 11 settembre sarà passato un anno dalla scomparsa di Jim Carroll, punkrocker e poeta-diarista newyorchese. Aveva un talento smisurato, Jim. Eccelleva in tutto ciò che faceva. Da ragazzino giocava a basket ed era un campioncino. Teneva dei diari dove raccontava la sua vita di giovanissimo tossico e marchettaro ("The Basketball Diaries" e "Forced Entries") e già scriveva da Dio. Nei primi Ottanta si è messo pure a fare musica, seguendo il consiglio dell'amica Patti Smith, e ha realizzato insieme alla sua band alcuni degli album più importanti della scena punk-rock americana ("Catholic boy" e "Dry Dreams"). Però Carroll, classe 1950, non ha mai raccolto in vita quanto meritasse. Un po' anche per la sua propensione a buttarsi via.
F.T. Sandman, vero nome Federico Traversa, ha voluto rendergli omaggio con una biografia uscita qualche mese fa per Chinaski edizioni ("Jim Carroll, Punk Ribelle Poeta"), di cui vi riproponiamo la recensione qui di seguito. Federico, che della casa editrice genovese è anche direttore artistico, parla sempre molto volentieri di Carroll. Nessun altro ha influenzato di più il percorso personale e artistico dello scrittore genovese.
(Alberto Facchinetti)



F.T. Sandman
Jim Carroll. Poeta, punk, ribelle

[Chinaski Edizioni] pp.494


Nel "folklore" dedicatogli in queste pagine da Gianfranco Callieri trovate una sintesi efficace e appassionata della storia di Jim Carroll. Un incredibile outsider la cui vita potrebbe essere tema di un romanzo come lo è stata di un film: giovane campione di basket, ragazzo di strada, splendido poeta, leader di una rock'n'roll band che ha chiuso con una sigla di ferro e fuoco (Catholic Boy, imprescindibile) la stagione più intensa del New York sound, junkie. Ne ha vissute, di vite, prima di morire l'11 settembre dello scorso anno, una data perfetta per lasciare le macerie di NYC e di un intero mondo. F.T. Sandman partendo da almeno tre interpretazioni (come dice il sottotitolo: "punk, ribelle, poeta") gli dedica una biografia accorata che non ha il solo merito di essere la prima e l'unica, ma anche di evitare i toni romanzeschi che, visto il caso umano, sarebbero pure inevitabili. Invece colleziona un coro di voci, come nella conclusione di una tragedia, che ricostruiscono un'immagine che non è mai nitida o lineare, ma che proprio per questo appare molto fedele. Da Lou Reed a Patti Smith a Keith Richards, ci sono tutti: amanti, manager, amici, tossici e i membri della Jim Carroll Band (Lenny Kaye su tutti) e la biografia "suona" come una versione su carta stampata di People Who Died. F.T. Sandman si concede soltanto un piccolo omaggio poetico (prima delle corpose appendici) e in questo labour of love ci sta tutto.
(Marco Denti)


Jim Carroll "Streetlight Serenade": la monografia a cura dui Gianfranco Callieri

L'intervista
(a cura di Alberto Facchinetti)



Perchè hai scelto di dedicare una biografia a Jim Carroll?

Perchè trovo assurdo che uno dei poeti, musicisti e scrittori più influenti degli ultimi 40 anni sia praticamente sconosciuto in Italia e finito nel dimenticatoio pure in America. La cosa è paradossale e figlia dei nostri tempi plastificati, tempi dove un artista ricco di talento e sfumature che richiede un minimo di sforzo mentale per essere compreso e apprezzato viene messo da parte.

Puoi descrivere il metodo di lavoro che hai utilizzato per la stesura di questo libro?

Mi sono riletto tutto il materiale di Jim. Ho ascoltato i suoi dischi e ricostruito la sua storia traducendo tutte le sue interviste, apparizioni pubbliche, eccetera. Poi ho contattato le persone che hanno collaborato con lui, i suoi amici, chi l'aveva conosciuto. Tutto questo è stato frullato con il mio punto di vista e le emozioni che i suoi libri e la sua musica mi hanno suscitato. Ogni tanto poi, in fase di scrittura, chiudevo gli occhi e immaginavo Jim. Lasciavo che la sua immagine mi entrasse dentro e si facesse strada. Ed ecco il libro.

Hai intervistato i membri della Jim Carroll Band e altri musicisti di quella scena musicale. Che tipo di persone hai conosciuto?

Ciascuno di loro ha una sua storia, un percorso differente che l'ha portato a scegliersi un certo tipo di vita. C'è una cosa che accomuna però tutti i musicisti di quella scena punk-no wave fine settanta - primi anni ottanta: un grande rispetto per l'arte e il tentativo, con la propria musica, di far confluire insieme disagio, testimonianza dei tempi e poesia. Era gente che si divertiva ma che non scherzava con quello che stava facendo. Un aspetto che oggi è molto trascurato, purtroppo.

Ci sarebbe qualche altro personaggio newyorchese di oggi o del passato per cui ti avventureresti in un nuovo "viaggio" come quello di "Jim Carroll. Punk, ribelle, poeta"?

No. Jim è l'artista che mi ha fatto venire voglia di diventare uno scrittore e, seppur involontariamente, mi ha segnato la vita. Non ce ne sono altri come lui. La sua bellezza è la sua inaferrabilità. Musicista, poeta, diarista, tossico, ragazzo di strada, asceta, sognatore: Jim era un caleidoscopio di personalità incredibili. Non esiste per me un'influenza importante quanto la sua. Quando ho scritto il mio primo e per ora unico romanzo, "Il Contorno del Camaleonte", cercavo di spiegare proprio quello che Jim mi aveva trasmesso: cambiare mille volte pelle, dissetarsi d'esperienza senza snaturare quello che siamo.

Jim Carroll ha lasciato qualche erede nella scene musicale newyorchese?

No. E non perché non ci siano artisti validi ma perché sono cambiati i tempi. Non ci sono più i presupposti storici e culturali per un altro Jim Carroll. Almeno oggi. Domani chissà...

C'è qualche suo coetaneo, qualche altro "beautiful loser" ancora in attività, che per certi versi te lo ricorda?

"Non mi pare. Vedi: Lou Reed, grande amico di Jim, può ricordarlo in alcuni passaggi ma i due sono profondamente diversi, soprattutto nel modo di scrivere testi. Stesso discorso per Patti Smith o Richard Hell. Paradossalmente erano più simili a Jim artisti grunge tipo Cobain e soprattutto Layne Staley degli Alice In Chains, ma sappiamo tutti come sono finiti, sfortunatamente.

Mentre "studiavi" per il tuo libro, che idea ti sei fatto della New York di Carroll (Sessanta, Settanta, Ottanta)?

Un grande catalizzatore di energia. Un vortice emozionale affascinante e pericoloso che poteva strozzarti ma era, contemporaneamente, in grado di tirar fuori quello che di bello e artistico c'era in te.

Cosa rappresenta Jim Carroll per la sua città?

Jim credo sia stato l'artista più smaccatamente newyorkese che la città abbia mai partorito. Per farti un esempio: Jim Carroll sta a New York come Fabrizio De Andrè a Genova. Due enormi poeti, inscindibili dalle proprie città d'origine. Città di cui sono impregnati fino al midollo.

La data in cui se ne è andato, Van Morrison sullo stereo, la scrivania piena di fogli. Quanto c'è di simbolico nella sua morte?

Questo è un aspetto pazzesco. Ne parlavo proprio con Lenny Kaye. Uno sceneggiatore con le palle non avrebbe potuto scrivere un finale più ricco di significati per Jim, che tra l'altro muore come il personaggio di "Petting Zoo", il suo unico romanzo che uscirà per Penguin il prossimo novembre.

"The Basketball diaries" sono usciti nel '78, però risalgono ai primi Sessanta. Possibile che a 12 anni Carroll scrivesse già così bene?

Rimbaud scrisse la maggior parte della sua produzione poetica prima dei 19 anni, quindi perché stupirsi? La benedizione del talento esula dal tempo trascorso su questa terra. Arriva e se ne va seguendo regole che non sono le nostre. E grazie a Dio che funziona così...


 


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